Pur nella
confusione totale di questi ultimi anni, dovuti a una
pandemia planetaria e a un nuovo
conflitto bellico in
Europa, ci siamo imbattuti in una discussione culturale interessante: il
‘mainstream’ dei film di
animazione digitale, dominato da
Disney e
Pixar, non propone più il ruolo del
‘cattivo’, ma solo quello di
personaggi problematici, affetti da
traumi lontani, che non sono mai riusciti a superare. Si tratta di una
critica tradizionalista, anche se la accettiamo di buon grado per la capacità di
individuare un tema che, in effetti, appare evidente. Quello di coloro che vorrebbero tanto
una donna presidente della Repubblica in quanto
‘esperimento’, o come una semplice
‘parentesi’: una sorta di
concessione ‘ottriata’, per dirla tutta. Certificare l’esistenza di un soggetto moralmente
‘cattivo di sana pianta’ era una
semplificazione del passato. Anche nei casi di
‘grandiosa malvagità’. E il tema
dell’eroe negativo, che aveva cominciato a farsi strada nella
letteratura francese sin dai primi anni del novecento, con l’invenzione del
‘ladro-gentiluomo’ di nome
Arsenio Lupin - uscito dalla penna geniale di
Maurice Leblanc - piano piano ha cominciato a farsi strada. Insomma, il tema dei
cattivi “che poi così cattivi non sono mai”, per dirla con le parole di
Ivano Fossati, è alquanto recente. Per le culture
puritane e
anglosassoni, in particolare, addirittura recentissimo. E’ la medesima obiezione che si solleva in politica, quando si viene accusati di voler instaurare il cosiddetto
“pensiero unico”, che tale viene definito perché ci si ritrova
presi in contropiede da una
novità qualsiasi. Il fatto che si affermino
nuove tendenze culturali è un segnale della vivacità di
autori, sceneggiatori, scrittori e
artisti. E persino il tema delle
‘narrazioni’, sollevato anni addietro proprio dalle colonne della presente
testata, dimostra un’attenzione e una capacità di rinnovamento della nostra cultura che dovrebbe segnalarci esattamente il contrario. E cioè che il
vero ‘pensiero unico dominante’ era quello
precedente, ormai
‘finito in soffitta’, poiché divenuto
‘inattuale’. Pertanto, dato che ormai ci si lamenta di tutto, la notizia diviene che qualcuno si lamenta
anche di questo, poiché si tratta di una
complicazione e non di una
semplificazione. Un’obiezione, quest’ultima, che avrebbe un proprio grado di
fondatezza in una chiave di
comunicazione commerciale, non quando si parla di
culture ‘umaniste’, dunque
non ‘contrattualiste’. L’accusa di voler imporre un
'pensiero unico' è sostanzialmente un
‘nonsense’: una
contraddizione in termini, che dimostra la
staticità della
posizione accusatoria. La quale, invece, era tenuta anch’essa a
rielaborare il proprio pensiero, al fine di proporre
innovazioni. Restare fermi come la
moglie di Lot, trasformata in una
statua di sale in un famoso
episodio biblico, non è mai una buona cosa. Anche perché dimostra una conoscenza puramente
elementare di chi dice di voler difendere le ragioni di una
fede o di una
filosofia morale, quando in realtà si sta dimostrando una visione valoriale puramente
ritualista e
dogmatica della propria credenza. Insomma, il problema non è quello di amare o meno un
filone culturale o
letterario qualsiasi, bensì di non riuscire a difenderlo poiché si rigetta la
messa in discussione di alcuni elementi divenuti
obsoleti o
superati, che dovrebbero prevedere una
nuova interpretazione simbolica. Insomma, c’è chi ha
nostalgia del ‘cattivo’, perché spesso è il personaggio
meno noioso e più divertente, che inserisce l’elemento del
conflitto divenendo il vero
‘motore’ di una storia. Che è un po’ come
rimpiangere la ‘lotta di classe’, o qualcosa del genere. Se le
culture progressiste stanno cercando
nuove vie di sperimentazione filosofica o anche semplicemente metodologica,
l’immobilismo delle
culture ‘altre’ non è un
buon segnale. Ma se il
classismo dei cattivi stava tanto sulle
‘scatole’ a tutti, anche quello
‘rovesciato’, tendente a creare
nuovi conformismi, perché adesso lo si
rimpiange? Semplice: perché il
'cattivo', esattamente come le culture eversive e protestatarie, in genere
‘scuote l’albero’ senza mai riuscire a
coglierne i ‘frutti’. I
'cattivi', soprattutto nelle storie per bambini,
non vincono mai: sono fondamentalmente degli
stupidi. Ma ciò rappresenta un
elemento irreale, poiché nella vita di tutti i giorni è proprio lo
stupido a
fare più danni. La
‘grandiosa malvagità’, a suo modo, è una forma di
intelligenza, per quanto
criminale essa sia. Ma se
Pietro Gambadilegno continua a farsi sconfiggere da
Topolino e non riesce mai a comprendere perché non gliene vada mai una
‘dritta’, un problema di
‘scarsa intelligenza’ questo tipo di
‘cattivi tradizionali’ ce l’hanno eccome. Perché in realtà non si tratta di
malvagi, ma di semplici
opportunisti, che cercano di far la
‘grana’ con
metodi disonesti o, comunque,
facili: la rappresentazione di un personaggio
privo di princìpi, che non crede nelle virtù del
risparmio, del
lavoro, del
sacrificio, nel valore del
denaro guadagnato. Se si voleva una
sinistra ‘laburista’ e non più
‘rivoluzionaria’, adesso non ci si può lamentare perché non ci sono più
“i comunisti di una volta”. Ma, allora,
non siete mai contenti… Ogni scusa è buona pur di evitare di affrontare la
verità. E cioè che i
veri stupidi sono proprio coloro che credono che
tutto sia immobile, che nulla debba mai
cambiare. Persino quando le cose
cambiano da sole. E questo non è
conservatorismo, bensì
pigrizia mentale.