Dal confronto di
Cernobbio (Co), tenutosi nei giorni scorsi, forte è apparsa in noi l’immagine una
classe politica proveniente da una lunga fase di
‘personalismo’ o di
‘leaderismo’. Nessuna
dottrina politica risulta chiaramente individuabile in termini di
identità progettuale. Nemmeno da parte di
Enrico Letta, che alterna
‘brandelli’ di
cristianesimo-sociale, insieme a una forma di
‘keynesismo’ innestato quasi per caso. Non siamo più ai tempi delle
‘giravolte narcisiste’ di
Matteo Renzi, con i suoi
'duelli rusticani', ma il
Partito democratico non sembra riuscire a far propria
quell’identità socialdemocratica rimodulata attraverso una serie di
progetti ‘mirati’ e di
riforme di struttura, da realizzare affrontando ogni singola questione con il
‘cacciavite riformista’, tanto per utilizzare una vecchia formula riformista
‘turatiana’. Ma anche gli altri leader di Partito presenti al cospetto del
Forum Ambrosetti hanno dimostrato di non avere alcuna
idea di ‘neocapitalismo’. E ciò è questione assai grave, poiché rende pienamente l’idea di una classe dirigente abituata a ragionare con
strumenti ‘spuntati’ e senza un orizzonte condiviso.
Giorgia Meloni, con la sua proposta di
revisione del Pnrr (Piano nazionale di ripartenza e resilienza, ndr), pur nel lodevole tentativo di addentrarsi in un
territorio contrattualista, ha tradito una visione
‘paternalistica’ che costringe i sudditi ad attendere che il
leader operi scelte e decisioni esercitando un
potere demagogico, benché ponderato e valutabile alla luce di riscontri oggi comunemente definiti
‘feedback’, secondo un orrendo
forestierismo. Quella di
Fratelli d’Italia rimane
un’idea verticista e superata dell’agire politico, che tende a
escludere, in realtà, la
partecipazione popolare alle scelte. Al contrario, in democrazia essere liberi significa
esercitare la libertà con le proprie forze, non secondo
schematismi omologativi o di sistema. Prendendo in esame le teorie di
Karl Popper, ci accorgiamo di come esse prendano le mosse da una
sacrosanta umiltà di fondo nell’ammettere di non conoscere
“il futuro della Storia”, per dirla con
Karl Marx. Ecco perché la visione esposta dai nostri attuali leader diviene inevitabilmente
falsa, poiché discendente da
un’idea ‘chiusa’ di esercizio del potere. Non ci troviamo di fronte a formazioni politiche disperatamente aggrappate ad alcune
‘zattere ideologiche’ del passato. Ma ancora nessuno dei leader in campo riesce a elaborare un
disegno limpido di ‘società aperta’, retta da
istituzioni ‘autocorreggibili’, fondata su un esercizio responsabile della
libertà, che sappia dialogare con le altre forze politiche e sociali secondo una logica di
tolleranza. Insomma, anche le forze politiche che si autodefiniscono
"democratiche", in realtà dimostrano di non chiarire attorno a quali
princìpi la società dovrebbe regolarsi. E, a nostro parere, tali principi sono due: il
‘principio di massimizzazione della libertà’ e il
‘principio di differenza’. Intorno a tali
valori, assolutamente
laici, dovrebbe essere impostata una
nuova dialettica in cui ciascun vantaggio o bene primario sia
distribuito egualmente, a meno che una qualche ineguaglianza nella sua distribuzione non vada a vantaggio di chi è più svantaggiato. Quest’ultimo principio possiede una propria precisa categorizzazione dottrinaria nel campo del diritto. Si chiama:
equità della norma. Oltre a ciò, si dovrebbe tener ben presente che nell’epoca contemporanea, la filosofia politica, oltre a occuparsi dello
studio dello Stato inteso come centro del potere politico, analizza tutto ciò che riguarda la
sfera pubblica. E, in tal senso, anche problemi di natura
sociale secondo una
laicità cosmopolita e
sovranazionale, basata sul
superamento di ogni
struttura di potere centralizzato ed
egemone, all'interno di un quadro concettuale
laico e
libertario. Un’etica della laicità solo apparentemente identificabile con l’idea di
un'etica capitalistica. Al contrario, si tratta principalmente di
un'etica del successo totalmente incentrata a vincere le elezioni politiche del prossimo
25 settembre, non a
governare con ordine il Paese al fine di condurci verso una
società aperta, laica e
libertaria. Nulla di tutto questo s’intravede all’orizzonte, né rappresenta il fulcro di una
riflessione comune, all’interno di una campagna elettorale
improvvisata e, spesso, persino un po'
bizzarra. Che
Dio ce la mandi ‘buona’, prim’ancora che
‘bionda’.