In materia di giustizia,
l’Italia è un Paese ancor più diviso del solito. La percezione generale è quella di una
grande unità del centrodestra, che da decenni utilizza la
‘grancassa’ delle
reti Mediaset e dei suoi giornali di
‘fiancheggiamento’ per condizionare ogni riforma in senso
‘perdonista’. Invece, questa volta è
l’Unione europea a chiederci di riformare la materia, non particolari gruppi di interesse presenti in parlamento. E una giustizia degna di definirsi tale, deve garantire
tempi certi di giudizio. In secondo luogo, il provvedimento non sarà un
decreto legge da convertire entro
60 giorni attraverso la discussione parlamentare, ma una
‘legge-delega’, che affida al Governo l’intera riforma attraverso il meccanismo del
decreto legislativo delegato, il quale stabilisce un
‘perimetro’ di requisiti entro i quali l’esecutivo deve muoversi nello stabilire i
contenuti sostanziali della riforma. Insomma, facciamo attenzione: la
‘riforma Cartabia’ è ancora nella fase di
‘cornice’ e non è ancora entrata al centro del
‘quadro’, che alla fine prevede un
disegno di legge dell'esecutivo, il quale dovrà essere votato dalle aule parlamentari per l’approvazione definitiva. Insomma, siamo ancora a
‘carissimo amico’, in verità. Anche se la
ministra Cartabia, con un voto positivo sulla
‘delega’ e sui princìpi che questa stabilirà, potrà avvalersi di un
‘indirizzo’ che, di solito, non consente molte
‘conversioni a U’ da parte delle forze di maggioranza. Ma si sa: viviamo ormai in un’epoca in cui le
‘capriole’ dei vari leader politici fanno saltare, spesso e volentieri, tutto per aria. E se le acque si stanno agitando già adesso, con i vari
‘mal di pancia’ del
Movimento 5 stelle, ciò non è affatto un buon segnale. Sia come sia, il vero oggetto del contendere sono i
tempi della
giustizia penale: la
norma ‘spazzacorrotti’ aveva infatti eliminato la
prescrizione dopo le
sentenze di primo grado, sia di condanna, sia di assoluzione. Con la
‘riforma Cartabia’, la prescrizione cessa ugualmente di decorrere dopo la sentenza di primo grado, ma vengono introdotti alcuni
limiti di tempo, oltre i quali scatterà
‘l’improcedibilità’, rendendo impossibile ai processi di proseguire. E questi
limiti temporali sono di
due anni per il
processo d’Appello e di
un anno per quello in
Cassazione. Ci sono, ovviamente, delle eccezioni: reati di
mafia, terrorismo, traffico di droga, violenza sessuale, rapina, estorsione, sequestro di persona e, dopo l’insistenza del
Movimento 5 stelle, anche
corruzione e
concussione. Tutte fattispecie per le quali le tempistiche potranno essere prorogate fino a
tre anni per l’Appello e a
un anno e mezzo per la
Cassazione. Ciò varrà anche per i reati di
particolare complessità, per i quali servono dibattimenti più approfonditi. Infine, è previsto che il conteggio di tali
tempistiche di improcedibilità siano sospese negli stessi casi in cui, già oggi, viene sospesa la
prescrizione, come per esempio quelli in cui gli avvocati dell’imputato cerchino di perdere tempo con richieste di
‘legittimo impedimento’. Il
Movimento 5 stelle era contrario alla riforma. La precedente
‘riforma Bonafede’ aveva cercato di limitare la
prescrizione, per combattere le
possibili impunità e garantire che i
processi arrivassero a
sentenza. Ma qui da noi esiste anche un problema di
lentezza complessiva del
‘sistema-giustizia’. Ed esiste un
principio costituzionale che impone una
durata ragionevole dei
procedimenti giudiziari, al fine di garantire che il singolo cittadino non debba per forza attendere
interi decenni per uscire, in un modo o nell’altro, dalle
cause che lo riguardano. In pratica, lo Stato non ha il
diritto di processare un cittadino, bensì ha il
dovere di farlo: è questo il
punto centrale. In merito a ciò, molte delle
obiezioni ‘grilline’ cadono nel vuoto, poiché esse appartengono a una
concezione ‘giustizialista’ del
codice di procedura penale che il movimento fondato da
Beppe Grillo non ha mai voluto comprendere per totale
ottusità. Se consideriamo il
processo come un atto che possa
non finire mai, in pratica si modifica la
‘natura’ della
giustizia italiana, che non è
inquisitoria come in
epoca fascista, bensì più
dinamica e
attiva – anche nei riguardi delle
difese – come previsto dalla
riforma Vassalli del
1990. Inoltre, il disegno di legge della
ministra Cartabia interviene senza toccare concretamente la
prescrizione riformata dall’ex ministro
Bonafede, ma si limita a introdurre alcuni
limiti temporali, oltre i quali scatterà
l’improcedibilità. La riforma, ovviamente, essendo molto più ampia e
‘di sistema’, tocca anche altri punti, come la
richiesta di rinvio a giudizio, la quale non potrà più basarsi su semplici elementi di
rilevanza penale, ma anche su una ragionevole
previsione di condanna. E c’è anche una parte della normativa che riguarda il
processo civile, sempre con l’obiettivo di ridurre i tempi dei procedimenti entro
cinque anni ed estendendo gli istituti della
mediazione e della
negoziazione assistita in quanto metodi di
risoluzione delle controversie. Infine, c’è la parte relativa al
Consiglio superiore della magistratura, che a prescindere dalle polemiche conseguenti al
‘caso Palamara’, in questa sede ci interessa un po’ meno. In ogni caso, quel che appare con estrema chiarezza è che si tratta di un
buon ‘passo in avanti’ per riformare il
sistema giudiziario italiano, che dovrà cominciare a
distinguere ‘casi e casi’, selezionando i
processi ‘prioritari’ rispetto agli altri. La qual cosa non significa affatto teorizzare una
giustizia di serie ‘A’ e un’altra di
serie ‘B’, bensì evidenzia l’errato approccio all’intera materia da parte del
Movimento 5 stelle, che ha ormai innanzi a sé lo
‘spettro’ della
sconfitta causata da una
visione ‘giacobina’, che rischia di riportarci al
‘Paese-caserma’ di
epoca ‘mussoliniana’. Alcune recenti
‘brutte figure’, come i
giudizi superficiali e
preconcetti espressi nei riguardi
dell’ex sindaco di Lodi, hanno dimostrato pienamente questo
errore ‘grillino’. Il vero
principio dettato dalla
Costituzione è un altro: lo Stato non ha alcun
diritto a processare una persona, bensì ha il
dovere di farlo. E deve anche
sbrigarsi, perché la gente non può essere
perseguitata a vita. Neanche per errore.
Soprattutto per errore.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale GIUSTAPPUNTO! pubblicata su www.gaiaitalia.com)