Civiltà e
cultura devono essere considerati
due princìpi ‘cardine’ dell’Unione europea. E mentre non desistiamo un momento nel criticarne gli scarsi
atti decisionali o le sue
‘non azioni’, dovremmo anche ricordare che
l’Europa è composta da centinaia di milioni di persone che pensano, cantano, progettano, dipingono e scrivono. Noi dobbiamo tornare a educare le giovani generazioni a riconoscere, all’interno della
cultura europea, le sue
tradizioni più profonde: da quelle di derivazione
celtica, a quella
cristiana; da quella
romana a quella
greca. Correnti che si
assomigliano e si
distinguono, ognuna essendo solamente una parte della sostanza complessiva che costituisce
l’identità più profonda di una
civiltà antica e complessa come quella
europea. Essere europei significa, al contempo, essere
cristiani, romani e
greci. Le vestigia di queste
3 dimensioni immateriali costituiscono la
sostanza spirituale della nostra
identità. Ma noi siamo
cristiani in partibus; così come siamo
romani o
greci fino a un certo punto. Quel che conta veramente è che non cessiamo mai di essere la
somma di queste
3 culture dominanti. Il
cristianesimo è sempre presente; il
mondo romano risorge perennemente in mezzo a noi; il
mondo greco non ci abbandona mai. Perché queste
3 correnti culturali sono la realtà più profonda del nostro essere
cittadini europei. Ma accanto a esse ci sono anche
altre realtà culturali. Apparentemente minori, ma anch’esse presenti
nell’identità europea. Si è trattato o può trattarsi di
elementi subitanei, di cui via via
l’Europa si è ammantata nel corso della Storia.
Effervescenze che, spesso, non vediamo, poiché le consideriamo delle
realtà momentanee. Perché di
realtà momentanee si tratta: fasi o momenti storici particolari, contingenti. Gli anni più rigogliosi del nostro
Rinascimento non raggiunsero il
secolo; e se rivediamo attentamente un fenomeno come quello del
Romanticismo, ci rendiamo conto che esso raccolse i sentimenti, i sogni e le idee di
un paio di generazioni o poco più. Prendiamo, per esempio,
l’Italia: dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, il nostro Paese ha vissuto un momento di grande
splendore culturale, grazie al
cinema neorealista prima e a quello della
‘commedia all’italiana’ nella fase successiva.
E quanto durò tutto questo? Un
decennio circa il primo; un
quindicennio la seconda. Sommando le due fasi,
non si arriva al quarto di secolo. Dunque, abbiamo delle
culture di fondo, millenarie o di
lunghissima persistenza, affiancate da altre di
minor durata, benché spesso
originali e
brillanti, poiché rivelano delle
vitalità soggiacenti. Beninteso, questo
spirito culturalmente assai composito della
civiltà europea non può vivere senza l’esistenza di una
realtà sociale, senza cioè
luoghi d’incontro o
supporti, individuali e collettivi, di
civiltà. In una parola: senza una
reciproca solidarietà tra gli
Stati membri dell’Unione europea. Pertanto, la
cultura europea dev’essere sostenuta dalla
società, perché quanto noi facciamo in favore della nostra
vitalità culturale è la misura stessa del nostro grado di
civiltà. La
cultura dev’essere
sorretta e
promossa dal
corpo sociale. Perché ci dev’essere chi sostiene il
carico prezioso della nostra
cultura, il
peso storico del nostro
spirito civile. In passato, ai tempi delle
realtà comunali, delle
signorìe e dei
principati, furono le
città a farsi promotrici di questo
spirito di civiltà, soprattutto sotto un profilo
artistico e
architettonico, ma non solo:
Firenze, Lucca, Ferrara, Mantova e
Ravenna, ma anche
Amalfi, Pisa, Genova e
Venezia, con il loro
dominio navale e
commerciale sul
Mediterraneo. In seguito, questo prezioso
testimone passò alle
nazioni: la
Spagna, la
Gran Bretagna, la
Francia e, infine, la
Germania. Oggi, tocca
all’Unione europea prendere sulle proprie spalle il
peso storico e culturale del mondo intero, pur mantenendo e difendendo uno
spirito composto da
realtà diversificate, scarsamente
omogenee. Perché al di sotto delle
culture dominanti ne agiscono altre non meno ricche di
fermenti, le quali, a volte, hanno rapporti lontani o distanti nei confronti della
civiltà egemone, che appare
assoluta benché
non lo sia. C’è un
direttore d’orchestra, insomma, ma se si ascolta attentamente, possiamo distinguere anche altre
‘sonorità distinte’. Musiche particolari, culture appartenenti alle
tradizioni popolari sopravvissute prodigiosamente agli accadimenti della Storia. Culture che, oggi più che mai, cercano
un’identità al fine di sopravvivere. In una certa misura, per
tornare ad affermarsi. Ma possono esservi anche fasi di
contestazione, perché una
cultura, quando è
in auge, non viene mai
accettata da tutti. Al contrario, essa viene contrastata, spesso con
inquietudini che
‘sfregiano’ profondamente il
volto della Storia. Culture sommerse seppur vitali, che sopravvivono nascoste nelle viscere della nostra civiltà.
Simboli e
realtà, dunque.
Egemonia e
contestazione. Maggioranze e
minoranze. Dominio rituale e
religiosità popolare. Culture e
popoli.