Forse una svolta sul caso di
Saman Abbas, la
diciottenne pakistana probabilmente uccisa e occultata dai suoi familiari. L’esecutore materiale sarebbe lo zio, in accordo con i genitori e i due fratelli. Tutti
latitanti, tranne il fratello minore,
Ikram Ijaz, unico arrestato della vicenda, in carcere a
Reggio Emilia. Questi, nel corso delle indagini, avrebbe rivelato dove si trova il corpo di
Saman, che aveva rigettato la fede musulmana, assumendo scelte e atteggiamenti
occidentali e rifiutando il
matrimonio combinato in
Pakistan, orchestrato dalla famiglia. Non si sa quanto sia attendibile la rivelazione del fratello, in quanto testimone
'de relato': non ha infatti assistito all’esecuzione a all’occultamento del corpo della ragazza, scomparsa a
Novellara (Re), ma solo a fatti antecedenti e successivi alla sua scomparsa. Finora, le ricerche non hanno dato alcun esito. Il caso di
Saman Abbas non è solo un fatto di cronaca, la morte di una giovane ragazza, ma l’omicidio di un
grande potenziale umano. Gli
integralismi religiosi e la
cultura patriarcale vogliono colpire al cuore le
idee delle donne. La ragazza incarna, infatti, la rivendicazione della donna per una gestione del suo corpo e della sua mente:
l’idea libera che anche la donna possa portare a realizzazione il suo
progetto di vita come
soggetto autonomo e non sottomesso e manipolato dalla
morale 'preconfezionata' di certe
religioni. Una
subcultura presente anche in
Italia, laddove la
donna viene vissuta come
possesso di cui disporre. L’aumento dei
‘femminicidi’ in
Italia e
nel mondo é una piaga che si allarga e che tarda a suturare, nonostante la tanto sventolata
parità di genere e le
lotte delle donne. Una quesitone che
ci conduce a individuare a un
‘disequilibrio’ della società che è, al contempo,
mentale e
culturale. La
legge sembra non essere capace di far fronte al dramma delle
donne uccise o
violate: troppo grandi sono le
disfunzioni della famiglia, in cui spesso si consumano
violenze e
atti efferati e della società, condizionata da
millenni di
cultura patriarcale. I diritti della
parità di genere sembrano di là dal venire, come dimostrano anche gli
attacchi omofobi, fomentati e giustificati dal propagarsi di
correnti reazionarie, che preoccupano e inaspriscono gli animi. Basti pensare a come sia lungo e tuttora complesso
l’iter di approvazione del
ddl Zan a tutela di categorie sociali più deboli, spesso discriminate. Il testo prevede l’estensione dei cosiddetti
reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa
(articolo 604 bis del codice penale) a chi compia oltraggio verso
omosessuali, donne e
disabili. Ma cosa voleva, alla fine, la
giovane Saman? Reclamava il diritto a vivere secondo le sue
inclinazioni, come donna libera di compiere le sue scelte nel rispetto del suo corpo e della sua mente. Il suo corpo martoriato, ucciso e occultato dai suoi stessi famigliari, è
un oltraggio alla libertà degli individui, specie delle
donne, vittime di
‘padri-padroni’ che ottengono, talora, come in questo caso, la complicità della moglie e degli altri famigliari, sostenuti da
moralismi e
integralismi religiosi, i più pericolosi tra gli
‘ismi’. E allora ci siamo chiesti: e se a capo degli Stati ci fossero i
filosofi, come auspicava
Platone? Certamente, si ricucirebbero molti
strappi del
tessuto sociale; si saturerebbero molte
piaghe; si ridimensionerebbe la
sperequazione tra le classi e avremmo tanti di quei vantaggi che chi è incline al
filosofare conosce. La
filosofia come cura, come
habitus della tolleranza e compensazione degli
squilibri, anche personali, che ha certo più forza della
psichiatria perché di follia si tratta, quando si orchestra di far fuori
una figlia che non obbedisce agli
stereotipi culturali e
religiosi. E’ un calpestare i sacrosanti legami di sangue –
Antigone docet -, un violare
l’individuo nella sua
unicità, che va rispettata e tutelata, un folleggiare e delirare poggiandosi agli
‘ismi’, sempre così
schematici e
deleteri. C’era una volta, ad
Atene, un
'Giardino' dove nacque la scuola di
Epicuro di Samo (IV/III sec. a.C.) il quale, credendo che gli dei vivessero negli
‘intermundia’, indifferenti agli umani, raccoglieva uomini, donne, etero e omosessuali, affinché praticassero il più alto dei valori: la
‘philìa’, l’amicizia in una sorta di
‘foedus’, di
patto, tra gli uomini. Come auspicava
Giacomo Leopardi, che di
‘epicureismo’ certo se ne intendeva.
L’amicizia è quel sentimento
‘alto’, che si strutturava tra
maestro e
discepoli, perché ognuno sviluppasse il suo potenziale umano: questo era il mondo desiderato da
Saman. Epicuro, senza negare
l’esistenza degli dei, li aveva appunto posizionati negli
‘intermundia’, restituendo l’uomo alla
libertà di essere se stesso, senza condizionamenti e senza
‘ismi’, invitando tutti a filosofare perché
“non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per questo” (Lettera a Meneceo). Chi praticava simile dottrina diffusa
dall’ellenismo fino al
mondo romano, apprezzata anche da
Seneca, risaputamente di altra corrente – lo
stoicismo – nonché da
Lucrezio, Orazio, Foscolo e
Leopardi, aveva in potere la sua vita. Era
‘compos sui’, padrone di se stesso e conseguiva il fine dell’esistenza: il
piacere. Attenzione, però: quest’ultimo, come scrisse
Epicuro sempre nella
Lettera a Meneceo, "non è il piacere dei dissipatori e dei crapuloni che si abbandonano agli eccessi, bensì coincide con l’autonomia del sapiente che consegue ‘atarassìa’ e ‘aponia’, equilibrio nell’anima e nel corpo attraverso l’uso della parola, in barba ai somministratori di farmaci”. Perché gli
eccessi, anche secondo il medico
Erissimaco nel
'Simposio' platonico, sono il prodotto di squilibri energetici. La parola ha un grande potere, distrugge e costruisce, crea ponti o barriere. Quando gli
esseri umani e le
culture non si parlano più, ma si
aggrediscono, scompaiono la
compassione e
l’empatia, non ci si mette più nei panni dell’altro, che diventa un
oggetto da violare, o addirittura da uccidere. Ancora oggi,
Epicuro ha molto da insegnare. Anche perché mise in una posizione di rilievo, nel suo
‘Giardino’, proprio le
donne –
l’etèra Leonzia - rendendo fattuali i diritti alle
pari opportunità. Egli ha inoltre gettato un ponte tra
filosofia d’oriente, quella
d’occidente e
fisica quantistica, perché la sua
teoria atomistica afferma che gli
atomi si muovono in senso
orizzontale e
parallelo nel
vuoto. Ma questi non si incontrerebbero se non ci fosse la
‘deviazione’, il
‘clinamen’ di
Lucrezio. Invece, essi si aggregano all’atto della nascita e si disgregano nel momento della morte, che ci disperde nel
vuoto originario. A che serve
soffrire, violentare o
uccidere? Siamo tutti
‘impermanenti’ e
mortali. Il concetto di
vuoto avvicina il
pensiero occidentale alle
filosofie orientali – si pensi al
‘buddhismo’ - anche se con esiti diversi: per
Epicuro, dopo la
morte c’è il
nulla, mentre nel
‘buddhismo’ crede, invece, nella
reincarnazione. Tuttavia, per entrambe le
filosofie il
karma si trasforma: per
Epicuro con il filosofare, per il
'buddhismo' o con la meditazione o con la preghiera. Noi crediamo che la nostra contemporaneità abbia bisogno dei
filosofi, per molte ragioni: perché
‘est modus in rebus et in medio stat virtus’. Con
Saman sono stati superati i
limiti. E siamo certi che la giovane sarebbe entrata di diritto nel
'Giardino' di
Epicuro, delle cui
‘Opere morali’ è uscita, il
27 aprile scorso, una splendida riedizione della
Bur con traduzione del filologo/filosofo,
Carlo Diano e la prefazione della figlia
Francesca. Un libro che consigliamo anche a chi voglia
iniziare a filosofare, perché
“non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per rinsavire”. Sperando, nel frattempo, che la
giustizia faccia il suo corso.