La
laicità si distingue nettamente sia dal
materialismo, sia dal
relativismo. Innanzitutto, il termine viene utilizzato erroneamente in quanto
‘distorsione anticlericale’, mentre in realtà esso descrive una semplice
‘presa di distanza’ rispetto a
tutte le religioni, senza distinzione alcuna, pur nel pieno rispetto di ogni
sentimentalismo morale e privato del
singolo individuo. In secondo luogo, la
laicità rappresenta
un’etica della convinzione. Ciò significa che per un
laico, tutta la realtà è atto dello
spirito, cioè
‘pensiero pensante’. Al di fuori dell’atto dello spirito,
nulla esiste realmente. La stessa
filosofia non è altro che la vivente
autoconsapevolezza dello spirito, che è sempre
pensiero. La
Storia stessa si identifica con la
filosofia, mentre volontà e sentimenti si sovrappongono perfettamente al
pensiero. E tutto il complesso delle norme logiche, giuridiche e morali, così come lo spazio, il tempo e il mondo fisico, divengono
‘astrazioni’ che acquistano realtà e concretezza in quanto perennemente riassunti
nell’atto dello spirito, che è sempre
pensiero. Il protagonista di tale
spiritualità laica è
l’Io ‘trascendente’, di cui i singoli individui non sono che incarnazioni contingenti.
Astrazioni anch’essi, che si fanno realtà in quanto riassorbiti e risolti nella concretezza
dell’unico ‘Io’. Pertanto,
l’Io è la
sintesi di una
tensione dialettica incessantemente superata e superabile, in cui il momento della pura soggettività
- l’arte - si oppone a quello della pura oggettività: la
religione. Ma
arte e
religione sono anch’esse
astrazioni, che si realizzano nella realtà pratica in quanto riassunte nella
concretezza dello spirito, che è sempre
pensiero: nello specifico,
un
pensiero che pensa se stesso. Tale visione spirituale della
laicità possiede una serie di
risvolti pedagogici che riducono l’educazione a semplice
‘autoeducazione’, parificando democraticamente il momento della
docenza con quello
dell’apprendimento e del
nutrimento culturale, mentre sul fronte politico, essa può considerarsi essenzialmente una dottrina idealisticamente persuasa
dell’inveramento della società civile nello Stato. Inteso, quest’ultimo, in quanto ente che si realizza
nell’interiorità dell’uomo. Ciò non produce affatto il superamento di ogni
distinzione fra pubblico e privato, bensì una semplice propensione per lo
‘Stato forte’, culturalmente più collimante con le numerose esigenze
storiche, politiche e
culturali del nostro Paese.