Valentina UghettoLa carriera artistica nel mondo della moda, per Monica Bolzoni iniziò nel 1970, quando aveva ormai preso piede un nuovo modello di produzione: il prêt-à-porter parigino. Il suo esordio, da giovanissima, avvenne come responsabile del prodotto e dell’immagine di Franck Olivier. Successivamente, nel lustro 1975-1980, diviene fashion coordinator per Elio Fiorucci, che si accorse subito della sua mente vulcanica: “La creatività ha sempre una radice nel sapere dell’altro, è il miglioramento di quello che c’è già”, era solito affermare il grande stilista e imprenditore, al fine di comunicare la sua idea di rilancio della tradizione ‘mutualista’ lombarda. Così si aprì il ciclo colorato del 'grafittismo' anni ‘80, quando la moda si fece arte e Monica Bolzoni, dalla Milano di Fiorucci, arriva a Los Angeles e a New York, dove vive il momento dell’avanguardia artistica scatenato dalla ‘Factory’ di Andy Warhol rielaborando contaminazioni spontanee tra arte, nuove idee e mode. Nel 1981, rientrata in Italia, decide di aprire un proprio laboratorio in via De Amicis n. 53, a Milano. Un laboratorio caratterizzato da un’impronta duale, comprendente sia il maschile, sia il femminile in un ‘total look’: bianco e blu. Aprirà successivamente, dopo BB1, gli storici negozi BB2 e BB LAND sul Naviglio Grande, che divenne il ‘contenitore’ della sua memoria creativa e lavorativa. Del resto, la curatrice della mostra inaugurata il 13 dicembre scorso presso la Galleria moderna e contemporanea di Roma, Anna Di Cesare, ha dedicato una nota tra i particolari curati su due livelli che, in poche righe, denota l’attitudine e il pensiero creativo dell’esperienza trentennale di moda della designer: “Sento il bisogno di personalizzazione e di recupero di un femminile diverso, libero, colorato, semplice, con grande vestibilità e di proporzioni reali, contrariamente alla moda del momento”, questa la poetica di Monica Bolzoni. Da qui la scelta della Di Cesare di citare, in una nota a parte, anche la professoressa Vittoria Caterina Caratozzolo, che definisce questo modo di creare moda, sinteticamente e oggettivamente, “un sistema armonioso di relazioni tra ricerca estetica e funzionalità, tra forme geometriche e proporzioni del corpo. Gli abiti di ‘Bianca e Blu’ vengono declinati in diversi colori e tessuti materiali, modulati in una gamma di combinazioni reversibili e riutilizzabili nei costumi disegnati per l’arte, che ne rappresenta una felice esemplificazione”. In felici composizioni, i vari manichini presentano i capi amati e descritti dalle più celebri riviste di moda: Vogue, Panorama e L’Espresso solo per citarne alcune. Attraverso la progettazione di capi realizzati per creare un romantico omaggio agli eccessi di un carattere volubile, si giunge con una concretezza quasi empirica allo stato d’animo di una donna abilissima nel creare tagli e volumi tali da assecondare il classico, per poi apporre qualcosa in contrasto. Una magia sottile, in taluni casi, come il fumo di una candela che traspare dai tatuaggi mostrata in alcune fotografie dal sentore ‘punk-rock’. Immagini figlie di quell’approfondire il mistero artistico, dalla strada ai ‘salotti bene’. Una mostra ariosa, dunque, dov’è possibile immergersi nei particolari ed esplorare nuove possibili realizzazioni artistiche.





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