Sentimenti, paure, fragilità, condizionamenti della società: sono questi gli ingredienti primari del monologo
‘Anna Cappelli’, un classico moderno di un grande autore,
Annibale Ruccello. Dopo il significativo successo dell’anteprima nazionale, andata in scena il
21 maggio 2022 al
Teatro Moderno di
Latina, lo spettacolo è stato replicato il
7 luglio scorso nella prestigiosa cornice estiva della
28esima edizione del festival
‘I solisti del teatro’, presso i
Giardini della Filarmonica di
Roma. Una
storia contemporanea, quella dell’impiegata del comune di
Latina, Anna Cappelli, protagonista di questo monologo tragicomico già
‘assolo’ per grandi attrici come
Anna Marchesini e
Maria Paiato, questa volta interpretato dall’attrice
Giada Prandi in un nuovo allestimento diretto da
Renato Chiocca, che ha posto al centro la donna, oltre al personaggio.
Anna Cappelli è un'impiegata del comune di
Latina negli
anni '60 del secolo scorso, in bilico tra le convenzioni borghesi
dell'Italia del
‘boom’ e la ricerca ossessiva di una casa e di un amore tutto suo.
Anna affida perciò a un uomo le sue aspettative di un futuro migliore, ma dovrà fare i conti con una realtà che non corrisponde ai suoi desideri. Tra commedia e tragedia,
Anna – e insieme a lei il pubblico - finisce risucchiata in un vortice di emozioni forti. La regia è di
Renato Chiocca; l’attrice protagonista è
Giada Prandi; le musiche originali sono di
Stefano Switala; le scene di
Massimo Palumbo; i costumi di
Anna Coluccia e le luci di
Gianluca Cappelletti. In sintesi, la vicenda:
Anna è una giovane donna che, negli
anni ’60 del secolo scorso, si trasferisce da
Orvieto (Tr) a
Latina dopo aver ottenuto un posto di lavoro come impiegata comunale. Lontana da casa e dalla sua famiglia, alla quale è molto legata, la sua vita procede monotona nella noiosa quotidianità della vita di provincia, fra la polvere e le scartoffie degli uffici del comune e la convivenza con l’asfissiante signora
Rosa Tavernini e i suoi gatti. La svolta sembra arrivare, finalmente, grazie all’incontro con il ragioniere
Tonino Scarpa: un abbiente scapolo che vive solo nella sua casa con dodici stanze e tanto di cameriera, il quale dopo pochi mesi le propone di andare a vivere con lui, ma senza sposarsi.
Anna accetta riluttante
‘l’inconsueta’ proposta fra i pettegolezzi delle colleghe bigotte e il disappunto della
signora Tavernini. La relazione fra i due non va come sperato e, in un crescendo delirante e tragicomico,
Anna si sente trascinata dalle sue fragilità in una spirale di paura, paranoia e possessività che la porterà a commettere un
gesto estremo e inaspettato, ma che per lei rappresenta il più grande
‘atto d’amore’ possibile.
Anna è una donna in lotta con il suo passato e i suoi demoni. Una vittima del suo tempo, della condizione della donna negli
anni ’60, vittima di una società e di una morale che rifiuta, ma che non ha la forza di combattere e da cui noi riesce a emanciparsi. Un testo, un’attrice e il teatro come spazio della mente. Il testo di
Ruccello è un piccolo capolavoro contemporaneo per sintesi, poesia e complessità. E quando
Giada Prandi ha accettato di interpretarlo,
Anna Cappelli ha cominciato a vivere, rivelandosi immediatamente per la sua universalità fuori dal tempo.
Anna vive
nell’Italia del 'boom', ma è vittima di un’implosione che la porta alla disperazione. Come molti di noi, oggi sovraesposti agli stimoli dei
social network, della
pubblicità e di
modelli di vita esterni al nostro reale quotidiano,
Anna ha una sovraesposizione mentale ed emotiva che contrasta con le sue capacità di elaborazione. È un’impiegata: la sua estrazione la costringe a emigrare per lavoro e, dalla tradizionale
Orvieto, si muove a
Latina: una
‘città nuova’, fondata dal fascismo e priva di radici identitarie.
Anna condivide, quindi, con molti di noi uno stato d’animo di
sradicamento. Si muove per lavoro con aspettative e desideri che non riesce mai a concretizzare realmente e che faranno emergere in lei il suo lato più oscuro. Si attacca all’amore, ma sprofonderà nell'abisso. Il
‘buono’ di questo allestimento teatrale è proprio quello di aver cercato di entrare
nella testa della protagonista per raccontarla in tutte le sue sfumature, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, stilizzandola ma andando oltre la maschera, mantenendo il palco come la
scatola vuota che lei stessa ha voluto creare, teatro di un viaggio empatico e straniante nell'animo umano, che parte commedia e finisce in tragedia. Infine, due parole sull’autore:
Annibale Ruccello, scomparso a soli trent'anni nel
1986, è oggi più che mai un
autore di culto, espressione di una generazione ansiosa di ricreare un
teatro nuovo dentro la realtà, ma anche capace di ridere nella tragedia. Arrivato alla scena dalla scuola di
Roberto De Simone, quest'autore ha rappresetnato, accanto a
Enzo Moscato e
Manlio Santanelli, la punta di diamante della nuova drammaturgia napoletana. Da regista e attore dei suoi testi, cercò di raccontare la deriva della nostra società attraverso una scrittura -
"un musicale scassato, minimale", come lo stesso
Ruccello la definì - che oscilla tra la verità del dialetto e la parodia dell'italiano televisivo, intrecciando echi storici col quotidiano, quando non riscrive pezzi di repertorio in feroci adattamenti. Un teatro di solitudini, indagate con lucido sguardo da
antropologo, di inquietudini sospese in un limbo onirico ai bordi della follia, di
personaggi sradicati dalla loro
cultura originaria e, quindi, dalla loro
consistenza collettiva.