Vittorio LussanaHammamet di Gianni Amelio è un film che rimane in mezzo al guado. Così come a mezza strada si ritrova l’Italia intera nei confronti della verità storica. La pellicola, riproposta su Rai 3 la sera del 22 ottobre scorso, fatta salva l’interpretazione di Pierfrancesco Favino è un’opera di medio livello, con momenti toccanti e un ‘doppio finale’ apprezzabile, che tuttavia ha il torto di abbandonare sullo sfondo la questione politica della vicenda di Bettino Craxi, lasciando le cose così come stanno. Un film che, debbo confessarlo, non ho amato e non amo. C’è l’intuizione di un uomo che viene lasciato morire durante il finale di uno spettacolo teatrale assai mediocre. Una scena che, oltre a individuare la mia personale tipologia di incubi ricorrenti, rappresenta assai bene la realtà di un Paese capace di ridurre in condizioni disperate la vita di uomo che ha lavorato fino all'ultimo dei suoi giorni. Un’indicazione di arretratezza mentale e di volgarità presentata solamente alla fine. Come per dire: “Abbiamo capito. Anche noi siamo umanamente dispiaciuti, ma di più, al momento, non possiamo dire, né ammettere”. E’ sempre la stessa storia, in fondo: si riabilita, in parte, un personaggio o un leader del passato per recuperarne la lezione. Ovvero, la lucida visione di un orizzonte laico e liberalsocialista per l’Europa del XXI secolo e per l’intero mondo occidentale. E’ sempre lo stesso meccanismo, ipocrita e falso: quando qualcuno possiede una visione dev’essere eliminato, perché non può e non deve disturbare. Un orrore che vale tanto a destra, quanto a sinistra, sin dai tempi di Antonio Gramsci, Giovanni Gentile, Pier Paolo Pasolini, Aldo Moro e moltissimi altri. Non per Silvio Berlusconi, come erroneamente si crede, poiché anch’egli si adeguò, anche se in una ‘chiave difensiva’, alla lugubre cerimonia di calpestamento antropico della prima Repubblica. Un contenuto che l’opera cita con una semplice telefonata di passaggio. Ovvero, non più di un cenno. Per non osare, per non disturbare la digestione di chi è economicamente influente e potrebbe non farti più fare un film, in questa nostra democrazia ‘da operetta’, dove non avanza chi è più valido, ma chi nuoce di meno, in quanto privo di storia e della Storia. Se anche Gesù Cristo in persona tornasse sulla Terra, Egli verrebbe crocifisso una seconda volta, poiché nulla di antropologicamente evolutivo è tenuta ad apprendere una società abitata da un’umanità che dovrebbe smetterla di temere i demoni, poiché ne risulta già invasa nella sua stessa struttura sociale. Una società marcia sin nelle fondamenta: ecco quello che siamo. Si allude senza connotare, secondo il comunismo cattolico di chi giudica senza aprir bocca, che ti uccide senza neanche affrontarti, che ti batte una mano sulla spalla come segnale di pugnalata alla schiena già vibrata da tempo. Una critica da ipercritici: conosciamo sin d’ora il giudizio di chi c’è e deve continuare a esserci. Per forza, anche se ci rappresenta sempre più vergognosamente. Un film che qualcosa suggerisce, ma solo per chi può intendere, solamente per chi può capire. E questo ‘qualcosa’ non viene mai detto apertamente, depositando la tipica mezza verità di chi non ha il coraggio di ammettere le dissociazioni dei tanti, di chi si trasforma in un architetto perché è crollato un ponte, o nel commissario tecnico della nazionale di calcio quando la nostra rappresentativa vince, ma non convince. Cosa parliamo a fare di libertà se poi un leader qualsiasi deve per forza inseguire il popolo, anziché convincerlo della bontà del suo progetto politico o del suo stesso pensiero? Cosa parliamo a fare di leadership, di culti della personalità, di papati ierocratici, di santi e grandi mistici che hanno compreso ogni cosa? A cosa servono tutte queste chiacchiere disinformate e sorde, che lasciano imperare una logica assembleare e ‘rousseauiana’, in cui bisogna far contenti tutti e non scontentare mai nessuno? E quando non servi più, ti gettano via. Un’idea grigia di società tendente alla mediocrità, che non comprende minimamente nulla di ciò che dovrebbe essere considerato ideale, eccezionale, etico e, persino, morale. A cosa serve tutto questo? Non serve a nulla: questa è la verità. Fino al punto di preferire la clandestinità o il qualunquismo, in ultima analisi. Quel qualunquismo inciso nel Dna di un popolo che ritrova se stesso solamente quando tutto è ormai perduto, incapace di riconoscere, in ogni processo storico, politico e culturale, il proprio punto di non ritorno. Una vita da ‘autotrasportati’, come quando ci si risveglia in piena pianura Padana e ci si rende conto di aver oltrepassato il valico appenninico ormai da ore. Ecco perché mente chi afferma di professare il ‘carpe diem’, il ‘qui e ora’, il gusto del momento, il vivere come se non esistesse un domani: perché si tratta di attualismo ‘meccanico’, incapace di produrre contenuti reali, autentici, integrali. Infine, un giudizio su Gianni Amelio: un regista che indubbiamente possiede una propria ‘mano’ artistica rispetto a una selva di gente che si limita a ‘registrare’, più che a dirigere, una scena, ma che ci appare, tuttavia, in piena fase calante. Perché siamo ormai giunti alla fine della Storia e della politica. E anche alla fine del cinema italiano. Sorrentino a parte.





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