Elisabetta II di Windsor, la sovrana del
Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord scomparsa in questi giorni, è stata una donna che ha saputo farsi
amare dal proprio popolo: non è possibile non riconoscerle questo
merito. Noi non abbiamo mai apprezzato i suoi
vestiti monocolore, spesso vistosi come un
‘pugno nell’occhio’, forse perché abituati alla
grande fantasia creativa della
moda italiana. Inoltre, un così lungo regno senza
abdicazione, mette in una posizione difficile i suoi
successori, il figlio
Carlo in particolare, che si vedrà paragonato ogni giorno alla madre, correndo il rischio di renderlo un
sovrano incerto. Infine, la nostra
fede repubblicana, o anche la semplice
lontananza storica dell’Italia dall’istituto monarchico, ci induce a sentimenti
tiepidi. Anche perché, in una
'chiave' di
modernità, abbiamo molto amato la
principessa Diana, la quale rifiutò la
ragion di Stato per non passare per la
cretina della situazione, dato che aveva scoperto da tempo la
relazione del proprio coniuge, il
principe di Galles, con
Camilla Parker Bowles. La difesa del
figlio maschio in quanto
erede al trono è stata, a nostro parere, un segnale di
conservatorismo familista che difficilmente potremo mai perdonare a
Elisabetta II. Ma quando giunge il momento di andarsene, è buona cosa
limitare le polemiche o, addirittura, sospendere ogni
giudizio di natura storica. Non è questo il momento e non vogliamo nemmeno emulare qualche nostalgico del
grigiore comunista di
Leonid Breznev. La
morte è anch’essa un
momento della vita. E riteniamo che un simile
delicato ‘passaggio’ debba essere rispettato nei confronti di chiunque. Ma verrà presto il momento per
sottolineare molte cose del lungo regno di
Elisabetta II: lo smantellamento
dell’Impero britannico; la perdita del ruolo inglese in quanto
prima potenza mondiale in favore degli
Stati Uniti d’America; il tentativo di relegare la fragile
Diana Spencer unicamente nel ruolo di
madre e di
donna del ‘focolare’; il
pregiudizio circa gli
eccessi di progressismo delle generazioni più giovani. Persino i
Beatles furono un
‘boccone’ difficile da digerire. Ma nella casa reale piacevano a tutti, quei
4 'capelloni' di Liverpool che portavano con sé il nome di
un’Inghilterra che voleva
cambiare, diversificando in forme artistiche il proprio ruolo sulla scena mondiale. Poi giunsero gli
anni ’80, in cui persino
l’Italia, per alcuni anni, riuscì a superare, in termini di produttività e di ricchezza procapite, quel
Regno Unito che, in
epoca 'vittoriana', aveva innescato la prima grande
rivoluzione industriale. A suo modo e pur tra qualche
giudizio esagerato, seppe
riconoscere i fenomeni che si sono susseguiti nel suo regno - a cominciare dal tumultuoso processo di
decolonizzazione - pur impegnandosi fortemente nel
contenerli. Compiendo regolarmente l’errore di non riuscirci quando, invece, avrebbe potuto e dovuto farlo, come nel caso della
Brexit. E’ vero:
Elisabetta ha saputo manenere insieme il proprio regno per
70 anni senza
gravi ‘scossoni’. Ma
durare tanto per durare è una
gran triste arte, a nostro parere.
Elisabetta II non è mai riuscita a gestire, nell'ordine: il
degrado industriale; il
terrorismo dell’Ira; il
rock e il
punk; la
mondanità e i
vizi della
famiglia reale; gli
spinelli, i
tradimenti, i
divorzi, i
litigi drammatici ‘all’italiana’. Tutto è stato sacrificato in nome
dell’identificazione popolare con la
corona, finendo col dare preminenza ai
simboli, più che alla
sostanza delle questioni, che in realtà erano molto simili a quelli che l'intera
società britannica stava vivendo. Un
conservatorismo che ha sempre fatto una gran fatica a
immergersi nella realtà. Fino a costringerla ad andarsi a leggere di persona i
biglietti di amore che tantissimi cittadini lasciarono, insieme a una moltitudine infinita di fiori, innanzi ai cancelli di
Buckingham Palace, per l'improvvisa quanto tragica morte di
Lady Diana. Il confronto con la realtà fu sempre molto duro, per
Elisabetta II. La quale, non credeva che
Diana fosse così amata dai suoi sudditi, mentre invece lo era. Tantissimo. Tutto ciò che riguardava la
nuora le appariva
stravagante. Persino l’amicizia con un eccellente artista come
Elthon John, notoriamente
omosessuale: una condizione che, per molto tempo, ha ritenuto
moralmente inaccettabile. Fino a rendersi conto che il suo
popolo era
assai più avanti di lei. Una
monarchia mantenuta
‘per trascinamento’, con molti
retaggi d’imperialismo difesi quasi di forza, finendo col diventare
d’intralcio. Perché il
popolo, spesso e volentieri, è vittima di
innamoramenti e
suggestioni. Ma proprio per questo motivo esso dev’essere
guidato e
non inseguito, finendo col ritrovarsi sorpresi innanzi ai
fatti compiuti. E’ un dubbio che sta attraversando anche noi
italiani, in questi giorni: le
trasformazioni debbono essere
guidate, non
esaltate a cose fatte. Un errore che anche noi ci ostiniamo a commettere. Per puro
ritualismo simbolico e
pigrizia mentale.