Lorenza Morello
Il decreto legge n. 221 del 2021, lo scorso 24 dicembre ha varato la disciplina che entrerà in vigore in Italia dal primo febbraio, la quale stabilisce che il primo ciclo di vaccinazione e il booster aveva una validità di 6 mesi. Era a tutti evidente, che si trattasse di un elemento assolutamente da modificare in sede di conversione parlamentare. Solo tre giorni prima, infatti, la Commissione europea aveva stabilito, con il Regolamento n. 2288 del 21 dicembre 2021 (modificando il Regolamento 2021/953 del parlamento europeo per quanto riguarda il periodo di accettazione dei certificati di validazione, rilasciati nel formato del certificato Covid digitale dell'Ue), che la durata del certificato vaccinale passava da 12 a 9 mesi. La Commissione europea ha, quindi, approvato un regolamento delegato di attuazione del regolamento del Consiglio del parlamento, per garantire la libertà di circolazione all'interno dell'Ue, stabilendo due principi sulla validità delle certificazioni: 1) che sul primo ciclo di vaccinazione, la validità del certificato verde in Europa debba essere di nove mesi; 2) che, al momento, non debbano essere stabiliti limiti alla certificazione relativa al richiamo o booster. Il primo febbraio si rischia di creare l’ennesima situazione di conflitto tra la normativa europea e quella italiana, con due norme che entrano in vigore lo stesso giorno. Ma, come noto, per un principio di gerarchia delle fonti, se il diritto nazionale contrasta con Regolamenti e Direttive europee, esso non è applicabile. È quindi fondamentale, visto che il parlamento dovrà convertire in legge il decreto, che le Camere rivolgano particolare attenzione a questo tema, per evitare un fiorire di contenziosi di varia natura da parte dei cittadini. La disciplina Ue si esprime in modo chiaro ai punti ‘considerando’ (si chiamano così, ndr) 9, 10 e 14. Nei punti 9 e 10, infatti, si avvisa che: “L'adozione di misure unilaterali in questo settore potrebbe causare gravi perturbazioni, ponendo le imprese e i cittadini in un'ampia gamma di situazioni divergenti” e in “un'incertezza che comporta anche il rischio di minare la fiducia nel certificato Covid dell'Ue e di compromettere il rispetto delle necessarie misure di sanità pubblica”, con effetti “particolarmente dannosi in una situazione in cui l'economia dell'Unione è già stata duramente colpita dal virus”. Al punto 14, la Commissione europea prescrive, inoltre, che non si ponga al momento alcun termine per la validità della vaccinazione di richiamo, mentre il decreto legge in oggetto ha stabilito una validità a sei mesi, prevedendo che una eventuale quarta dose vada fatta dopo il sesto mese dal booster. Al contrario, adesso la quarta dose dovrebbe essere esclusa, almeno finché non ci sarà un termine di validità della certificazione booster. I contenziosi che potrebbero sorgere, laddove questo contrasto tra le fonti non venisse sanato, sono dunque molteplici e di diversa natura. Si pensi, per esempio, al caso di cittadini europei che vogliano venire in Italia o ai cittadini italiani che vogliano spostarsi all’interno dell’ambito europeo: può la certificazione degli uni o degli altri avere durata differente, a seconda del territorio dove questi si trovano, sebbene sempre in ambito Ue? Con buona pace di Schengen, ad oggi sarebbe così. E ancora, se il pass non venisse abolito e, per ottenere il rinnovo dello stesso, il requisito fosse ancora legato ai cosiddetti booster, i cittadini italiani dovrebbero sottoporsi al richiamo vaccinale con frequenza maggiore, rispetto ai compatrioti europei? Insomma, era pacifico che il Governo ponesse subito mano a tali difformità. Una volta ancora: “Ce lo chiede l’Europa”.





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