Trieste è una città
eclettica, oltre che futura protagonista delle nuove politiche d’incontro per le
‘Vie della Seta’. La sfaccettatura delle piazze e le sue spiagge rendono l’idea di come anche le riprese della recente serie della
‘Porta Rossa’ abbiano mostrato una città sicuramente aperta al confronto e all’accoglienza. Anche perché la denota, da circa un secolo, lo scorcio di
piazza d’Europa. Essendo riconosciuta sia come città d’avanguardia, in quanto sbocco di confluenza per i bacini mediterranei, si può splendidamente affermarne l’eleganza in ogni suo angolo. Le tavole e i capolavori esposti al
Museo Revoltella e i
Giardini del
Palazzo di Massimiliano caratterizzano nitidamente la città portuale come un
‘faro’ di altri tempi proprio in riva al
Castello di Duino. L’eccellenza culinaria, la vicina strada del
prosecco e gli allevamenti dei
parchi acquatici protetti rinnovano ogni anno le medesime eccellenze. L’attesa in città per l'eventuale arrivo della nuova ‘Via della Seta’ è palpabile. La stessa
Autorità del porto di Trieste da anni è impegnata in una riorganizzazione amministrativa e logistica dello scalo e in una sua
'blindatura', affinché gli investitori che dovessero arrivare trovino un perimetro giuridico entro il quale agire. È falso affermare che sia stato
‘svenduto’ il
porto di Trieste ai
cinesi. Innanzitutto, perché non è possibile né affittare, né vendere
‘lotti portuali’, bensì si possono solamente autorizzare concessioni; in secondo luogo, gli eventuali investimenti derivanti dai proventi dell’accordo, secondo quanto stabilito dalle norme regionali per la ricostruzione del
‘porto nuovo’, prevedono che sia proprio l’autorità portuale a gestirli. In realtà, continua insistente una campagna di delegittimazione basata sul nulla, in cui si cerca di allarmare gli alleati
americani per un accordo che, al momento, è ancora una semplice intesa, sancita da un
Protocollo. Inoltre, ci si sofferma sugli eventuali
investimenti cinesi quando la possibilità di utilizzare il
porto di Trieste non prevede esclusive, né limitazioni particolari.
L’ESEMPIO NEGATIVO DEL PIREOChi sta cercando da tempo di creare una campagna di delegittimazione delle
‘Vie della Seta’, lo sta facendo mutuando quanto accaduto, negli anni recenti, al
porto del Pireo, ad
Atene, che secondo alcuni sarebbe divenuto quasi una
proprietà privata tedesca e
cinese, a seconda dei casi. Ma anche sul
porto ateniese ci sarebbe da obiettare: oggi, in quello scalo lavorano circa
duemila greci che, in precedenza, erano rimasti
disoccupati. Il progetto originario
cinese prevedeva, infatti, la costruzione di una
ferrovia lungo i Balcani per arrivare direttamente in
Europa centrale, ma la tormentata situazione sociale dei singoli
Paesi balcanici ha condotto molti investitori a deviare sui
porti dell’Adriatico: Venezia, Koper e, per l’appunto,
Trieste. Quest’ultima, in particolare, ha riscoperto la sua
preziosa posizione strategica, che aveva perduto dopo la sconfitta
dell’Austria-Ungheria nella prima guerra mondiale, poiché sostanzialmente recupera il suo collegamento con la
Germania e l’intero
est europeo. Quindi, temere che
tedeschi e
cinesi la faranno
'da padroni' a
Trieste, come avvenuto al
Pireo, è sostanzialemnte una
‘fake news’: la preferenza per la
città ‘giuliana’ era già stata decisa da tempo. E chi sta sollevando timori e malumori o è sostanzialmente in malafede, oppure è semplicemente disinformato. Oltre a ciò, il
Protocollo d’intesa firmato qualche anno fa con la
Cina popolare prevede, al momento, solo una collaborazione per lo sviluppo della
rete ferroviaria e poche altre cose.
UNA ‘PERLA’ DELL’ADRIATICO DESTINATA A UN GRANDE FUTUROIn realtà, il grande progetto delle
‘Vie della Seta’ sono un’occasione unica, sia per il porto di
Genova, sia per quello di
Trieste. Le due città sono destinate a diventare gli approdi e gli snodi marittimi principali per i traffici commerciali con la
Francia e la
penisola Iberica la prima, con la
Germania e
l’Europa orientale la seconda, anche alla luce dell’imponente sviluppo
polacco testimoniato di recente proprio dalla rivista
'Periodico italiano magazine' attraverso un
reportage. Si tratta di traffici commerciali che porteranno
crescita e
lavoro. Anche se bisognerebbe distinguere tra chi intende farsi finanziare progetti dai
cinesi e chi, invece, è semplicemente pronto a
mettersi in società con loro, siglando intese finalizzate a sostenere una nuova
politica industriale. La verità è che
Trieste comincia a dar fastidio ai grossi
players e ai grandi
porti del nord'Europa, come
Rotterdam, Anversa e una
Londra stupidamente chiamatasi fuori dal progetto di
cotruzione europea. Proprio la capitale del
Regno Unito rischia di pagare un
‘prezzo’ assai elevato per la
Brexit. Anche perché non meritato, dato che la
megalopoli britannica e la sua intera area metropolitana avevano convintamente votato per il
‘remain’. Ma oltre a
Londra, sono preoccupati anche molti
ambienti ‘mittle-europei’ del
Vecchio continente, che proprio a causa al progetto delle
‘Vie della seta’ rischiano di veder messa in discussione la loro condizione di
‘cuore pulsante’ dello sviluppo industriale. E l’ipotesi che il
‘baricentro’ dei traffici, dei commerci e dei lavori di rifinitura di prodotti e materie prime possa spostarsi
verso sud non viene vista affato bene. Anche se molti studiosi del passato lo avevano previsto e, persino,
auspicato. Anche in queste cose, c’è sempre chi
‘contiene’ per puro
conservatorismo, spesso motivato da
interessi legittimi, altre volte
meno. IL PASSATO DI TRIESTETrieste era diventata, agli inizi del
XIX secolo, il
porto principale dell’Impero asburgico quando esso era nel pieno del suo splendore, presiedeva la
Confederazione degli Stati tedeschi ed era riuscito a limitare prima e, in seguito, a sconfiggere lo
strapotere napoleonico sull’intero continente europeo. Il progetto delle nuove
‘Vie della seta’ potrebbe rendere irreversibile che la bella
città ‘giuliana’ torni a splendere come autentica
‘perla’ dell’Adriatico. Infatti, dopo essere entrata a far parte del
Regno d’Italia, in realtà
Trieste ha perduto quella
funzione strategica di cui aveva goduto nei lunghi anni della
‘Belle Epoque’ e si è
‘provincializzata’. Un termine non del tutto appropriato per un capoluogo che ha sempre rappresentato il
crocevia di tante culture e nazionalità distinte, le quali, alla fine, hanno sempre trovato il modo di
convivere pur con qualche difficoltà, soprattutto in epoca fascista.
L’Italia ‘mussoliniana’, infatti, con il suo
acceso nazionalismo non solo ha generato
diffidenze inutili tra
italiani, sloveni e
croati, ma ha persino rischiato di farci perdere
Trieste al termine della seconda guerra mondiale. La città risultò a lungo divisa tra
Italia e
Jugoslavia in due settori. E solamente nel
1954 si riuscì a trovare una soluzione diplomatica seria e duratura, restituendola al nostro Paese. Si potrebbe persino dire che
Trieste, a un certo punto, era divenuta uno dei
punti ‘critici’ degli equilibri stabiliti a
Yalta, che avevano diviso il monndo in
due ‘blocchi’ contrapposti, esattamente come a
Berlino. Fortunatamente, le sofferenze di
Trieste, divenuta nel frattempo capoluogo dell’intera
Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, non durarono troppo a lungo. Eppure, la sua splendida posizione di
‘sbocco ideale’ sull’Adriatico avrebbe dovuto essere valutata meglio anche
dall’Italia repubblicana. Invece, anche negli anni del
‘boom’ economico,
Trieste è stata a lungo
trascurata per la difficile situazione internazionale, che necessitava di un lungo periodo di raffreddamento degli animi e di
‘scongelamento’ dei rapporti tra le diverse
etnie della zona. Insomma,
Trieste ha superato il proprio
cammino ‘novecentesco’ che l’aveva trasformata in un
punto nevralgico della Storia, da trattare con estrema cura, ma anche da ridimensionare, sia strategicamente, sia economicamente. Il crollo della
Jugoslavia ‘titina’ prima e quello
dell’Urss nel
1991, le ha riaperto un orizzonte di crescita e di rivalorizzazione geografica che sarebbe
politicamente miope non favorire. In
‘barba’ a tutte le critiche infondate.