Lorenza MorelloIn questi quasi due anni di pandemia, il mondo è cambiato. Nessuno della nostra generazione, nemmeno quella dei nostri genitori, aveva mai vissuto nulla di simile. Per risalire a racconti di scenari assimilabili a quelli che stiamo vivendo bisogna interpellare i nonni, che hanno vissuto i tempi della guerra. Ma a quei tempi, per lo meno, il nemico era visibile. Sappiamo che il problema di questo virus non è la sua letalità, ma i danni che esso arreca alle nostre strutture sanitarie, perché diffondendosi in maniera esponenziale porta al collasso il sistema delle terapie intensive, previste in ogni ospedale per una trentina di casi gravi e non di più. Per questo motivo, dobbiamo abituarci a convivere con il Sars-CoV 2. Che il nostro sistema sanitario nazionale fosse al limite non lo scopriamo oggi; che gli ospedali fossero pieni di barelle nei corridoi lo sapevamo; che vi fosse un’assistenza territoriale insufficiente, nonostante la grande abnegazione di molti operatori, specie quelli che lavorano nei ‘Pronto soccorso', che sono i veri eroi di tutta questa vicenda, non è in fondo una notizia. Lo sa chiunque abbia avuto la sventura, per motivi personali o di primi congiunti, di avvicinarsi a un istituto ospedaliero qualsiasi. Stessa cosa dicasi per le carceri: un sistema fatiscente, con uno Stato che non ha mai fatto fronte alla gestione del problema in modo adeguato. Insomma, il nostro era un modello al 'collasso' già prima di questa catastrofe planetaria. E il virus non ha fatto altro che rendere la questione ancor più palese. Elenchiamo ora, qui di seguito, quelle che noi riteniamo essere una serie di 'concause' di tutto ciò.

L’inettitudine della nostra classe politica
Inutile che ci giriamo attorno: la nostra classe politica appare, oggi, appiattita e massificata. Non riconosce i meriti dei singoli cittadini laddove ve ne sono e non seleziona la propria classe dirigente. Esistono, nelle varie formazioni politiche, persone che studiano i problemi e che lavorano con sacrificio, pur risultando esponenti di ‘medio livello’. Ovviamente, queste persone meritano di proseguire il proprio ‘cursus honorum’, ma in fianco a queste ve ne sarebbero altre ben al di sopra della media, che tuttavia non vengono quasi mai riconosciute per tempo come tali. Anche altri ‘ambienti’ (il mondo del calcio, per esempio) hanno vissuto molti problemi a causa di questo ‘virus’. Ma in politica, la ‘patologia immobilista’ si è cronicizzata, degenerando in una confusione che ha portato alla 'ribalta' una serie di leader assolutamente inadeguati, che dovrebbero occuparsi di ben altro nella vita, spesso amati più per i loro difetti che per meriti o pregi effettivi. Addirittura, in alcuni ambienti ‘tecnici’ o amministrativi capita spesso il paradosso di persone che, raggiunti gli obiettivi loro richiesti, vengono messe ai margini, in una sorta di strana 'selezione alla rovescia'. Insomma, manca ormai totalmente una qualsiasi forma o criterio di selettività. Una condizione che finisce col punire professionalità e competenze. Più che pensare di riformare la Costituzione, i nostri attuali Partiti dovrebbero occuparsi innanzitutto di se stessi e del proprio personale politico, sempre più di scarso livello.

Le nostre tasse
Nonostante un’imposizione fiscale che ci vede, ormai, primi in Europa, le tasse che noi versiamo allo Stato non vengono investite per il bene comune, perché diversamente ospedali, carceri, viadotti, ponti e scuole sarebbero in condizioni ben diverse.

Autismo sociale e classismo tribale

Le proteste per il Green Pass di questi ultimi giorni hanno dimostrato una forte capacità di chiacchiera o di 'lamentela da bar', ma poi permettiamo che ci venga fatto un po’ di tutto, perché il concetto di ‘sovranità’ che abbiamo in testa è parziale e distorto. Il secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione, infatti, recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Noi, invece, rivendichiamo una sovranità demagogica, senza comprendere il vero significato giuridico di tale principio, rimanendo ancorati a una visione ‘anarcoide’ o ‘superomista’, a seconda dei casi. Per quanto riguarda, invece, il cosiddetto ‘Green Pass’, pur non amando personalmente la logica dei ‘lasciapassare’, esso non può essere considerato un atto discriminatorio al pari delle leggi razziali del 1938. Innanzitutto, si tratta di una certificazione sanitaria per niente affatto destinata a durare in eterno, bensì risulta provvisoria: raggiunta l'immunità di gruppo non avrà più alcun senso mantenerla in vigore. Le leggi razziali prevedevano una serie di provvedimenti che non erano dettati da una condizione di prevenzione medico-sanitaria, neanche di tipo mentale: gli Ebrei vennero considerati una razza a parte sulla base di un ‘fake’ che fece danni incalcolabili - 'I protocolli dei savi di Sion' - proveniente dallo spionaggio 'czarista' dei primi anni del XX secolo. Insomma, l'analogia utilizzata dai gruppi ‘No vax’ è ‘tirata per i capelli’: nessuno intende considerarli una razza a parte, sulla base di una classificazione imperniata su una scala di maggiore o minor valore biologico o culturale. Al contrario, stando all'attuale ‘Legge Mancino’, la fattispecie della discriminazione si palesa quando vengono violati anche uno solo dei seguenti 4 requisiti: razza, religione, etnia e tratti somatici. Pertanto: a) i ‘No vax’ non sono una razza biologicamente diversa dalle altre; b) essi non professano una religione alternativa; c) essi non vivono tutti quanti in una parte precisa del nostro Paese, né sono legati a tradizioni culturalmente ‘esterne’, bensì risultano pienamente 'integrati' con i valori delle società occidentali; d) essi non sono neri di carnagione o con gli occhi a mandorla. La discriminazione, insomma, non fa parte in alcun modo della ‘ratio’ del decreto che il Governo ha approvato in questi giorni. Il provvedimento è di natura strettamente amministrativa, come la patente di guida: senza autorizzazione formale non è consentito guidare un’autovettura e, in caso di violazione della norma, possono materializzarsi una serie di sanzioni.

Conclusioni
In base a simili premesse, le proteste dei giorni scorsi hanno rappresentato una forma di qualunquismo assai poco costruttivo, oltreché potenzialmente pericoloso stando alla situazione di una variante del Sars-CoV 2 che si propaga esponenzialmente. Una protesta deve saper raccogliere una base politica più ampia, che sappia trasformarsi in un progetto o in proposte alternative: chiedere semplicemente una libertà di cura totalmente unilaterale e a senso unico significa teorizzare una medicina ‘fai da te’ che nessun sistema, democratico o meno che sia, può consentire. Una piattaforma maggiormente propositiva, invece, giustificherebbe le proteste in un’ottica sociale, rifuggendo l’asocialità al fine di evidenziare i bisogni e le problematiche di molte categorie del mondo del lavoro e delle imprese, le quali rischiano di perire sotto alle macerie di una politica incapace di contrastare una malafede strumentale. Se si consente il licenziamento del personale da un giorno all’altro, tramite una semplice e-mail o un messaggio sulla chat di Whatsapp, diviene evidente la mancanza di una politica industriale e di una visione complessiva dei problemi del Paese. Noi non vogliamo giungere a conclusioni radicali, soprattutto in un momento così difficile. Tuttavia, di una politica del genere possiamo volentieri farne a meno, sia sul fronte governativo, sia in quello protestatario, dimostratosi inutilmente sterile.





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