Quattro mesi fa, il
18 maggio 2021, moriva a
Milo (Ct), nella villa di famiglia, uno dei massimi musicisti italiani, certo il massimo cantautore per molti suoi fan:
Franco Battiato. Il cantautore di
Riposto (Ct), in
Sicilia, classe
1945, rivelò fin da piccolo il proprio carattere
inquieto e stravagante, come se la sua missione su questa Terra fosse quella di interrogarsi e interrogare sull’essenza e il senso della vita.
“Voglio cercare un senso a questa vita anche se questa vita un senso non ce l’ha…”, per dirla con
Vasco Rossi. Ebbene, la ricerca di senso attraversa tutta l’opera di
Battiato sin dai tempi de
‘L’era del cinghiale bianco’ fino a
‘Torneremo ancora’. Questa, insieme alla meraviglia per la potenza dell’uomo e del cosmo, è il fulcro portante delle sue composizioni, accompagnate da
crisi esistenziali prima,
mistiche poi. Lo sentiamo così vicino alla dimensione umana da scorgere il lui un
fratello di pensiero. Sì, perché lui fu anche un grandissimo
filosofo, che cercò di unire
occidente e
oriente, cristianesimo, che non ha mai ripudiato - il rito funebre è stato cattolico - e
religioni orientali, specie quelle
buddhista, induista e quella
armena del grande mistico
Gurdijeff. Amico di
Manlio Sgalambro, suo consulente e filosofo erede di
Arthur Schopenhauer, anch’egli siciliano, da cui lo divise solo la morte nel
2014, egli giunse a
negare la realtà di cui si può
negare l’esistenza. Il che lo indusse a movimenti ascensionali alla ricerca di un
“centro di gravità permanente”, che andrebbe trovato non tanto nel
tempo degli uomini, che è
orizzontale, ma in quello di
Dio, che invece è
verticale. Si tratta di quei
movimenti in diagonale di cui tratta l’album
‘I dieci stratagemmi’, che fanno da orientamento nel
“guazzabuglio dell’animo umano” che si confronta con questo mondo, sempre più veloce e caotico. Quest’ultimo è in mano ai
potenti, verso cui
Battiato espresse un’aspra critica in
‘Povera Italia’, per la spregiudicatezza e la corruzione dilaganti. Meglio allora
rifuggire dalla politica, dalla quale fu peraltro espulso per le sue affermazioni stravaganti - ma vere - e rifugiarsi nella meditazione e nel misticismo.
Battiato ha sempre rigettato il titolo di
‘Maestro’ con cui i fan erano soliti appellarlo, per il diniego di ricoprire una
posizione superiore e il rifiuto di qualsiasi
etichetta definitoria: esattamente come
Sgalambro, che pur attingendo al pensiero di
Schopenhauer e di
Emil Cioran, nega di essere
nichilista, avendo in odio le
definizioni. Ciò che rimane centrale nel suo pensiero e in quello di
Sgalambro è la consapevolezza che la realtà sia avvolta nel
velo di Maia. Il quale, una volto scoperto, rivela la
vanità del tutto. Come direbbe il
buddhismo, siamo tutti
"impermanenti", tutti
impotenti, poiché intenti a cercare di diventare più
potenti ricoprendoci di miti come il
denaro, che nasconde la
vera essenza dell’uomo da riportare su un
piano superiore: nel tempo mistico del
Buddha. Attenzione, però: ciò non pone nessuno su un piano di
‘superiorità superomista’. Noi siamo solo dei
"mortali alla ricerca di senso", ognuno in caccia della propria realizzazione, nella consapevolezza che il suo peregrinare può interrompersi in un attimo. Che si provenga da
Dio o dal
Nulla, non cambia la
sostanza umana, perché siamo tutti malati,
“tutti affetti dalla stessa malattia”, come scrisse
Italo Svevo: la
morte. Questa ricerca di senso,
Battiato l’aveva rivelata già
prima elementare, in un tema in cui si chiese:
“Io chi sono”? Ce lo riferisce
Aldo Nove nell’opera
‘Franco Battiato’ (Sperling & Kupfer, 2020), in quella che si può definire la sua miglior biografia. Rifiutando le definizioni non poteva certo che rispondere:
“Io sono un musicista-cantautore ricco, perché questa è la veste esteriore”. Insomma,
Franco Battiato era alla ricerca della sua
essenza, come gli aveva mostrato il mistico armeno
Gurijeff, ma anche
l’induismo, mirando a una
disidentificazione dai ruoli e a un
annullamento dei
pensieri razionali, per cercare
l’Uno/Tutto che è
Amore. Qui si colloca il brano di lui più bello,
‘La cura’, in cui sostanzialmente si tratta il tema di un
Amore che cura, che solleva dalle
“ipocondrie” e dagli
“sbalzi di umore” cui sono soggetti tutti gli uomini. L’essere
speciale è sia chi
cura, sia chi viene
curato. Ma soprattutto lo era
Franco Battiato: questo immenso
'musicista-compositore-filosofo-mistico' che
"ci stupisce sempre con il suo stupore”, come scrive
Aldo Nove. Ovvero, con la meraviglia che si prova ogni mattina al risveglio, come se si trattasse sempre di una
vita nuova. La vita, infatti, si rinnova sempre nel suo
perenne sperimentalismo, che conduce verso
mondi sconosciuti. Questo è il
lascito anche
morale di
Battiato, che ci sprona ad aver
fede nella vita, certi che tutto
“cambierà, certo che cambierà”. Perché, come dicevano i latini:
“Fortuna adiuvat audaces”. E’ di audacia,
Franco Battiato ne ha avuta da vendere. Più dei suoi stessi lavori discografici.