Valentina Ughetto
Il rivoluzionario di Khomeini, Ebrahim Raisi, è il nuovo presidente eletto dell'Iran, indicato nel 1988 da Hossein-Ali Montazeri come il ‘giustiziatore’, quando ha processato ed eliminato tutti gli oppositori politici e, insieme ad altri, ha costituito, di fatto, il ‘Comitato della morte’ voluto da Khomeini per annientare organizzazioni di sinistra in Iran. Nel mirino del ‘Comitato’ vi erano i membri del ‘Mojahedin del popolo iraniano’ - meglio conosciuto come Esercito di liberazione nazionale dell'Iran - il Tudeh e il Partito comunista iraniano. Le stime del numero delle esecuzioni furono impressionanti, raggiungendo la triste quota di circa 30 mila tra caduti e ‘giustiziati’. A questa sanguinosa e violenta azione repressiva sono seguite altre violazioni dei diritti umani, tanto da indurre gli Stati Uniti d’America, nel 2019, a sanzionare Raisi. Malgrado i suoi trascorsi politici, l’attuale presidente della Corte Suprema della Repubblcia islamica dell’Iran ha raggiunto il 62% dei consensi alle ultime elezioni presidenziali. La scelta fondante del ‘Consiglio dei Guardiani’ è stata quella di una corsa esclusiva di Raisi, per concentrare le forze ed escludere potenziali rivali di spicco dalla consultazione elettorale, riconciliando e ricompattando la presidenza, trasformandolo nel possibile ‘delfino’ del leader supremo: l’Ayatollah Ali Khamenei. In realtà, si è rivelata decisiva anche la sfiducia di una buona parte della popolazione, con un dato di astensione dalle urne del 48,8%: storicamente, tra i più bassi dell’intera storia dell’Iran. Un Paese che sta attraversando momenti molto delicati, non solo per le tensioni interne, ma anche per il ruolo strategico della sua politica estera e per il dialogo diplomatico con gli altri Paesi della regione, a cominciare dall'Arabia Saudita. In gioco c’è il rilancio dell'accordo nucleare del 2015. Dall’aprile scorso, infatti, i Paesi firmatari del Jcpoa (Piano di azione congiunto globale, ndr) si sono incontrati a Vienna per rinegoziare un accordo e ripristinare le attività di riconversione degli impianti, indirizzandoli verso un utilizzo per soli scopi civili. Tuttavia, le elezioni di Raisi potrebbero tornare a complicare ulteriormente l’andamento delle trattative internazionali. Inoltre, le relazioni iraniane con Washington restano tese ed è ancora presto per avere il sostegno americano, in quanto Raisi è attualmente sottoposto a sanzioni per violazione dei diritti umani. Preoccupati anche gli esperti della rete Ispi-Med (Istituto per gli studi di politica internazionale e il dialogo nel Mediterraneo, ndr), che dietro all'elezione del nuovo presidente della Repubblica islamica dell'Iran hanno letto il tentativo di un potere più ‘accentrato’ nella ‘Guida della rivoluzione’ del Paese, quando invece sarebbe necessario evitare che tutte le istituzioni della Repubblica islamica iraniana siano nelle mani di una ristretta élite antidemocratica. Si teme la volontà di Teheran di voler tutelare gli interessi del sistema interno in un momento storico così cruciale, ma si spera anche in un dialogo favorevole alle riforme e di apertura verso il mondo esterno, non solo per la stabilità dell’area mediorientale, ma soprattutto per gli aspetti socioeconomici e politici che potrebbero scaturire. Un passo importante e indispensabile sarebbe un maggior coinvolgimento delle forze democratiche, contrarie alla repressione, alla violenza e alla disaffezione popolare, al fine di riuscire a ‘calmare le acque’ prima di tutto all’interno della Repubblica islamica dell'Iran, per approcciarsi ai rapporti diplomatici con il resto del mondo con animi più sereni.






Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio