Tenuta un po’ sottotraccia dall’irrompere della questione elezioni, poi del Quirinale e, prima, del Senato e della Camera,
la super questione dei laici in Italia, così come è stata affrontata con lucida determinazione da
Massimo Teodori in
“Laici”, editore Marsilio, comincia a suscitare un dibattito tanto più urgente quanto più la nuova
seconda Repubblica sembra avviarsi per limiti e omissioni, verso
la terza. E non è casuale che quest’opera di
Massimo Teodori, che fu autorevole parlamentare radicale durante la prima Repubblica, esca in sintonia con
la riapparizione della Rosa nel Pugno, il nuovo soggetto radicale, socialista, laico, liberale, fondato, forse con un eccesso di fretta elettorale,
dallo Sdi di Boselli e dai Radicali di Pannella, Bonino, Capezzone. La tesi di
Massimo Deodori inquadra il tema del
laicismo, anzi, della sua carenza, in un contesto storico-politico come l’attuale, in cui un vero e proprio
“imbroglio” (come dice il sottotitolo) si sta imponendo grazie ad alcuni
intellettuali e maitres a penser affatto antiliberali e antilaici che, pure, vogliono, fortissimamente vogliono, seguitare
ad essere considerati laici.
Eppure essi risultano in tutto e per tutto
laici pentiti, laici bigotti, neo tradizionalisti, teo-con. Alcuni nomi? Da
Giuliano Ferrara a Marcello Pera, da Ferdinando Adornato ad Antonio Socci, con sullo sfondo la candida figura di
papa Ratzinger e, alle spalle, il grande filone anti-illuminista con le sue radici profonde in
De Maistre e Leo Strauss. Una stupefacente svolta integralista della cultura predominante - che fu già laica e liberale - in un partito come
Forza Italia spacciato come il primo
partito liberale di massa. Cosa succede, il mondo alla rovescia? Un ritorno al passato? In un certo senso
sì. Ma con l’avvertenza che la colpa di questo ritorno “non è del Papa e del cardinale Ruini - chiarisce Teodori - che fanno aggressivamente il loro mestiere. E’ piuttosto di quei politici che nel centro-sinistra e nel centro-destra
abdicano alla loro autonomia e inseguono la Chiesa per ottenerne i voti”. Certo, il dopo 11 settembre, ha giocato un ruolo determinante là dove ha chiesto e ottenuto da molti un giuramento identitario (le radici cristiane) per difendersi dal
terrorismo fondamentalista. Ma se ciò può suscitare benefiche scosse alla pigrizia della
gerontocrazia europea, nondimeno va dimenticato che
in una democrazia liberale le leggi dello stato non possono ricalcare impostazioni morali e religiose di una parte ancorché ampia. E la democrazia liberale è tanto più forte nei confronti dei fondamentalismi quanto più
favorisce il libero confronto fra componenti religiose e culturali dentro la società. Il guaio, come ricordava qualche giorno fa il Facci su “Il Giornale” è che “l’autoproclamarsi tutti quanti liberali abbia nel frattempo complicato le cose… Non c’è più stato giorno, dopo il referendum sulla procreazione assistita, che una rumorosa trasversalità politica e intellettuale non si sia opposta a qualsiasi riforma civile e sociale atta ad adeguare la legislazione italiana con quella europea”. Il rischio che si ritorni ad una
fase pre-illuminista per
restaurare la religione come centralità assoluta in grado di fronteggiare la minaccia epocale del terrorismo globale, sembra
una esibizione di muscoli prima di soccombere, giacché la minaccia fondamentalista islamica sarebbe già persa con simili atteggiamenti di chiusura del ponte levatoio,
rifiutando il benefico se non risolutivo utilizzo su vasta scala degli elementi/strumenti di apertura, di laicità, di modernizzazione, di democrazia. Ma c’è un problema tutto italiano e tutto politico nel bel libro di Teodori ed è quella sorta di
“corrosione del dialogo tra cattolici e laici” operata dai neo tradizionalisti e dai loro supporter. Giacché in quel presunto “scontro di civiltà” evocato dall’apocalisse di una
Fallaci o di un don
Gianni Baget Bozzo, viene interdetta la possibilità di un rapporto
fra mondo laico e cattolico che ha invece trovato un humus favorevole soltanto
quando i cattolici alla De Gasperi si sentivano parte della democrazia liberale senza sventolare ogni minuto la propria identità. E, non a caso,
il De Gasperi del 1948, pur avendo vinto la maggioranza assoluta, volle al governo
liberali, laici, repubblicani e socialdemocratici di Einaudi, Pacciardi e Saragat, respingendo gli estremismi del
microfono di Dio Padre Lombardi, gli integralismi di
Gedda, l’ideologismo pauperistico e teo-marxistico di
Dossetti. In libertà, laicismo, liberalismo s’è speso generosamente questo giornale negli anni, indicando misure e alternative al venir meno di quelle tematiche. Adesso, un nuovo soggetto politico come la
RnP non rinuncia a battersi quotidianamente, con insistenza, sul tema di fondo riconducibile alla
laicità intesa come
componente essenziale di una politica di progresso. Non dimenticando che in Italia senza i cattolici o senza una parte cattolica,
non si governa. Esattamente come quei cattolici o parte di essi, nel solco dell’insegnamento degasperiano, sanno che
non si può governare senza o peggio contro i laici. Quelli veri, non quelli finti, laici devoti, bigotti, neo o teo-con, convinti dell’uso della religione come instrumentum regni nel 2006!
Condirettore del quotidiano 'L'opinione delle Libertà'
Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 6 maggio 2006