Sono passati
44 anni da quando la sonda spaziale
Voyager 2 ha lasciato il nostro pianeta, al fine di ottenere nuove visioni sulla nostra
via Lattea, tra le infinite distese dello
spazio. Durante tutto questo periodo, la navicella spaziale senza equipaggio della
Nasa è penetrata nella nostra galassia per circa
18 miliardi di chilometri, dopo aver attraversato le orbite dei pianeti del nostro
sistema solare. In particolare,
Voyager 2 ha regolarmente inviato dati importantissimi sulla
Terra. Tuttavia, la
connessione con la sonda si era già
interrotta una prima volta nel
marzo del 2021. Un problema può capitare a qualsiasi
veicolo spaziale. Soprattutto, se parliamo di una sonda della
Nasa lanciata nel lontano
1977, insieme alla gemella
Voyager 1. Si tratta delle due navicelle costruite dall’uomo che sono andata
più lontano di tutte le altre. Ebbene, il
25 gennaio scorso, alla
Voyager 2 è capitato un nuovo problema: la sonda, che si trovava nello
spazio interstellare, doveva
ruotare di
360 gradi per calibrare il proprio
magnetometro, uno dei
5 strumenti ancora in funzione a bordo. Ma la manovra, a un certo punto, è
abortita. L’analisi dei
dati telemetrici inviati dal veicolo spaziale ha avuto un
ritardo nell’eseguire i comandi, impedendo la manovra. Tale ritardo ha anche lasciato in funzione due sistemi ad
alto consumo elettrico, causando una perdita di energia. Tuttavia, la procedura di attivazione del
software di protezione, un sistema di sicurezza presente sia su
Voyager 1, sia su
Voyager 2 per la salvaguardia automatica, nel caso si verifichino circostante dannose come, per l'appunto, il consumo elevato di energia, si è
auto-avviata, disattivando però tutti gli
strumenti scientifici a bordo,al fine di compensare il
deficit energetico. Uno spegnimento che la
Nasa ha opportunamente comunicato con un
tweet, garantendo al contempo lo stato di alimentazione della sonda
Voyager 2 e lo
‘switch’ in
modalità ‘on’ degli
strumenti scientifici a bordo, dopo l’attivazione del sistema di protezione automatico dai guasti, che ha mantenuto la
temperatura ottimale di esercizio del veicolo, affinché non si congelasse nello spazio profondo. Benché indirizzate in
direzioni opposte, entrambe le sonde sono a circa
18.5 miliardi di chilometri dal
sole. Una distanza che rende cruciali l’impiego di
riscaldatori per il mantenimento delle loro funzioni: se questa venisse meno, i tubi del carburante potrebbero
congelarsi. Di conseguenza, verrebbe a mancare
l’alimentazione dei propulsori, i quali sono quelli che consentono alla sonda di orientare le proprie
antenne verso la
Terra. Insomma, la
Nasa non sarebbe più in grado di ricevere dati o comunicare con essa. Gestire il consumo di questa elettricità è perciò diventata, improvvisamente,
un’operazione fondamentale, perché la sua capacità di produzione scende di circa
4 watt all’anno a causa del decadimento naturale
dell’isotopo all’interno del generatore. Per tutti questi motivi, ovvero per ridurre i consumi,
Houston ha dovuto
spegnere il riscaldatore primario del rivelatore di
raggi cosmici, che tuttavia risulta ancora in funzione. Esattamente
tre giorni dopo, gli ingegneri della
Nasa sono stati in grado di spegnere uno dei sistemi ad alta potenza rimasti attivi e a
riaccendere tutti gli strumenti scientifici. E nei giorni successivi, essi hanno potuto monitorare lo stato complessivo della navicella, riportandola alle
normale operatività, in attesa che riprenda la ricezione dei dati. Ricordiamo che le due sonde,
Voyager 1 e
2, sono ancora in grado di operare e di mandare sulla
Terra dati scientifici. Entrambe hanno abbastanza energia elettrica e carburante per poter funzionare a lungo. E il totale esaurimento della loro
potenza elettrica avverrà non prima del
2025, quando le due navicelle si spegneranno definitivamente vagando nello spazio per forza di inerzia, senza che la
Nasa possa più ricevere dati circa il loro viaggio nel
cosmo infinito.