Dopo più di due decenni da quando
le crisi energetiche degli anni ’70 sono state riassorbite, dobbiamo valutare meglio l’impatto della
questione energetica nel sistema economico sotto il triplice profilo
della sicurezza, della competitività e della sostenibilità. In tal senso, il recente
rapporto dell’Agenzia internazionale dell’Energia (AIE) rappresenta uno dei frutti del mandato ricevuto a Gleneagles nel 2005. Quel vertice ha rappresentato un momento saliente del dibattito internazionale relativo a quelle che generalmente definiamo
‘sfide globali’. A Gleneagles, infatti, si è preso atto che
lo sviluppo sostenibile richiede
robusti correttivi alle politiche energetiche mondiali. Alla base di tale conclusione, vi è un problema che riguarda il sistema di
approvvigionamento delle fonti energetiche primarie di tutte le principali economie del pianeta. La domanda di energia cresce a ritmi sostenuti. Ciò si traduce nella ricerca sempre più affannosa di enormi quantità di
combustibili fossili, con conseguenze in termini di
tensioni geopolitiche e di sostenibilità ambientale e sociale. La crisi del
gas che
l’Europa ha affrontato lo scorso inverno ha evidenziato
la fragilità del sistema di approvvigionamento del Vecchio Continente, ma ha rappresentato solo
un sintomo dei rischi derivanti
dall’eccessiva dipendenza da un singolo combustibile e da pochi Paesi produttori. In un’ottica di lungo periodo, il problema diverrà il medesimo per tutti: un modello di sviluppo basato in gran parte su risorse esauribili, oltreché suscettibili di pesare profondamente sugli equilibri ambientali,
non è più sostenibile. Di fronte a realtà evidenti come il riscaldamento dei mari e lo scioglimento dei ghiacci perenni, il momento dell’azione non è più rinviabile. Rimango convinto che la sfida dei cambiamenti climatici e, più in generale, dello sviluppo sostenibile,
sarà vinta. Tuttavia, per riuscire a raggiungere questo obiettivo, dobbiamo contemporaneamente
agire su diversi fronti.
In primo luogo, dovrebbe essere riconsiderato
il mix di combustibili utilizzato per la generazione elettrica,
riequilibrando l’apporto di petrolio, gas e carbone pulito ed incrementando progressivamente la produzione da
fonti rinnovabili. Oggi, alcune tecnologie
‘pulite’ per la
generazione elettrica sono ancora relativamente
poco competitive, da un punto di vista economico, mentre altre promettono rapidi sviluppi. E’ pertanto necessario rinnovare ogni sforzo e sfruttare ogni possibile
innovazione tecnologica in modo da renderle, nel più breve tempo possibile, maggiormente efficienti e utilizzabili su larga scala. L’efficienza energetica degli impianti e delle apparecchiature deve essere
incrementata drasticamente, sia sul fronte della produzione e del trasporto di energia, sia su quello del suo utilizzo.
L’efficienza energetica è definita, non senza ragione, il combustibile migliore e
più ‘eco-compatibile’. Essa può dunque rappresentare il vero punto di svolta per
diminuire la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Nei Paesi più sviluppati si assiste spesso ad una palese
contraddizione: da una parte, la ricerca sui materiali e sulle nuove tecnologie offre
soluzioni sempre più efficienti dal punto di vista energetico e ambientale ed a prezzi contenuti. Dall’altra, però, si continua a
consumare energia in modo irrazionale e mediante apparecchiature costose e obsolete. Tutto ciò mi sembra
miope: dobbiamo essere consapevoli che è possibile
risparmiare enormi quantitativi di combustibili, semplicemente modificando alcune
abitudini del nostro vivere quotidiano. La
ricerca, ovviamente, non può essere limitata al perseguimento dell’efficienza energetica, ma deve essere considerata, a tutti gli effetti, come
uno strumento strategico lungo il percorso di uno sviluppo sostenibile e globale. In campo tecnologico è necessario distinguere due aree molto diverse. Un primo ambito omogeneo è costituito dalle
tecnologie che già oggi sono utilizzabili a livello industriale, anche se non sempre a costi del tutto competitivi. Qualora ci si trovi in presenza di tecnologie che non sono più allo stadio puramente sperimentale e che possono già essere sfruttate a livello industriale, diviene necessario
spingere le imprese e i consumatori ad adottarle, se necessario anche tramite l’adozione di
strumenti di mercato e/o forme di sussidio temporaneo che ne favoriscano la diffusione. Una seconda categoria è rappresentata dalle tecnologie che, pur essendo promettenti, sono ancora allo stadio di sperimentazione
‘di laboratorio’. In questo caso, è opportuno prevedere strumenti di
sostegno di natura governativa, che nei casi più impegnativi potrebbero anche essere
multilaterali. In tema di incentivi e di efficienza, credo sia necessario fare un cenno anche alla
Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del
1992 e al suo
Protocollo firmato a Kyoto nel 1997. Limitare e contenere i
cambiamenti climatici è un dovere di tutti. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni di impegno,
le emissioni inquinanti sono oggi ancora in aumento non solo in quei Paesi che non hanno accettato di sottoscrivere il
Protocollo di Kyoto o ne sono esclusi, ma anche in molti Stati che lo hanno
ratificato. Un problema globale non può essere affrontato con un approccio locale. E’ evidente che
se alcune grandi economie industriali (come gli Stati Uniti) e quelle in via di fortissima industrializzazione (Cina e India) non accetteranno di contribuire a ridurre le emissioni, non vi è alcuna possibilità che il Protocollo di Kyoto abbia successo nel contenimento del surriscaldamento del nostro pianeta. Pertanto, è necessario immaginare e costruire sin d’ora un
‘regime post-Kyoto’ (cioè post – 2012), ipotizzando
modifiche al meccanismo della
Convenzione Quadro in modo da renderlo maggiormente
inclusivo ed efficace. Voglio concludere con un
richiamo anche all’Unione europea. Io credo che i tempi di effettiva realizzazione di un
unico mercato continentale dell’energia per un vero salto di qualità nella definizione di una
politica estera comune in materia energetica, siano ormai
maturi. Il
Consiglio europeo informale di Lathi dello scorso ottobre ha posto le basi per una maggior
concentrazione tra i 25 Paesi dell’Unione europea nelle relazioni esterne nel campo dell’energia. E’ dunque auspicio di questo governo che
l’Europa si doti di un Piano di Azione per l’Energia, con una visione non solo di breve ma anche di lungo periodo. Proprio dall’energia può finalmente
partire il processo di integrazione dell’Europa ed il consolidamento delle istituzioni comunitarie. L’Italia vuole essere un fattore di impulso per questo processo. Ed è per questo motivo che il governo italiano attribuisce
particolare importanza sia al
Congresso Mondiale dell’Energia, in programma a Roma nel novembre del 2007, che costituirà il più importante momento di dialogo in seno al mondo privato, sia alla prossima sessione
dell’International Energy Forum, previsto sempre in Roma nella primavera del 2008, appuntamento che rappresenterà il principale
Forum mondiale di discussione tra Paesi produttori e Paesi consumatori di energia, cui sono associati i vertici delle maggiori imprese petrolifere multinazionali e nazionali. Sono consapevole delle implicazioni politiche e sociali che riveste un tema strategico come quello dell’energia per ogni Paese. Allo stesso tempo, mi rendo conto della portata delle sfide che ci pone
la necessità crescente di energia. Ritengo, perciò, che qualora ritardassimo il perseguimento di una vera
integrazione delle reti tra i Paesi europei in campo energetico, così come di una
reale armonizzazione delle regole di mercato assieme alla definizione di una
strategia esterna comune in questo settore, emergerebbe sempre di più il rischio di
compromettere il nostro sviluppo economico e la nostra competitività, se non addirittura di pregiudica il nostro stesso
modo di vivere.
Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri