Michela DiamantiSono passati 44 anni da quando la sonda spaziale Voyager 2 ha lasciato il nostro pianeta, al fine di ottenere nuove visioni sulla nostra via Lattea, tra le infinite distese dello spazio. Durante tutto questo periodo, la navicella spaziale senza equipaggio della Nasa è penetrata nella nostra galassia per circa 18 miliardi di chilometri, dopo aver attraversato le orbite dei pianeti del nostro sistema solare. In particolare, Voyager 2 ha regolarmente inviato dati importantissimi sulla Terra. Tuttavia, la connessione con la sonda si era già interrotta una prima volta nel marzo del 2021. Un problema può capitare a qualsiasi veicolo spaziale. Soprattutto, se parliamo di una sonda della Nasa lanciata nel lontano 1977, insieme alla gemella Voyager 1. Si tratta delle due navicelle costruite dall’uomo che sono andata più lontano di tutte le altre. Ebbene, il 25 gennaio scorso, alla Voyager 2 è capitato un nuovo problema: la sonda, che si trovava nello spazio interstellare, doveva ruotare di 360 gradi per calibrare il proprio magnetometro, uno dei 5 strumenti ancora in funzione a bordo. Ma la manovra, a un certo punto, è abortita. L’analisi dei dati telemetrici inviati dal veicolo spaziale ha avuto un ritardo nell’eseguire i comandi, impedendo la manovra. Tale ritardo ha anche lasciato in funzione due sistemi ad alto consumo elettrico, causando una perdita di energia. Tuttavia, la procedura di attivazione del software di protezione, un sistema di sicurezza presente sia su Voyager 1, sia su Voyager 2 per la salvaguardia automatica, nel caso si verifichino circostante dannose come, per l'appunto, il consumo elevato di energia, si è auto-avviata, disattivando però tutti gli strumenti scientifici a bordo,al fine di compensare il deficit energetico. Uno spegnimento che la Nasa ha opportunamente comunicato con un tweet, garantendo al contempo lo stato di alimentazione della sonda Voyager 2 e lo ‘switch’ in modalità ‘on’ degli strumenti scientifici a bordo, dopo l’attivazione del sistema di protezione automatico dai guasti, che ha mantenuto la temperatura ottimale di esercizio del veicolo, affinché non si congelasse nello spazio profondo. Benché indirizzate in direzioni opposte, entrambe le sonde sono a circa 18.5 miliardi di chilometri dal sole. Una distanza che rende cruciali l’impiego di riscaldatori per il mantenimento delle loro funzioni: se questa venisse meno, i tubi del carburante potrebbero congelarsi. Di conseguenza, verrebbe a mancare l’alimentazione dei propulsori, i quali sono quelli che consentono alla sonda di orientare le proprie antenne verso la Terra. Insomma, la Nasa non sarebbe più in grado di ricevere dati o comunicare con essa.  Gestire il consumo di questa elettricità è perciò diventata, improvvisamente, un’operazione fondamentale, perché la sua capacità di produzione scende di circa 4 watt all’anno a causa del decadimento naturale dell’isotopo all’interno del generatore. Per tutti questi motivi, ovvero per ridurre i consumi, Houston ha dovuto spegnere il riscaldatore primario del rivelatore di raggi cosmici, che tuttavia risulta ancora in funzione. Esattamente tre giorni dopo, gli ingegneri della Nasa sono stati in grado di spegnere uno dei sistemi ad alta potenza rimasti attivi e a riaccendere tutti gli strumenti scientifici. E nei giorni successivi, essi hanno potuto monitorare lo stato complessivo della navicella, riportandola alle normale operatività, in attesa che riprenda la ricezione dei dati. Ricordiamo che le due sonde, Voyager 1 e 2, sono ancora in grado di operare e di mandare sulla Terra dati scientifici. Entrambe hanno abbastanza energia elettrica e carburante per poter funzionare a lungo. E il totale esaurimento della loro potenza elettrica avverrà non prima del 2025, quando le due navicelle si spegneranno definitivamente vagando nello spazio per forza di inerzia, senza che la Nasa possa più ricevere dati circa il loro viaggio nel cosmo infinito.





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