Vittorio LussanaCiviltà e cultura devono essere considerati due princìpi ‘cardine’ dell’Unione europea. E mentre non desistiamo un momento nel criticarne gli scarsi atti decisionali o le sue ‘non azioni’, dovremmo anche ricordare che l’Europa è composta da centinaia di milioni di persone che pensano, cantano, progettano, dipingono e scrivono. Noi dobbiamo tornare a educare le giovani generazioni a riconoscere, all’interno della cultura europea, le sue tradizioni più profonde: da quelle di derivazione celtica, a quella cristiana; da quella romana a quella greca. Correnti che si assomigliano e si distinguono, ognuna essendo solamente una parte della sostanza complessiva che costituisce l’identità più profonda di una civiltà antica e complessa come quella europea. Essere europei significa, al contempo, essere cristiani, romani e greci. Le vestigia di queste 3 dimensioni immateriali costituiscono la sostanza spirituale della nostra identità. Ma noi siamo cristiani in partibus; così come siamo romani o greci fino a un certo punto. Quel che conta veramente è che non cessiamo mai di essere la somma di queste 3 culture dominanti. Il cristianesimo è sempre presente; il mondo romano risorge perennemente in mezzo a noi; il mondo greco non ci abbandona mai. Perché queste 3 correnti culturali sono la realtà più profonda del nostro essere cittadini europei. Ma accanto a esse ci sono anche altre realtà culturali. Apparentemente minori, ma anch’esse presenti nell’identità europea. Si è trattato o può trattarsi di elementi subitanei, di cui via via l’Europa si è ammantata nel corso della Storia. Effervescenze che, spesso, non vediamo, poiché le consideriamo delle realtà momentanee. Perché di realtà momentanee si tratta: fasi o momenti storici particolari, contingenti. Gli anni più rigogliosi del nostro Rinascimento non raggiunsero il secolo; e se rivediamo attentamente un fenomeno come quello del Romanticismo, ci rendiamo conto che esso raccolse i sentimenti, i sogni e le idee di un paio di generazioni o poco più. Prendiamo, per esempio, l’Italia: dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, il nostro Paese ha vissuto un momento di grande splendore culturale, grazie al cinema neorealista prima e a quello della ‘commedia all’italiana’ nella fase successiva. E quanto durò tutto questo? Un decennio circa il primo; un quindicennio la seconda. Sommando le due fasi, non si arriva al quarto di secolo. Dunque, abbiamo delle culture di fondo, millenarie o di lunghissima persistenza, affiancate da altre di minor durata, benché spesso originali e brillanti, poiché rivelano delle vitalità soggiacenti. Beninteso, questo spirito culturalmente assai composito della civiltà europea non può vivere senza l’esistenza di una realtà sociale, senza cioè luoghi d’incontro o supporti, individuali e collettivi, di civiltà. In una parola: senza una reciproca solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione europea. Pertanto, la cultura europea dev’essere sostenuta dalla società, perché quanto noi facciamo in favore della nostra vitalità culturale è la misura stessa del nostro grado di civiltà. La cultura dev’essere sorretta e promossa dal corpo sociale. Perché ci dev’essere chi sostiene il carico prezioso della nostra cultura, il peso storico del nostro spirito civile. In passato, ai tempi delle realtà comunali, delle signorìe e dei principati, furono le città a farsi promotrici di questo spirito di civiltà, soprattutto sotto un profilo artistico e architettonico, ma non solo: Firenze, Lucca, Ferrara, Mantova e Ravenna, ma anche Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, con il loro dominio navale e commerciale sul Mediterraneo. In seguito, questo prezioso testimone passò alle nazioni: la Spagna, la Gran Bretagna, la Francia e, infine, la Germania. Oggi, tocca all’Unione europea prendere sulle proprie spalle il peso storico e culturale del mondo intero, pur mantenendo e difendendo uno spirito composto da realtà diversificate, scarsamente omogenee. Perché al di sotto delle culture dominanti ne agiscono altre non meno ricche di fermenti, le quali, a volte, hanno rapporti lontani o distanti nei confronti della civiltà egemone, che appare assoluta benché non lo sia. C’è un direttore d’orchestra, insomma, ma se si ascolta attentamente, possiamo distinguere anche altre ‘sonorità distinte’. Musiche particolari, culture appartenenti alle tradizioni popolari sopravvissute prodigiosamente agli accadimenti della Storia. Culture che, oggi più che mai, cercano un’identità al fine di sopravvivere. In una certa misura, per tornare ad affermarsi. Ma possono esservi anche fasi di contestazione, perché una cultura, quando è in auge, non viene mai accettata da tutti. Al contrario, essa viene contrastata, spesso con inquietudini che ‘sfregiano’ profondamente il volto della Storia. Culture sommerse seppur vitali, che sopravvivono nascoste nelle viscere della nostra civiltà. Simboli e realtà, dunque. Egemonia e contestazione. Maggioranze e minoranze. Dominio rituale e religiosità popolare. Culture e popoli.





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