Giovanna AlbiPur nella confusione totale di questi ultimi anni, dovuti a una pandemia planetaria e a un nuovo conflitto bellico in Europa, ci siamo imbattuti in una discussione culturale interessante: il ‘mainstream’ dei film di animazione digitale, dominato da Disney e Pixar, non propone più il ruolo del ‘cattivo’, ma solo quello di personaggi problematici, affetti da traumi lontani, che non sono mai riusciti a superare. Si tratta di una critica tradizionalista, anche se la accettiamo di buon grado per la capacità di individuare un tema che, in effetti, appare evidente. Quello di coloro che vorrebbero tanto una donna presidente della Repubblica in quanto ‘esperimento’, o come una semplice ‘parentesi’: una sorta di concessione ‘ottriata’, per dirla tutta. Certificare l’esistenza di un soggetto moralmente ‘cattivo di sana pianta’ era una semplificazione del passato. Anche nei casi di ‘grandiosa malvagità’. E il tema dell’eroe negativo, che aveva cominciato a farsi strada nella letteratura francese sin dai primi anni del novecento, con l’invenzione del ‘ladro-gentiluomo’ di nome Arsenio Lupin - uscito dalla penna geniale di Maurice Leblanc - piano piano ha cominciato a farsi strada. Insomma, il tema dei cattivi “che poi così cattivi non sono mai”, per dirla con le parole di Ivano Fossati, è alquanto recente. Per le culture puritane e anglosassoni, in particolare, addirittura recentissimo. E’ la medesima obiezione che si solleva in politica, quando si viene accusati di voler instaurare il cosiddetto “pensiero unico”, che tale viene definito perché ci si ritrova presi in contropiede da una novità qualsiasi. Il fatto che si affermino nuove tendenze culturali è un segnale della vivacità di autori, sceneggiatori, scrittori e artisti. E persino il tema delle ‘narrazioni’, sollevato anni addietro proprio dalle colonne della presente testata, dimostra un’attenzione e una capacità di rinnovamento della nostra cultura che dovrebbe segnalarci esattamente il contrario. E cioè che il vero ‘pensiero unico dominante’ era quello precedente, ormai ‘finito in soffitta’, poiché divenuto ‘inattuale’. Pertanto, dato che ormai ci si lamenta di tutto, la notizia diviene che qualcuno si lamenta anche di questo, poiché si tratta di una complicazione e non di una semplificazione. Un’obiezione, quest’ultima, che avrebbe un proprio grado di fondatezza in una chiave di comunicazione commerciale, non quando si parla di culture ‘umaniste’, dunque non ‘contrattualiste’. L’accusa di voler imporre un 'pensiero unico' è sostanzialmente un ‘nonsense’: una contraddizione in termini, che dimostra la staticità della posizione accusatoria. La quale, invece, era tenuta anch’essa a rielaborare il proprio pensiero, al fine di proporre innovazioni. Restare fermi come la moglie di Lot, trasformata in una statua di sale in un famoso episodio biblico, non è mai una buona cosa. Anche perché dimostra una conoscenza puramente elementare di chi dice di voler difendere le ragioni di una fede o di una filosofia morale, quando in realtà si sta dimostrando una visione valoriale puramente ritualista e dogmatica della propria credenza. Insomma, il problema non è quello di amare o meno un filone culturale o letterario qualsiasi, bensì di non riuscire a difenderlo poiché si rigetta la messa in discussione di alcuni elementi divenuti obsoleti o superati, che dovrebbero prevedere una nuova interpretazione simbolica. Insomma, c’è chi ha nostalgia del ‘cattivo’, perché spesso è il personaggio meno noioso e più divertente, che inserisce l’elemento del conflitto divenendo il vero ‘motore’ di una storia. Che è un po’ come rimpiangere la ‘lotta di classe’, o qualcosa del genere. Se le culture progressiste stanno cercando nuove vie di sperimentazione filosofica o anche semplicemente metodologica, l’immobilismo delle culture ‘altre’ non è un buon segnale. Ma se il classismo dei cattivi stava tanto sulle ‘scatole’ a tutti, anche quello ‘rovesciato’, tendente a creare nuovi conformismi, perché adesso lo si rimpiange? Semplice: perché il 'cattivo', esattamente come le culture eversive e protestatarie, in genere ‘scuote l’albero’ senza mai riuscire a coglierne i ‘frutti’. I 'cattivi', soprattutto nelle storie per bambini, non vincono mai: sono fondamentalmente degli stupidi. Ma ciò rappresenta un elemento irreale, poiché nella vita di tutti i giorni è proprio lo stupido a fare più danni. La ‘grandiosa malvagità’, a suo modo, è una forma di intelligenza, per quanto criminale essa sia. Ma se Pietro Gambadilegno continua a farsi sconfiggere da Topolino e non riesce mai a comprendere perché non gliene vada mai una ‘dritta’, un problema di ‘scarsa intelligenza’ questo tipo di ‘cattivi tradizionali’ ce l’hanno eccome. Perché in realtà non si tratta di malvagi, ma di semplici opportunisti, che cercano di far la ‘grana’ con metodi disonesti o, comunque, facili: la rappresentazione di un personaggio privo di princìpi, che non crede nelle virtù del risparmio, del lavoro, del sacrificio, nel valore del denaro guadagnato. Se si voleva una sinistra ‘laburista’ e non più ‘rivoluzionaria’, adesso non ci si può lamentare perché non ci sono più “i comunisti di una volta”. Ma, allora, non siete mai contenti… Ogni scusa è buona pur di evitare di affrontare la verità. E cioè che i veri stupidi sono proprio coloro che credono che tutto sia immobile, che nulla debba mai cambiare. Persino quando le cose cambiano da sole. E questo non è conservatorismo, bensì pigrizia mentale.





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