Vittorio LussanaSalutiamo con affetto e profondo rammarico la scomparsa di Jean Louis Trintignant, il grande attore francese divenuto indimenticabile, qui da noi, per aver interpretato la parte del ‘bravo ragazzo’ ne ‘Il sorpasso’ di Dino Risi. Una pellicola che seppe ritrarre magnificamente, attraverso un ritmo filmico tutto ‘a singulti’, la ‘giornata tipo’ di uno dei tanti parassiti che raccoglievano le briciole delle nuove modalità di vita imposte da una modernità un po’ vacua, canagliesca e, alla fin fine, amarissima. L’occasione ci porta ancora una volta a riflettere su un settore artistico, quello del cinema italiano, in cui le leggi del successo e della commercializzazione sono riuscite a imporre la superficialità e l’involgarimento. La nostra produzione cinematografica, in particolare, non è più quella dei grandi Maestri, eccezion fatta, forse, per il solo Paolo Sorrentino: l’unico, al momento, che intrattiene con la realtà italiana un rapporto non sovrastato dalle bronzee leggi degli schematismi ideologici. In un Paese costantemente impegnato a dividersi tra italiani di destra e di sinistra, confondendo in tali 'calderoni indistinti' moltissime cose tra loro differenti e, alle volte, addirittura opposte, la conseguenza più devastante rimane quella di un cinema che non è più la grande industria artistica del passato, poiché ha letteralmente abdicato al proprio ruolo di mediazione tra cultura popolare e scienze sociali. Ai tempi de ‘Il sorpasso’, il nostro Paese era una potenza cinematografica mondiale, seconda solamente agli Stati Uniti, bagnando sempre e regolarmente il ‘naso’ proprio ai cugini francesi, che con i loro ‘tempi morti’ hanno sempre presentato una realtà sociale indubbiamente più sincera rispetto alla nostra, ma assai meno ‘allegra’ nel riportare contraddizioni e stravaganze. Ecco perché abbiamo spesso potuto ammirare ottimi attori, come per l’appunto Jean Louis Trintignant, venire a lavorare qui da noi, in un interscambio positivo con un Paese, la Francia, che rimane il nostro punto di riferimento culturale più prossimo. L’avvento della televisione commerciale ha poi fatto il resto, relegando il nostro cinema in produzioni sempre più grigie e prive d’identità, in cui gli attori recitano ‘sottovoce’ per non far troppo comprendere al grande pubblico i profondi limiti delle generazioni attoriali più giovani. Non si vedono grandi talenti all’orizzonte, nel cinema italiano. Nessuno che assomigli, neanche da lontano, a quei due ‘scavezzacollo’ dei primi anni ’60 del secolo scorso, come invece seppero fare Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant. E’ vero: alcuni nostri grandi Maestri sono venuti a mancare. A cominciare da Dino Risi ed Ettore Scola, cioé proprio i due registi che seppero utilizzare al meglio il talento versatile e garbato di Trintignant. Tuttavia, in attesa che gli Avati e i Nanni Moretti ritrovino la loro vena migliore, sembra quasi che tutto sia fermo. Indubbiamente, due anni di pandemia hanno pesato anche in questo settore, un tempo assai rigoglioso. In ogni caso, il futuro del nostro cinema e delle numerose produzioni italo/francesi di un tempo, appaiono sempre più ‘appese a un filo’, come se si fosse in attesa di qualcuno che non si è ancora palesato all’orizzonte. Nel frattempo, non ci resta che salutare, non senza rimpianti, personalità artistiche strutturate e artisticamente ben forgiate, come per l'appunto quella di Jean Louis Trintignant.





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