Valentina Ughetto‘Camponeschi a piazza Farnese' ha presentato in questi giorni ‘Fineco incontra l’arte’ nella figura di Mario Tarroni. La mostra, inaugurata il 14 dicembre a piazza Farnese in Roma, è stata voluta fortemente da Banca Fineco, da sempre attiva anche nel campo artistico per la promozione dei beni culturali nella persona del private banker, Luigi Quaranta. Un evento che riprende quello già inaugurato a ottobre 2020 - e tuttora in corso - presso la filiale della banca di Lungotevere Michelangelo, composto da circa 50 opere dell’artista e direttore artistico ferrarese, Mario Tarroni, di ‘Tota Pulchra’. Sono opere di pittura e scultura tratte, in gran parte, dalla precedente esposizione Fineco. Monsignor Jean-Marie Gervais, membro del Capitolo vaticano e presidente dell’associazione ‘Tota Pulchra’, di cui è direttore artistico lo stesso Tarroni, era presente all’evento con la sua associazione volta alla promozione di giovani talenti, specie nel campo dell’arte e aperta alle più varie personalità. Hanno partecipato alla serata di inaugurazione anche noti critici d’arte e cinematografici come Raffaele Rivieccio, lo scrittore Giancarlo Capozzoli e tanti altri volti celebri, simpatizzanti del genio artistico dell'artista. ‘Le stanze dell’inconscio’ era il titolo esatto della mostra, poiché proprio quest’opera ha permesso di portare avanti un’idea legata alla memoria di Philippe Daverio, scomparso poco più di un anno fa e che per primo ne aveva tessuto le lodi, con il desiderio di farne una mostra personale a casa sua, in accordo con monsignor Gervais. C’è da sottolineare che Mario Tarroni è decisamente un artista che guarda alla vita con la semplicità dell’essenza: “Un rapporto molto intimo con se stessi e con la divinità”, afferma, “poiché per me Dio è ovunque, nella natura e nello spazio. Come non pensare, qui, anche ai panteisti Spinoza e Giordano Bruno? A proposito di piazza Farnese e Campo dei Fiori: absit iniuria verbis”, ha esclamato Tarroni. Nei lavori di questo maestro, in effetti si coglie ciò che idealmente è il frutto di una cultura nata precedentemente, con le opere di Pistoletto del periodo dell’arte povera. Ritroviamo nei legni del Po e in altri riferimenti, il forte movimento artistico degli anni ‘60 del secolo scorso, caratterizzato dall’uso di materiali di recupero non convenzionali. Una ricerca sottile, che trova espressione, in particolare, nella scultura e mette, ancora oggi, in discussione cosa costituisca veramente un’arte ‘alta’. I materiali utilizzati sono vari ed eclettici, consistenti e soffici, semplici e variopinti, preziosi e comuni. Uno dei lavori più conosciuti è proprio la ‘Stanza dell’inconscio’, che combina una visione di arte ‘alta’ della cultura classica occidentale con piccoli scampoli e oggetti inutilizzati, incarnando questo contrasto tra ‘alto’ e ‘basso’ proposto anche dal Pistoletto a Blenheim Palace. Artista nato con basi classiche, esaltate dalla bellezza di Codigoro (Fe) e la sua notissima Abbazia di Pomposa (VI-VII secolo d. C.), Mario Tarroni ha studiato Storia dell'arte e Conservazione dei beni culturali a Venezia e, contemporaneamente, teatro a Bologna. Successivamente, l’artista ha lavorato in campo pubblicitario e cinematografico, benché si occupi, attualmente, soprattutto di pittura e scultura. Oltre a questa sua personale, che è possibile visitare in questi giorni, l'artista ferrarese è impegnato in un’iniziativa di grande pregio e prestigio culturale, incentrata sulle creazioni di un grande maestro della moda e del design, Roberto Capucci. Lo stesso Tarroni ci tiene a delineare i tratti di un progetto d’esposizione, ancora digitale, per i 90 anni di Capucci (www.grazie.tv), organizzata con il patrocinio del Pontificio Consiglio della cultura e della Fabbrica di San Pietro. Organizzatore di questo evento digitale, Mario Tarroni ci annuncia che si tratta di un’esposizione di “Madonne vestite: una serie di sartorie in tutta Italia, piccole realtà poco conosciute, ma pazientemente individuate, che hanno realizzato, su disegno del maestro Capucci, una serie di abiti finemente lavorati, che hanno vestito manichini raffiguranti, appunto, la Madonna. Si tratta di una forte tradizione di devozione popolare”, precisa ancora l'artista, “risalente al Rinascimento e al Medioevo, diffusa in gran parte d’Europa. E' anche una forma di espressione per far conoscere se stessi, ovviamente: in un quadro o in una scultura, i colori arrivano direttamente dall'intimità del soggetto, dell'artista. Ecco, appunto, il legame con l’inconscio del ‘facitore d’arte’: non possiamo dimenticare una visione dell’arte come ‘porta sull’infinito’, puntualmente manifestato, nel passato recente, anche da pontefici come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, sino ad arrivare a Papa Francesco”. E tra un bicchiere di vino italiano e fresco champagne, si è brindato da Camponeschi, tra le opere di Mario Tarroni e le luci che scaldano il cuore per un Natale che, ci auguriamo, possa essere finalmente più sereno e felice per tutti. Perché la vita è fatta di piccole e grandi cose.





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