Fare
politica estera è particolarmente difficile, soprattutto qui da noi. A parte la
famiglia Craxi, che da sempre dimostra un talento naturale in certe cose, nessuno ci capisce nulla. Per esempio, il fatto che tutti, in questi giorni, da
Enrico Letta a
Matteo Salvini, passando per
Giorgia Meloni, a seguito degli scontri in
Palestina si siano schierati pregiudizialmente a favore di
Israele - che legittimamente manifesta un proprio
‘diritto di resistenza’ implicitamente esistente anche nella nostra
Costituzione – rappresenta un qualcosa di
sconcertante. In quest’ultimo decennio di governo, la destra israeliana ha man mano scacciato dalle proprie case molte famiglie di
palestinesi insediatesi in certi
territori e in molti quartieri di
Gerusalemme dopo i conflitti del
1967 e del
1973. Erano
case e
appartamenti vuoti. E non sapendo dove mettere i
profughi dei vari
conflitti mediorientali, gli
israeliani stessi li avevano assegnati a loro. Oggi, al contrario, li
sfrattano per far tornare in quelle abitazioni le
famiglie ebree discendenti dai proprietari originari, senza garantire ai
palestinesi alcuna
soluzione alternativa che non siano i campi profughi.
Matteo Salvini, addirittura, ha parlato di
Israele come di un
Paese difensore della cristianità. Peccato che le
comunità arabe cristiane, così come quelle
assire e
armene, facciano anch'esse parte proprio di quei
profughi scaraventati, da un giorno all’altro,
in mezzo alla strada. Noi non abbiamo mai pensato che il
leader della Lega fosse un criminale: semplicemente, lo riteniamo un
opportunista frettoloso, che si schiera a seconda di
dove tira il 'vento'. Quando non si conoscono a fondo certe cose sarebbe meglio
attendere, al fine di raccogliere qualche informazione in più. Ricordiamo inoltre al
Partito di Giorgia Meloni, che nel
1948 quelle stesse case di
Gerusalemme furono occupate dagli
israeliani di ritorno da una
diaspora millenaria e come
risarcimento per i
6 milioni di ebrei sterminati in Europa orientale dalle
politiche nazionaliste di destra. Insomma, ci troviamo innanzi a un
intreccio ‘etnico-religioso’ delicatissimo, in merito al quale ognuno dice la sua come se si trattasse di un
quiz condotto da
Amadeus. In
Medio Oriente c’è solamente una soluzione: essendoci
due popoli, dovranno nascere
due Stati. O si è in grado di imporre, anche con la forza, una soluzione di
coesistenza pacifica oppure
si sta zitti, poiché si tratta di questioni su cui
l’Onu si è più volte espressa, con
risoluzioni totalmente ignorate dai vari governi di
Tel Aviv succedutisi nei decenni. E gli ultimi
4 anni hanno visto decisioni totalmente
estemporanee da parte
dell’amministrazione Trump, dettate soprattutto da motivazioni di
consenso che hanno lasciato esattamente il tempo che hanno trovato. A cominciare dai cosiddetti
‘Accordi di Abramo’, da molti presentati, in questi giorni, come una soluzione
accettabile anche da parte di una comunità, quella
palestinese, sempre più
isolata e
abbandonata a se stessa. Siccome per
4 anni non si è sparato un solo colpo, quegli accordi stavano bene a tutti. Compresi coloro che si sono ritrovati
danneggiati. Invece di costruire una vera
politica di pacificazione, si continua a
scavare sul fondo, forse alla ricerca di quei
gironi ‘danteschi’ che, certamente, non ci condurranno a
'rivedere alcuna stella' nel
firmamento della pace, nemmeno quella a
sei punte. Sostenere che gli
accordi di Abramo siano stati accettati per amor del
‘quieto vivere’, è come dire che il
disonore sia meglio di una
guerra. Peccato, però, che
scegliendo il primo non si riesca mai a ottenere
nient’altro che la seconda.