Spendiamo volentieri due parole in favore della candidatura di
Bobo Craxi, capolista del
Partito socialista italiano alle prossime
elezioni comunali di Roma. Innanzitutto, torna il
Garofano rosso sulle schede elettorali e questa, già di per sé, è una notizia. Tuttavia, il fragile stato di salute di quel poco che è rimasto del glorioso
Partito di
Treves e
Turati, ma anche di
Nenni e
Craxi, merita un endorsement, al fine di sottolineare l’importanza di un ritorno non tanto alle
appartenenze ideologiche, bensì a quelle
culturali. Si tratta, infatti, di quella parte del
socialismo italiano non
democristianizzata, composta da compagni tutto sommato ortodossi, che credono fermamente in una ricostruzione del panorama politico italiano riagganciato alle culture politiche più autentiche, fondato su solide
basi dottrinarie. Una piccola formazione che, da quasi due decenni, rimane inchiodata attorno a un
1% posizionandosi in un centro laico storicamente sottorappresentato. In secondo luogo, siamo di fronte al
Partito più antico d’Italia, ancora oggi portatore di un
Dna riformista che servirebbe come il pane, tanto al
Paese, quanto
all’Europa. Non è possibile che molti richiami culturali debbano essere ricordati a ogni Partito come
correzioni di completamento di provvedimenti esecutivi, affinché non diventino
norme demagogiche o
inapplicabili. Il discorso risulta complesso ai più, ce ne rendiamo pienamente conto: sono anni, ormai, che imploriamo una
'gamba laica' in grado di svolgere una funzione di
cerniera, finalizzata a stemperare gli animi e a riequilibrare la politica italiana, stabilizzandola. Niente da fare: nessuno capisce e, anche chi comprende, pensa innanzitutto al proprio destino. Intorno alla questione delle
polarizzazioni, si sappia che non ci sono solamente i
No vax di
destra o di
sinistra: anche molte posizioni
moderate o
centriste sono tali
solo formalmente, come pura immagine dettata da esigenze di propaganda. Più che concentrarsi sulle polemiche relative agli
esiti giudiziari dell’epoca di
Mani Pulite, dovremmo cominciare a riflettere sulla
deriva qualunquista scaturita come conseguenza, con Partiti caratterizzati da richiami culturali sempre più deboli e una nomenclatura composta da formazioni denominate con semplici
verbi imperativi (Vinciamo; Cambiamo),
astratte velleità (Azione; Liberi e Uguali),
posizionamenti difensivi (Partito democratico);
richiami movimentisti (M5S);
parentele scomode (Fratelli d’Italia). In tale situazione, gli unici a essere rimasti coerenti a una dottrina politica ben precisa sono i
socialisti, i
radicali e
un'ombra di liberali perennemente impegnati alla ricerca di un elettorato che, purtroppo, non esiste più. Da più di due decenni, televisioni e giornali impongono all’attenzione del popolo italiano leader e personaggi totalmente
privi di tradizione politica, che esprimono
identità confuse. Il
Pd mantiene un proprio aggancio con la riflessione di
Antonio Gramsci, mescolata a quella di
Don Minzoni: un’osmosi vagamente
'rodaniana', alla
Adriano Ossicini; in
Forza Italia, il
riformismo liberale 'einaudiano' fa capolino alternato con il
moderatismo popolare di
Alcide De Gasperi; infine, in
Fratelli d’Italia c’è chi torna a frequentare
(Veneziani e altri) i sentieri culturali
'gentiliani', oppure cerca di recuperare la mistica poetica del decadentismo di
Gabriele D’Annunzio ed
Ezra Pound. Poi ci sono la
Lega e il
Movimento 5 stelle: la prima si sta
arrovellando su un proprio ruolo
liberal-popolare; il secondo, cerca di muoversi lungo un
versante ambientalista, anch’esso totalmente mancante sulla scena politica di questo stravagante Paese. Tuttavia, un quadro politico di siffatto genere e tipo dimostra solamente come la politica non possa muoversi unicamente in base a un
propagandismo liquido e
populista, utile solamente ad
acchiappare voti senza essere in grado di
aggredire un problema anche minimo. La nascita del
Governo Draghi ha reso pienamente l’idea di una classe politica ormai totalmente scivolata nel
'vuotismo' propagandista dei
social network e degli
slogan utilizzati come
'gusci vuoti', quando invece servirebbero
professionalità, valori saldi, un minimo di
coerenza e
rigore etico. Tutte caratteristiche quasi
bandite o
fuori moda, che giustificano pienamente una candidatura come quella di
Bobo Craxi. Il quale, in veste di
sottosegretario agli Esteri, fu tra i principali protagonisti di una vittoria, quella
dell’Expo di Milano del
2015, sbandierata
ex post come un
trionfo di tutti. Perché una
vittoria ha sempre
tanti padri, mentre la
sconfitta ha
un’unica madre. Bobo Craxi ha dei meriti innegabili nella vita politica italiana più recente: è uno dei pochi esponenti politici che ha saputo portare a casa un
risultato concreto, in una fase in cui risultano vincenti una serie di leader che, quando sono al potere,
nemmeno si presentano al ministero oppure, come nel caso di
Giorgia Meloni, avrebbero ancora
tutto da dimostrare. Stiamo andando dietro a delle emerite
incognite, senza renderci conto di
impantanarci ancora di più nel fango, ignorando ogni aspetto di
competenza professionale, anche a livello municipale. Risulta pur vero che in tutto questo
'macello', c’è anche
Forza Italia. La quale, paradossalmente, continua a
zavorrare la situazione rimanendo abbarbicata a una leadership, quella di
Silvio Berlusconi, ormai logora e stanca, per semplici motivi
anagrafici. Da una parte, tutti cambiano tanto per cambiare:
“Proviamo con Giorgia”; “Salvini è una macchina da guerra”; “Conte è una gran brava persona” e via dicendo. Dall’altra, in
Forza Italia non cambia nulla e comanda sempre lo stesso. E nessuno che scriva due righe di analisi in merito a contraddizioni del genere, a dir poco singolari. Infine, c’è
Roma: una capitale in
condizioni miserevoli, per non dire desolanti.
Carlo Calenda sembrerebbe il
'meno peggio', sotto il profilo della competenza;
Roberto Gualtieri, un turno da ministro lo ha fatto;
Virginia Raggi era e rimane, ormai, improponibile;
Enrico Michetti proviene da un ambiente radiofonico tutto
'fuffa' e niente
'arrosto'. In questo
'casino', Bobo Craxi capolista del
Psi a
Roma svetta nettamente. Ma in pochi sono in grado di comprendere una verità politicamente così semplice, persino
banale. Ovvero, che si tratta di un ragazzo che si ostina a farsi portatore di una
tradizione storica fondamentale, rappresentata in tutti i Paesi del mondo; che
non s’intesta meriti altrui (Matteo Renzi); che
non diffonde fake news sui
social o nel
web (Matteo Salvini); che non ricicla
ricette obsolete spacciandole come nuove (Giorgia Meloni). Insomma, scegliere
Bobo Craxi significherebbe esprimere un voto contro quella
superficialità generalista, che ci ha condotti tutti quanti nel
baratro in cui siamo finiti.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale Giustappunto! pubblicata su www.gaiaitalia.com)