Giuseppe Garibaldi fu l’uomo che affrancò dieci milioni di italiani dalla tirannia dei
Borboni. Morì il
2 giugno 1882, a
settantacinque anni. E per una strana coincidenza della Storia, proprio la
Festa della Repubblica che abbiamo celebrato in questi giorni cadeva nel
75esimo anniversario dal
referendum popolare che trasformò il nostro Paese in una
democrazia parlamentare. Ovvero, nel Paese che immaginarono e avevano in mente
Giuseppe Mazzini e
Giuseppe Garibaldi. E’ la loro
visione d’Italia quella che si è realizzata, con grande fatica e immensi dolori. Furono loro, così grandi e nobili, che si dannarono ogni giorno e ogni notte per disegnare il nostro futuro, progettando
rivoluzioni, insurrezioni e
rivolte sociali. Giuseppe Maria Garibaldi era nato a
Nizza, figliuolo di un marinaio. A
otto anni salvò la vita a una donna; a
tredici trascinò a riva una barca piena di compagni di scuola, i quali stavano
naufragando a causa di un’improvvisa burrasca; a
ventisette trasse dall’acque di
Marsiglia un giovane che stava annegando; a
quarantuno salvò l’equipaggio di un mercantile incendiatosi improvvisamente in pieno
Oceano indiano. Combatté per
dieci anni in
America Latina, al fine di liberare i popoli di nazioni come il
Brasile, l’Uruguay e il
Paraguay. E organizzò da solo, senza mai essere
ufficialmente autorizzato da nessuno, tre guerre contro gli
austriaci per la liberazione della
Lombardia, del
Veneto e del
Trentino. Difese
Roma dai francesi nel
1849; liberò
Palermo e
Napoli nel
1860; ricombatté per
Roma nel
1867; e nel
1866 inflisse sono sconfitte
all’Austria-Ungheria, risultando l’unico italiano che, in quella
III guerra d’indipendenza, riuscì a ottenere dei
successi militari incontestabili, al punto da costringere i
Savoia a fermarlo mentre era sulla strada per
Vienna, al fine di impedirgli di
detronizzare gli Asburgo. Fu un autentico
genio della guerra. Ma quando non era impegnato in campagne militari,
lavorava per vivere o si chiudeva in
un’isola solitaria per
coltivare la terra. Egli fu
maestro, marinaio, operaio, contadino, negoziante, soldato, generale, dittatore. Odiava gli oppressori e amava tutti i popoli. Proteggeva i
deboli e rifiutava gli
onori. Disprezzava la morte e
adorava l’Italia. Quando organizzava un nuovo copro d’armata, legioni di giovani accorrevano a lui da ogni parte
d’Italia, soprattutto dalla piccola ma coraggiosa
Bergamo, che si guadagnò sin da allora e per sempre il titolo di
‘Città dei Mille’. Perché tra quei
mille scellerati che seguirono
Garibaldi nella campagna del
1859, per andare ad affrontare un
esercito assai meglio
equipaggiato e composto da
centinaia di migliaia di uomini, più della metà erano
bergamaschi. Ogni volta che decideva di affrontare una guerra, i
figli dei nobili scappavano dai palazzi paterni;
poeti e
intellettuali lo seguivano, prendendo nota delle sue gesta su un
taccuino; gli
operai abbandonavano le
officine e gli
studenti le
scuole, per andare a combattere insieme a lui indossando una
camicia rossa. Migliaia di italiani sono morti per la patria, felici solamente di
vederlo passare vittorioso; e
milioni di persone lo ricordano, ancora oggi, in tutto il mondo. Tanti decenni sono passati e tanta
'acqua' è passata
sotto ai nostri ‘ponti’. Eppure
ogni italiano, nel corso della sua vita, prima o poi si ritrova a dover
leggere le sue gesta, a sentir
parlare di lui continuamente. E via via che passano gli anni, la sua
immagine cresce sempre più, come quella di un autentico
gigante della Storia. E quando anche noi non saremo più di questo mondo, il suo ricordo continuerà a vivere nelle menti e nei cuori dei nostri
figli, dei
figli dei nostri figli e in tutte le
generazioni che si succederanno una dopo l’altra. E ad ogni
singolo giovane italiano risplenderà sempre la
fronte e
l’anima, semplicemente
pronunciando il suo nome.