Sono ormai quasi
due anni che stiamo vivendo, o meglio sopravvivendo, in un periodo particolarmente
critico, che ci fa apparire tanti valori degradati e antichi ideali emarginati dal vivere quotidiano. Eppure, l’esaltazione per la conquista della
Coppa Europa per nazioni 2020 rievoca e richiama alla nostra memoria momenti di
vita associativa nella quale si intrecciano
ricordi storici, gloriose tradizioni di dignità cittadina, episodi campanilistici, ma non per questo meno significativi di quello
spirito italiano aperto e collaborativo, arguto forse ma mai arrogante. Gli azzurri, i bianchi, i diavoli rossi e i verdi hanno una loro ragion di essere, se collocati o decentrati nel tessuto del proprio Paese come un punto di raccordo
aggregante rispetto
all’alienazione e
all’estraneità esistenziale, imposti dai nuovi modelli della società consumistica. È la
Storia antica del calcio italiano che lo straniero non conosce, senza edulcorazioni, calata nella realtà della vita di ogni giorno nel segno di una speranza: la faticosa riconquista di una
dimensione umana e di una spinta promozionale volta a rendere giustizia al
calcio italiano e ai suoi generosi tifosi. E questo è il modo più vero di identificarsi con
l’Italia, di cui il calcio è storicamente
una sua espressione, sin dai tempi del suo
progenitore fiorentino. Le antiche radici affondano nel
‘gioco della palla’, praticato dai
greci col nome di
‘sferomachìa’ e, più tardi, dai
romani, i quali impressero quel carattere aspro che ancora oggi lo distingue. Era chiamato
‘harpastum’ e, attraverso la completezza di questo
esercizio ginnico, eseguito da due squadre di egual numero e con un preciso criterio di regole, esso temprava lo
spirito e il
corpo sia dei
cittadini, sia dei
legionari. Era uno spettacolo di
forza sportiva che, cambiando il proprio nome in quello di
calcio, ebbe il suo maggior splendore nei tempi d’oro della
Firenze repubblicana e
'medìcea'. È evidente che il nome di
calcio derivi da uno dei modi coi quali, di preferenza, veniva lanciato o sospinto il
pallone, molti secoli prima che il gioco venisse
rivisitato ed
esportato dagli
inglesi profondamente mutato, sia nel nome,
football, sia nelle
regole. E qui è interessante ricordare come
l’harpastum fosse stato portato in
Inghilterra dai legionari di
Giulio Cesare, ma che in seguito, tramontato l’astro della
Roma imperiale, non avesse troppa fortuna come
esercizio militare, sia per la preferenza che i britannici, specialmente nel
XV secolo, davano al
tiro con l’arco, da loro ritenuto più idoneo alla preparazione bellica, sia perché, da buoni
puritani, nutrivano una certa avversione per i
rudi esercizi del
corpo a corpo. Nel
1823 nacque, in
Inghilterra, il
‘rugby’ che poco ha a che vedere con il
calcio, se non per una
distante parentela. E ricordiamo anche che ben
tre futuri pontefici si cimentarono, nella loro gioventù, nell’accanito gioco del calcio:
Giulio e
Alessandro de’ Medici, che presero il nome di
Clemente VII e
Leone XI; Maffeo Barberini, che divenne
Papa Urbano VIII; e negli
anni ’50 del secolo scorso, il futuro
Giovanni Paolo II, il santo.