L’estate 2021 vogliamo dedicarla ai
giovani. Essi hanno il
tempo dalla loro parte. E il
tempo è
denaro. Dunque, proprio su di loro le cicliche crisi economiche vanno a
‘scaricarsi’, ricadendo di peso. Perché i giovani hanno
tempo, energia, salute fisica ed
entusiasmo. Tutte
‘carte’ che possono essere giocate sul difficile
tavolo del loro futuro. Essi rappresentano la vera
‘posta’ in gioco: la loro
formazione; la capacità di affrontare le
difficoltà poste dalla vita; il grado di
ricchezza valoriale necessario per non ingannarli, per non illuderli facendo credere loro che il
tempo sia una variabile secondaria, di poco conto, o addirittura un qualcosa di immobile, che il progresso tecnologico riesce persino a rallentare.
L’edonismo del
marketing li sollecita ogni giorno. Le generazioni che li hanno preceduti, con i loro
ritocchi estetici e la preminenza data a una concezione
falsamente estetizzante della
salute fisica e della
bellezza lanciano un
messaggi ambigui, dalla natura
perniciosa: non ci si limita a trasmettere la
paura di invecchiare, ma si affianca a questa anche la falsa convinzione che il
tempo non conti, che sia soltanto un
‘ferrovecchio’ ormai sconfitto. Tutti noi, in realtà,
invidiamo i giovani, perché ci fanno sempre tornare alla mente i tempi in cui non dovevamo combattere contro
dolori e
malanni, in cui potevamo fare qualunque cosa o prendere una qualsiasi decisione, persino partire all’improvviso per un Paese lontanissimo senza doversi più di tanto preoccupare. Vorremmo tutti
tornare giovani. E invece, essere
giovani comporta un mucchio di
problemi. A partire dal nostro particolare
egoismo, che ci impedisce di comprendere quanto sia delicato il tema dei
messaggi e
dell’esempio che trasmettiamo loro. Molti ragazzi di oggi sono caratterialmente
chiusi a ‘doppia mandata’. L’origine di questa chiusura deriva spesso dalla
famiglia, che ha trasmesso loro un senso di
appiattimento, in cui tutto viene vissuto
staticamente: casa, famiglia e lavoro costituiscono una
‘strada-maestra’ già idealmente
tracciata nel solco di
sicurezze che, tuttavia,
non esistono più. Mai come oggi il numero di
laureati nel nostro Paese è stato così alto, senza contare le
specializzazioni e i
master. Eppure, nella ricerca lavorativa e professionale prevale una logica
impiegatizia. Con la
laurea si pensa di aver
diritto a tutto. Ma ciò non è sempre valido, oggi come ieri. L’errore culturale è il solito della
piccola borghesia italiana: la pretesa di poter
programmare l’intera vita dei propri figli; di non esporli mai a
difficoltà reali o concrete; pensare che ciò che noi desideriamo corrisponda, fedelmente e perfettamente, a quello che vorrebbero anch’essi per loro stessi. Desiderare il
meglio per i propri figli non vuol dire appiattirli a meri
esecutori, a elementi puramente
decorativi di ogni situazione: è come desiderare di vederli sempre ai
margini di ogni
battaglia, di ogni
impegno, di ogni presa di posizione, anziché insegnare loro a industriarsi per
raddrizzare anche le situazioni più
complesse. La
famiglia cattolico-borghese italiana, con la propria
‘ignavia’, toglie innanzitutto
coraggio ai nostri giovani. La qual cosa non significa che essi debbano fare le cose senza
‘sale in zucca’, secondo un
entusiasmo ingenuo e
‘squinternato’. Il
coraggio è ben altra cosa: significa imparare a
giocarsi le proprie carte al momento giusto e nel modo giusto; vuol dire insegnare ai nostri figli l’importanza di saper compiere delle
scelte coraggiose; di
sapersi mettere in gioco o, quanto meno, di fare dei
tentativi. Invece, i nostri ragazzi sono
timidi e
paurosi. Evitano le questioni o quasi mai le affrontano
‘di petto’. Oppure ancora, si muovono e si comportano in base a
complessi e
nevrosi assurde, che impediscono loro di cogliere tutti i
‘lati’ di ogni singolo problema affrontato, letto, studiato, vissuto. Insomma, i nostri
giovani proprio non riescono a liberarsi da quei
fantasmi che essi stessi sono scientemente educati a crearsi da soli. Ma continuare a impedire loro di andare incontro alla vita,
‘zavorrandoli’ con
macigni psicologici e
paure ataviche non serve a nulla, perché la
vita è
più forte di noi. Lasciate che i giovani vadano
incontro alla vita, perché anche il nostro mondo sarà più vivace e più bello. Aprite loro la porta di casa e mandateli
incontro al proprio futuro: questa sì che sarebbe
un’autentica prova di fede.