In questi quasi due anni di
pandemia, il mondo è cambiato. Nessuno della nostra generazione, nemmeno quella dei nostri genitori, aveva mai vissuto nulla di simile. Per risalire a racconti di scenari assimilabili a quelli che stiamo vivendo bisogna interpellare i
nonni, che hanno vissuto i tempi della
guerra. Ma a quei tempi, per lo meno, il
nemico era visibile. Sappiamo che il problema di questo
virus non è la sua
letalità, ma i danni che esso arreca alle nostre
strutture sanitarie, perché diffondendosi in maniera esponenziale porta al collasso il sistema delle
terapie intensive, previste in ogni ospedale per una trentina di casi gravi e non di più. Per questo motivo, dobbiamo abituarci a convivere con il
Sars-CoV 2. Che il nostro sistema sanitario nazionale fosse
al limite non lo scopriamo oggi; che gli ospedali fossero pieni di
barelle nei
corridoi lo sapevamo; che vi fosse
un’assistenza territoriale insufficiente, nonostante la grande abnegazione di molti operatori, specie quelli che lavorano nei
‘Pronto soccorso', che sono i veri eroi di tutta questa vicenda, non è in fondo una
notizia. Lo sa chiunque abbia avuto la
sventura, per motivi personali o di primi congiunti, di avvicinarsi a un istituto ospedaliero qualsiasi. Stessa cosa dicasi per le
carceri: un
sistema fatiscente, con uno Stato che non ha mai fatto fronte alla gestione del problema in modo adeguato. Insomma, il nostro era un
modello al 'collasso' già prima di questa
catastrofe planetaria. E il virus non ha fatto altro che rendere la questione ancor più palese. Elenchiamo ora, qui di seguito, quelle che noi riteniamo essere una serie di
'concause' di tutto ciò.
L’inettitudine della nostra classe politicaInutile che ci giriamo attorno: la nostra
classe politica appare, oggi,
appiattita e
massificata. Non riconosce i
meriti dei singoli cittadini laddove ve ne sono e non seleziona la propria
classe dirigente. Esistono, nelle varie formazioni politiche, persone che studiano i problemi e che lavorano con sacrificio, pur risultando
esponenti di ‘medio livello’. Ovviamente, queste persone meritano di proseguire il proprio
‘cursus honorum’, ma in fianco a queste ve ne sarebbero altre ben
al di sopra della media, che tuttavia non vengono quasi mai riconosciute per tempo come tali. Anche altri
‘ambienti’ (il mondo del
calcio, per esempio) hanno vissuto molti problemi a causa di questo
‘virus’. Ma in politica, la
‘patologia immobilista’ si è
cronicizzata, degenerando in una confusione che ha portato
alla 'ribalta' una serie di
leader assolutamente
inadeguati, che dovrebbero occuparsi di ben altro nella vita, spesso amati più per i loro
difetti che per
meriti o
pregi effettivi. Addirittura, in alcuni
ambienti ‘tecnici’ o
amministrativi capita spesso il paradosso di persone che, raggiunti gli
obiettivi loro richiesti, vengono messe
ai margini, in una sorta di strana
'selezione alla rovescia'. Insomma, manca ormai totalmente una qualsiasi forma o criterio di
selettività. Una condizione che finisce col
punire professionalità e
competenze. Più che pensare di riformare la
Costituzione, i nostri attuali Partiti dovrebbero occuparsi innanzitutto di
se stessi e del proprio
personale politico, sempre più di
scarso livello.Le nostre tasse Nonostante un’imposizione fiscale che ci vede, ormai,
primi in Europa, le
tasse che noi versiamo allo
Stato non vengono investite per il
bene comune, perché diversamente
ospedali, carceri, viadotti, ponti e
scuole sarebbero in condizioni
ben diverse.
Autismo sociale e classismo tribaleLe proteste per il
Green Pass di questi ultimi giorni hanno dimostrato una forte capacità di
chiacchiera o di
'lamentela da bar', ma poi permettiamo che ci venga fatto un po’ di tutto, perché il
concetto di ‘sovranità’ che abbiamo in testa è
parziale e
distorto. Il secondo comma
dell’articolo 1 della
Costituzione, infatti, recita:
“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Noi, invece, rivendichiamo una
sovranità demagogica, senza comprendere il vero
significato giuridico di tale principio, rimanendo ancorati a una visione
‘anarcoide’ o
‘superomista’, a seconda dei casi. Per quanto riguarda, invece, il cosiddetto
‘Green Pass’, pur non amando personalmente la logica dei
‘lasciapassare’, esso non può essere considerato un
atto discriminatorio al pari delle
leggi razziali del
1938. Innanzitutto, si tratta di una
certificazione sanitaria per niente affatto destinata a
durare in eterno, bensì risulta
provvisoria: raggiunta
l'immunità di gruppo non avrà più alcun senso mantenerla in vigore. Le
leggi razziali prevedevano una serie di provvedimenti che non erano dettati da una condizione di
prevenzione medico-sanitaria, neanche di tipo
mentale: gli
Ebrei vennero considerati una razza a parte sulla base di un
‘fake’ che fece danni incalcolabili
- 'I protocolli dei savi di Sion' - proveniente dallo
spionaggio 'czarista' dei primi anni del
XX secolo. Insomma, l'analogia utilizzata dai gruppi
‘No vax’ è
‘tirata per i capelli’: nessuno intende considerarli una
razza a parte, sulla base di una classificazione imperniata su una scala di maggiore o minor valore biologico o culturale. Al contrario, stando all'attuale
‘Legge Mancino’, la fattispecie della
discriminazione si palesa quando vengono violati anche uno solo dei seguenti
4 requisiti: razza, religione, etnia e
tratti somatici. Pertanto:
a) i
‘No vax’ non sono una razza biologicamente diversa dalle altre;
b) essi non professano una religione alternativa;
c) essi non vivono tutti quanti in una parte precisa del nostro Paese, né sono legati a tradizioni culturalmente
‘esterne’, bensì risultano pienamente
'integrati' con i valori delle società occidentali;
d) essi non sono
neri di carnagione o con gli
occhi a mandorla. La
discriminazione, insomma, non fa parte in alcun modo della
‘ratio’ del
decreto che il
Governo ha approvato in questi giorni. Il provvedimento è di natura strettamente
amministrativa, come la
patente di guida: senza autorizzazione formale non è consentito guidare un’autovettura e, in caso di violazione della norma, possono materializzarsi una serie di sanzioni.
Conclusioni
In base a simili premesse, le
proteste dei giorni scorsi hanno rappresentato una forma di
qualunquismo assai
poco costruttivo, oltreché potenzialmente pericoloso stando alla situazione di una variante del
Sars-CoV 2 che si propaga
esponenzialmente. Una protesta deve saper raccogliere una
base politica più ampia, che sappia trasformarsi in un
progetto o in
proposte alternative: chiedere semplicemente una
libertà di cura totalmente
unilaterale e
a senso unico significa teorizzare una
medicina ‘fai da te’ che nessun sistema, democratico o meno che sia, può consentire. Una
piattaforma maggiormente propositiva, invece, giustificherebbe le proteste in
un’ottica sociale, rifuggendo
l’asocialità al fine di evidenziare i bisogni e le problematiche di molte categorie del mondo del
lavoro e delle
imprese, le quali rischiano di perire sotto alle
macerie di una
politica incapace di contrastare una
malafede strumentale. Se si consente il
licenziamento del personale da un giorno all’altro, tramite una semplice
e-mail o un messaggio sulla chat di
Whatsapp, diviene evidente la mancanza di una
politica industriale e di una
visione complessiva dei problemi del Paese. Noi non vogliamo giungere a conclusioni
radicali, soprattutto in un momento così difficile. Tuttavia, di una
politica del genere possiamo volentieri
farne a meno, sia sul fronte
governativo, sia in quello
protestatario, dimostratosi
inutilmente sterile.