Michela DiamantiL’estate 2021 vogliamo dedicarla ai giovani. Essi hanno il tempo dalla loro parte. E il tempo è denaro. Dunque, proprio su di loro le cicliche crisi economiche vanno a ‘scaricarsi’, ricadendo di peso. Perché i giovani hanno tempo, energia, salute fisica ed entusiasmo. Tutte ‘carte’ che possono essere giocate sul difficile tavolo del loro futuro. Essi rappresentano la vera ‘posta’ in gioco: la loro formazione; la capacità di affrontare le difficoltà poste dalla vita; il grado di ricchezza valoriale necessario per non ingannarli, per non illuderli facendo credere loro che il tempo sia una variabile secondaria, di poco conto, o addirittura un qualcosa di immobile, che il progresso tecnologico riesce persino a rallentare. L’edonismo del marketing li sollecita ogni giorno. Le generazioni che li hanno preceduti, con i loro ritocchi estetici e la preminenza data a una concezione falsamente estetizzante della salute fisica e della bellezza lanciano un messaggi ambigui, dalla natura perniciosa: non ci si limita a trasmettere la paura di invecchiare, ma si affianca a questa anche la falsa convinzione che il tempo non conti, che sia soltanto un ‘ferrovecchio’ ormai sconfitto. Tutti noi, in realtà, invidiamo i giovani, perché ci fanno sempre tornare alla mente i tempi in cui non dovevamo combattere contro dolori e malanni, in cui potevamo fare qualunque cosa o prendere una qualsiasi decisione, persino partire all’improvviso per un Paese lontanissimo senza doversi più di tanto preoccupare. Vorremmo tutti tornare giovani. E invece, essere giovani comporta un mucchio di problemi. A partire dal nostro particolare egoismo, che ci impedisce di comprendere quanto sia delicato il tema dei messaggi e dell’esempio che trasmettiamo loro. Molti ragazzi di oggi sono caratterialmente chiusi a ‘doppia mandata’. L’origine di questa chiusura deriva spesso dalla famiglia, che ha trasmesso loro un senso di appiattimento, in cui tutto viene vissuto staticamente: casa, famiglia e lavoro costituiscono una ‘strada-maestra’ già idealmente tracciata nel solco di sicurezze che, tuttavia, non esistono più. Mai come oggi il numero di laureati nel nostro Paese è stato così alto, senza contare le specializzazioni e i master. Eppure, nella ricerca lavorativa e professionale prevale una logica impiegatizia. Con la laurea si pensa di aver diritto a tutto. Ma ciò non è sempre valido, oggi come ieri. L’errore culturale è il solito della piccola borghesia italiana: la pretesa di poter programmare l’intera vita dei propri figli; di non esporli mai a difficoltà reali o concrete; pensare che ciò che noi desideriamo corrisponda, fedelmente e perfettamente, a quello che vorrebbero anch’essi per loro stessi. Desiderare il meglio per i propri figli non vuol dire appiattirli a meri esecutori, a elementi puramente decorativi di ogni situazione: è come desiderare di vederli sempre ai margini di ogni battaglia, di ogni impegno, di ogni presa di posizione, anziché insegnare loro a industriarsi per raddrizzare anche le situazioni più complesse. La famiglia cattolico-borghese italiana, con la propria ‘ignavia’, toglie innanzitutto coraggio ai nostri giovani. La qual cosa non significa che essi debbano fare le cose senza ‘sale in zucca’, secondo un entusiasmo ingenuo e ‘squinternato’. Il coraggio è ben altra cosa: significa imparare a giocarsi le proprie carte al momento giusto e nel modo giusto; vuol dire insegnare ai nostri figli l’importanza di saper compiere delle scelte coraggiose; di sapersi mettere in gioco o, quanto meno, di fare dei tentativi. Invece, i nostri ragazzi sono timidi e paurosi. Evitano le questioni o quasi mai le affrontano ‘di petto’. Oppure ancora, si muovono e si comportano in base a complessi e nevrosi assurde, che impediscono loro di cogliere tutti i ‘lati’ di ogni singolo problema affrontato, letto, studiato, vissuto. Insomma, i nostri giovani proprio non riescono a liberarsi da quei fantasmi che essi stessi sono scientemente educati a crearsi da soli. Ma continuare a impedire loro di andare incontro alla vita, ‘zavorrandoli’ con macigni psicologici e paure ataviche non serve a nulla, perché la vita è più forte di noi. Lasciate che i giovani vadano incontro alla vita, perché anche il nostro mondo sarà più vivace e più bello. Aprite loro la porta di casa e mandateli incontro al proprio futuro: questa sì che sarebbe un’autentica prova di fede.





Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio