Dal
16 aprile scorso, data della così chiamata
Ipo (Offerta pubblica iniziale, ndr) - che poi non è stata una
Ipo - dell’azienda
#Coinbase, con un prezzo fatto dal mercato di
420 dollari, il titolo non ha mai smesso di scendere. Molti esperti del settore rimandano al fatto che esso segua l’evoluzione ribassista del
#bitcoin. Ma la situazione, a molti investitori che hanno visto bruciare
miliardi in pochissimo tempo, appare leggermente diversa. Ad oggi, i due fratelli fondatori,
Brian Armstrong e
Fred Ehrsam, che hanno venduto la maggioranza delle loro azioni nel giorno di quotazione, con un
‘gain’ (ricavo, ndr) stellare - decisione presa precedentemente alla quotazione - prevedono di smantellare anche la base fisica dell’azienda, in una prospettiva di massima decentralizzazione e sostenibilità. La percezione sul titolo è contrastante: molti soggetti istituzionali o grandi investitori stanno accumulando a fronte dell’uscita dei
‘retails’ (vendite di giornata, ndr) in perdita. La paura della
regolamentazione, della
tassazione eccessiva, del blocco degli
investimenti in ‘crypto’ in
Cina, unita ai
‘meme’ (segnali, ndr) di
Musk, che dopo aver acquistato miliardi in
bitcoin ha poi affermato che non permetterà mai più l’acquisto in
cryptovalute delle sue
#Tesla, ha innescato un processo a spirale negativa. Si attendono i prossimi giorni per capire se il titolo continuerà a scendere, o s’impennerà verso un rintracciamento intorno ai
300 dollari. Sicuramente, la quotazione di un’azienda di
cryptovalute è qualcosa di innovativo e molto all’avanguardia, in termini percettivi. I più o meno esperti, presi dalla
'fomo' (ansia di non riuscire a rimanere in un settore di mercato, ndr), sono entrati
perdendo capitali. Molti continuano ad accumulare per mediare; altri sono scappati a gambe levate, gridando alla
‘bolla speculativa’ o, su alcuni forum specializzati, addirittura alla
‘truffa istituzionalizzata’. Di fatto, quando si parla di azionariato non c’è mai alcuna certezza. A parte una:
mai fare il passo più lungo della gamba.