Valentina UghettoRoma è una città che sembra distratta nei modi, ma lascia sempre traccia della sua Storia in ognuno di noi, in ciascuna crepa di muro, voragine della strada, verde senza cura o monumento. Dopo un'epidemia che sembra diventata endemica, una crisi energetica e una guerra a est, che batte alle porte d’Europa, la concreta Fabiana Di Segni, presidente della commissione Politiche sociali del Municipio XI, insieme Maya Vetri, assessora alla Cultura del Municipio VIII, hanno organizzato la prima edizione della ‘Pedalata della Memoria’. Così, in cerca delle istallazioni recenti, chiamate pietre d’inciampo, si diventa ciclisti. Un gruppo di romani che, dopo aver letto alcuni ‘passi’ circa quanto avvenuto il 16 ottobre 1943, è partito in bicicletta da ponte Vittorio Gassman Marconi, per dare il via al seguente percorso a tappe: Riva Ostiense-via del Porto Fluviale-via del Commercio-via Ostiense-ponte Spizzichino (sosta con lettura)-via Benzoni-via Pellegrino Matteucci-via Ostiense-piazza Ostiense-via Marmorata- lungotevere Aventino-lungotevere de' Cenci, con arrivo finale al Tempio Maggiore (sosta con lettura). Il 16 ottobre ricorreva, infatti, l'anniversario del rastrellamento del Ghetto ebraico di Roma. Quel giorno, più di mille nostri concittadini, di religione o discendenza ebraica, vennero prelevati dalle loro case dai nazisti per essere deportati ad Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritornarono a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini sequestrati è mai tornato: una ferita che non si rimargina. Il Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, la presidente della Comunità, Ruth Dureghello, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, hanno dunque partecipato sentitamente alle letture di Giordana Terracina, Elio Limentani, Miriam Spizzichino e Fabiana Di Segni. Ci si interroga da sempre sulle cause del male, quando basterebbe rileggersi quanto scrisse Hannah Arendt‘La banalità del male’: “ll processo ad Eichmann diede occasione a molti di riflettere sulla natura umana e sui suoi movimenti del presente. Eichmann tutto era fuorché anormale: era questa la sua dote più spaventosa. Sarebbe stato meno temibile un mostro inumano, perché proprio in quanto tale rendeva difficile identificarvisi. Ma quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il quadro di una persona che sarebbe potuta essere chiunque: chiunque poteva essere Eichmann, sarebbe bastato essere senza consapevolezza, come lui. Prim’ancora che poco intelligente, egli non aveva idee proprie e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà, che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche e via dicendo. Più che l’intelligenza gli mancava la capacità di porsi il problema delle conseguenze e degli impatti delle proprie azioni”.





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