Sfilano ancora oggi, davanti i nostri occhi, i carri militari di
Bergamo che trasportano i cadaveri di
Covid 19. E assistiamo, ogni giorno, a un numero esorbitante di
morti in tutto il mondo. Corpi senza vita che se ne vanno
senza rito e senza la consolazione dei loro cari.
Morire da soli, a volte
senza sepoltura, come nei
Paesi più poveri, è il peggiore destino che sia toccato all’uomo in fasi diverse della Storia. Dalla peste di
Atene a quella di
Marco Aurelio, da quella di
Giustiniano a quella del
Boccaccio, si lamentano non solo i sintomi perniciosi e inizialmente sconosciuti, ma anche e soprattutto la trascuratezza dei
riti di sepoltura e la
solitudine in cui si muore. La
peste del Boccaccio durò, in realtà,
trecento anni, con ondate diverse in tutta
Europa. E divenne la
peste del Manzoni da cui emerge, in linea con il movimento romantico, il
dolore dell’uomo di fronte alla
malattia e alla
morte: un esempio per tutti, il passo relativo alla morte della piccola
Cecilia. Con il termine generico di
peste si è inteso, per secoli, un insieme di
malattie sconosciute, a cui bisognava far fronte senza avere rimedi medici: il
vaiolo e il
morbillo, per esempio. La prima peste vera è quella avvenuta sotto
Marco Aurelio, di cui lo stesso imperatore-filosofo morì, lasciando però un segno della sua presenza più efficace di qualsiasi conquista militare: il trattato filosofico
‘stoico’, scritto in greco, dedicato a se stesso. Un’opera con cui occorre che si confronti chiunque abbia a cuore il dolore dell’uomo di fronte alla morte e alla fragilità della
vecchiaia, che ricorda con nostalgia melanconica le prodezze e gli amori della
giovinezza. Vivere questi eventi marchia per sempre il singolo e la collettività, inducendo a riflettere sulla caducità della condizione umana, che passano su questa
Terra con un destino non dissimile da quella delle
foglie, destinate a cadere. Così ci soccorre la poesia di
Mimnermo o quella di
Pindaro, che parla dell’uomo come
“sogno di un’ombra”; o quella di
Ungaretti e
Montale, tutta intrisa di consapevolezza per la fragilità dell’uomo. Nondimeno, il
Leopardi accusa il
“secolo superbo e sciocco” per il suo delirio di onnipotenza, credendo nelle
“sorti progressive”. Ma tra tutti si eleva il primo stasimo del coro
dell’Antigone di
Sofocle, tragediografo del
V secolo a. C. in cui la consapevolezza di dover morire spinge lo sguardo verso una
‘ulterità’, come direbbe il filosofo,
Umberto Galimberti: “Molte sono le cose straordinarie, eppure nulla di più straordinario dell'uomo esiste; questo anche oltre il grigio mare con tempestoso vento avanza, sotto ondate rumoreggianti procedendo, e tra le dee la più alta, la Terra indistruttibile, instancabile (egli) logora calcando aratri di anno in anno, trattandola con specie equina. E la stirpe degli uccelli dalla mente leggera (egli) caccia circondandola e i popoli delle fiere selvagge e gli esseri marittimi delle profondità con spire cucite in forma di rete, l'uomo ingegnoso; e si impossessa con stratagemmi della fiera selvatica che vive sui monti, e il cavallo dalla lunga criniera sottomette al giogo ricurvo e il toro montano instancabile. E voce e volatile, pensiero e sentimenti di convivenza (egli) apprese, e a fuggire le intemperie di geli inabitabili e i colpi di forti piogge ricco di espedienti in ogni situazione; privo di espedienti a nessuna situazione futura si presenta; soltanto da Ade scampo non troverà; eppure rimedi contro malattie inguaribili ha escogitato”. Quindi, l’uomo, essere prodigioso, ha solcato il mare infecondo, ha aggiogato i monti, ha sconfitto le malattie, ma nulla può contro la morte. Questo ci spinge a pensare al nostro destino
oltre la morte, cosa cui siamo costretti a riflettere in questi tempi di
pandemia e ci ricorda la sacralità della
degna sepoltura come esempio e memento per le generazioni future. Gli uomini trovano nel
funerale e nel
rito della sepoltura una modalità di
consolazione, affidando il corpo del proprio caro alla speranza della
resurrezione o alla
metempsicosi o alla
reincarnazione. Da
Platone in poi, molti uomini, non solo i sapienti, credono
nell’immortalità dell’anima. Ma
sacro è anche il corpo, a partire dalla
mummificazione egizia. Ma a
Tebe di Beozia capitò, secondo il
mito dei Labdacidi, presente nei tragici, specie in
Sofocle, che i figli diretti di
Edipo re,
Antigone, Ismene, Eteocle e
Polinice, si imbarcassero in una brutta avventura, secondo i principi della nèmesi storica, per cui le colpe dei padri ricadono sui figli. Qui regnava il tiranno
Creonte, loro zio, che lasciò il trono in eredità ad
Eteocle e
Polinice, che avrebbero regnato ad anni alterni. Alla fine del primo anno di trono,
Eteocle, però, non volle restituire il potere al fratello
Polinice. Questi allora si alleò con sei prodi guerrieri di
Argo e mosse guerra a
Tebe, che schierò sette guerrieri, tra cui lo stesso
Eteocle. I
Tebani ebbero la meglio, ma
“in un sol giorno di duplice strage”, racconta
Sofocle ne
'I sette contro Tebe', i due fratelli si uccisero reciprocamente.
Creonte ordinò di dare sepoltura a
Eteocle e di lasciare agli uccelli e ai cani il corpo di
Polinice. Ma qui interviene la sorella
Antigone a gettare un pugno di terra simbolico sul corpo insepolto del fratello, mentre la timida
Ismene piange ed è reticente ad agire.
Antigone viene chiusa in una caverna e qui muore. Di conseguenza, si suicidano anche il figlio di
Creonte, suo aspirante sposo e la moglie, disperata per l’esito di questa disavventura. Secondo lo schema hegeliano,
Antigone rappresenta la
legge del sangue e degli dei, che ha cura degli
affetti familiari e del rito della
sepoltura, mentre
Creonte incarna la
'Ragion di Stato', che si impone con tracotanza. Questi dovrà pagare con una catena di sangue il suo strapotere e morirà disperato, mentre
Antigone vive nell’immaginario collettivo come la
paladina dei valori della famiglia che combatte contro il
patriarcato del tiranno, riaffermando l’antico
matriarcato e la
donna come
custode della tradizione. In tempi di
pandemia, attraverso il dolore di
Antigone diamo voce a tutti i famigliari che non possono
assistere e
curare i propri cari, mentre il
rito della sepoltura si consuma in
solitudine. Ma non è vero, altresì, che la nostra
'Ragion di Stato' sia
tirannica, come alcuni
'negazionisti' credono: le misure presa dal governo sono
rispettabili, poiché avevano a cuore il
contenimento del male.