Si è svolto di recente, presso la sede
dell’Ordine degli avvocati di
Roma, un convegno di assoluta importanza riguardo ad alcune riflessioni sulla
violenza di genere. Nello specifico, è stato dato rilievo a un tema di assoluto interesse, ossia: quello della
‘vittimizzazione secondaria’. Un tema che merita di essere compreso come necessario per le tantissime
donne che continuano a subire,
inascoltate o
soffocate, pregiudizi sociali e recinti psicologici. Proprio l’esistenza dell’associazione
‘Differenza Donna’ ha potuto permettere
l’accesso alla giustizia per tante di loro, donando innanzitutto un primario senso di aiuto, di ascolto e di fiducia. La
Commissione parlamentare d’inchiesta istituita appositamente presso il
Senato della Repubblica nel
2017 e poi prorogata nel
2018, con sede a
Palazzo Giustiniani, ha posto e sottolineata, in questi ultimi anni, la rilevanza di ogni aspetto che tende a contrastare
l’emersione delle violenze che subiscono le donne. E’ stata l’avvocato
Maria Teresa Manente, ponendo sin dal
1989 il proprio massimo impegno con il suo
studio legale, a dare vita all’associazione
‘Differenza Donna’: una delle prime entità della
società civile a operare sia a livello nazionale, sia internazionale, quale
Ong riconosciuta dal
ministero degli Affari Esteri – Rete Wave. Lo stesso tema, in ambito internazionale, è stato affrontato per le
“donne europee in rete contro la violenza maschile”, ha spiegato la
Manente, “gestendo il numero 12.22 antiviolenza commissione donne e 22 centri antiviolenza e case rifugio del Lazio e della Campania”. Grazie all’attività di quest’associazione, che all’interno dei
tribunali cerca di sostenere tali situazioni drammatiche, si è spesso riusciti a contrastare
l’abominio riflesso sia
psicologicamente, sia
fisicamente sulle vittime medesime. Il problema principale che affligge l’insorgenza di ostacoli al recupero di situazioni problematiche quanto quelle raccontate da ogni singola donna, sono i
fondi pubblici. Anche perché, la questione sorge, innanzitutto,
“dal numero delle donne ospitate”, ha specificato la nota penalista.
“Quest’impegno sociale”, ha proseguito,
“si approccia con un lavoro integrato e multidisciplinare in cui siano presenti, 24 ore su 24, delle persone specializzate all’assistenza, anche sanitaria. Si tratta”, ha aggiunto la
Manente, “di veri e propri laboratori sociali a favore della ricerca. Per esempio, ‘Differenza Donna’ riesce a offrire un’enorme aiuto agli orfani, alle vittime di femminicidio e anche ai minori che hanno subito violenza, oppure che hanno assistito alla violenza. Tuttavia”, ha inoltre sottolineato la
Manente, “stereotipi e pregiudizi occultano i fatti che portano alla discriminazione della donna, fino a comportarne l’impunità del crimine a volte. Si può leggere sulle stesse relazioni della Commissione, come si rappresenti la moltitudine dei processi, sia civili, sia penali: nello scorso anno, secondo quanto afferma l’ultima relazione del 14 maggio scorso, ha reso un esempio con un caso riportato e pubblicato sul sito del Senato. Al centro Italia, è palese un aumento delle violenze tra i minori in stato di ubriachezza e, soprattutto, fra gli 'infradiciottenni' (quei minori che vanno dai 14 ai 18 anni di età, ndr). E’ questo un problema sociale che va combattuto, anche per salvaguardare i nostri figli. Il problema qual è?”, si è domandata la legale.
“Non è la legge, poiché la normativa sostanziale e processuale, a partire dal 2001 a seguire, fino alla Legge n. 69/2019, possiede adeguata e tempestiva protezione alle vittime. Nel 1965”, ha continuato l'avvocato
Manente, “era prevista dal codice la patria potestà e il delitto di onore, che solo nel 1996, cioè dopo vent’anni, si è finalmente configurato come reato contro la persona, contemplando in tal guisa il reato di violenza sessuale. E’ una violazione dei diritti umani e forma di discriminazione delle donne, che trova le radici in una cultura patriarcale, che vede la donna in una posizione subalterna all’uomo. Inoltre, con la sentenza n. 61/2006, la Corte Costituzionale ha specificato che si tratta di una “tramontata potestà maritale”, che non trova tra uomo e donna alcun adiacenza come principio costituzionale, se non richiamandosi a vetusti princìpi di origine ‘romanistica’. Esiste un 'filo rosso', che lega il substrato sociale della violenza di genere e l’attribuzione paterna del cognome del padre ai figli, segno del privilegio maschile. E infatti, sempre la Suprema Corte, in merito, ha parlato di “invisibilità” della madre”. E’ dunque il
pregiudizio sessista a contemplare il divieto principale
dell’accesso alla giustizia da parte delle
donne. “Manca un’adeguata formazione sul tema”, ha denunciato la
Manente, “e vi è una complessiva disapplicazione dei principi contenuti nella Convenzione di Instanbul. Questo è il motivo per cui si sente la necessità di un dialogo maggiore tra cause civili e penali in materia di affidamento, dove la violenza domestica, nella maggior parte dei casi, viene vietata perché confusa con il conflitto coniugale. Risulterebbe utile svolgere indagini difensive, per ricercare elementi di prova a favore della persona offesa, oppure come sia necessario rappresentare con memorie integrative situazioni di pericolo e presupposti per sollecitare il Pm alla richiesta delle misure cautelari. Gli uomini ‘maltrattanti’ reiterano gli stessi reati quando la donna decide di reagire e di denunciare. Pertanto, il momento della denuncia è estremamente necessario. Ed è importante come momento per la sicurezza: una misura più tempestiva può fare la differenza e fa la differenza. Necessario anche evitare i contatti tra vittima e autore del reato: molte volte, l’uomo continua a intimidire la donna anche prima di entrare nell’aula giudiziaria. E per questo, è solo possibile prevenire con una misura cautelare proporzionata. Ma queste misure, anche se richieste dagli avvocati, non vengono poi emesse, e non sempre sono tempestive”. Insomma, non è facile
accusare quell’uomo, avendo addosso lo sguardo dello stesso. E i reati sono spesso caratterizzati dalla
soggezione della vittima nel rapporto con l’imputato.
L’Oms, in tal senso, continua a riconosce come grave problema la
violenza sulle donne, con ogni sua conseguenza. Eppure, persino la stessa condanna al
risarcimento del danno è
generica e
discrezionale, senza criteri uniformi di valutazione, considerando complessivamente il danno subito. Diviene, perciò, importante dar voce in ogni momento al duro lavoro svolto da queste associazioni. Soprattutto. alle
case di accoglienza, affinché non si possa sempre e solo parlare di
danni morali, biologici, soggettivi ed
esistenziali. Il rispetto per se stesse ha un valore in assoluto più importane di ogni
silenzio.