Sabato 5 marzo scorso, sono usciti tre articoli di altrettanti importanti giornalisti (Antonio Polito, Aldo Cazzullo e Lucio Caracciolo), che hanno dato una visione plastica del 'nodo' in cui è ormai avvolto il mondo occidentale sul come affrontare la guerra tra Russia e Ucraina. Fin qui, la Nato e gli ambienti ultraconservatori Usa, che il presidente Biden argina a fatica, hanno tenuto una linea di certo lontana dal metodo liberale. Hanno cioè consentito per lungo tempo (come minimo), che l’Ucraina non adempisse al Trattato di Minsk 2, da essa stessa sottoscritto nel 2015, sul punto essenziale, nell’ottica russa, del riconoscimento di un’autonomia rafforzata alla regione del Donbass. E sono rimasti inerti ancora due settimane fa, quando proprio Vladimir Putin ha posto quel riconoscimento quale condizione per non iniziare l’invasione dell’Ucraina. Già questa inerzia prolungata – completamente estranea al metodo liberale – è stata oggettivamente un errore capitale (salvo s’intendesse provocare l’incidente che portasse a una guerra non locale...). Il comportamento è perfino peggiorato dopo l’invasione dell’Ucraina, poiché si è risposto con una campagna mediatica martellante in tutto l’occidente, per denunciare l’aggressione dell’autocrate Putin e sollecitare l’aiuto del mondo libero agli ucraini in guerra per la loro libertà e in difesa preventiva della nostra. Con quale obiettivo, se si esclude la guerra non locale? Peraltro, la logica della libertà non consente di per sé ambiguità tattiche. Se non si vuole la guerra mondiale – saggiamente, Biden ha ripetutamente detto di non volerla e, in seguito, anche la Nato lo ha confermato tali intenzioni – allora non si deve proseguire nell’aizzare l’opinione pubblica occidentale contro Putin e la Russia. Il fatto che la Russia abbia una struttura poco democratica e che Putin sia modellato sul Kgb, oltre che fatto notorio, è indiscutibile. Quindi, insistere su questo tasto serve solo a spingere verso il ritorno al clima della ‘guerra fredda’. Che è un clima inadatto a promuovere gli scambi e i confronti: i soli presupposti del rafforzarsi della libertà civile imperniata sul 'cittadino-individuo'. E perciò, un clima autolesionista. I tre articoli richiamati all’inizio sono emblematici del ‘nodo’ di fronte a noi: Polito cita Churchill, che apostrofò i governanti inglesi con la famosa frase: “Potevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. E commenta: “Oggi, in Ucraina, ci sono i carri armati e i missili russi. E se si è contro la guerra, è contro chi la fa che bisogna manifestare”. A sua volta, Cazzullo scrive: “Viene un momento in cui bisogna decidere da quale parte stare. I generici appelli alla pace sono condivisibili, ma non bastano. La nostra parte non può che essere quella della libertà e della democrazia. È retorica? No, è carne e sangue”. Ambedue evocano solo emozioni e non propongono coerenti comportamenti liberi sul come agire in concreto. Per cui, o preparano il passaggio alla guerra armata, oppure lavorano per una nuova ‘guerra fredda’. Il buon Caracciolo, invece, svolge un’analisi assai più precisa di tre differenti scenari, ma indica una sola strada: ”Per evitare che si sfoci nella guerra totale e nella destabilizzazione permanente dell’Eurasia, è meglio esplorare la via negoziale, per intavolare un negoziato fra Putin e Zelensky”. E’ indispensabile (e urgente) che il mondo occidentale s’impegni nel favorire questo negoziato, cominciando dall’indurre l’Ucraina (da tempo esistono stretti rapporti riservati con Kiev) a essere disponibile ad accettare le principali condizioni di Putin per senso di realismo, dato che il disattendere il Trattato Minsk 2 ha favorito lutti e distruzioni. Il mondo occidentale ha il compito di convincere Zelensky che, nel 2022, la libertà non matura con l’emotività degli appelli a sua difesa, evocando una sorta di ‘guerra santa’. Del resto, la libertà vive di conflitti democratici, ma non è esportabile e dev'esser fatta crescere nei luoghi in tensione. Ragion per cui, i liberali debbono attivarsi per far sì che i comportamenti reali nelle relazioni tra nazioni differenti siano il meno possibile distanti da quelli della libertà. Un simile comportamento dell’occidente è indispensabile e urgente, anche per incanalare i potenziali sviluppi pericolosi del sistema delle sanzioni economiche messe in campo finora. A parte il far crollare la globalizzazione come principio, è esatto quanto sottolinea l’Economist: “Si può aprire una nuova era della guerra economica ancor più divisiva dell’economia mondiale, poiché le sanzioni economiche robuste spingono all’autarchia e, quindi, alla chiusura dei mercati. Il che allontanerebbe troppi Paesi dal sistema finanziario imperniato sull’occidente, favorendo certamente la Cina, già oggi dedita attivamente a costruire un suo modello, imperniato sul renminbi (la valuta cinese, ndr)”. E, più in generale, ridurre gli scambi è sempre un concreto atto a danno delle libertà.