Michela DiamantiSono passati 60 anni dalla storica impresa di Yuri Gagarin (primo uomo nello spazio) e poco più di 50 anni da quando la missione Apollo 11 consentì a due astronauti americani, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, di lasciare la propria impronta sulla Luna. Dai giorni dell’Apollo 11 non si è mai spento il desiderio di valicare nuovamente i confini del nostro pianeta per tornare sulla Luna ancora una volta, dopo l’ultima missione, la 17, del dicembre 1972. Desiderio che è divenuto l’ambizione di molti non solo all’interno della Nasa e che potrebbe diventare realtà entro pochi anni. Jim Bridenstine, scelto nel 2017 da Donald Trump per guidare l’ente spaziale americano e che ha lasciato l’incarico a gennaio scorso, di pari passo con la tumultuosa uscita del ‘tycoon’ dalla Casa Bianca, in un ‘tweet’ aveva svelato la composizione del team di astronauti che, a oltre mezzo secolo dopo le imprese delle astronavi Apollo, dovranno portare sulla Luna il programma di volo spaziale ‘Artemis’: la missione destinata ad aprire “una nuova era per l’esplorazione lunare, che non si fermerà alla luna ma che piuttosto preparerà l’umanità per il nostro prossimo salto gigante: Marte”. Joseph Acaba, Kayla Barron, Raja Chari, Matthew Dominick, Victor Glower, Warren Hoburg, Jonny Kim, Christina Koch, Jessica Meir, Kjell Lindgren, Nicole Mann, Anne Mc Clain, Jessica Watkins, Jasmin Moghbeli, Kate Rubins, Frank Rubio, Scott Tingle e Stephanie Wilson: sono questi i nomi della selezionata 'rosa' di diciotto astronauti, nove donne e nove uomini, a cui è stato affidato l’ambizioso compito di riportare l’uomo (e la donna) sul nostro satellite. Il gruppo sarà probabilmente arricchito da altri componenti, che verranno proposti dai partner commerciali e internazionali e che ricopriranno una parte significativa nel progetto, mutando profondamente lo stesso ruolo della Nasa nell’ambito dei programmi spaziali. Infatti, se i ‘voli Apollo’ hanno visto come protagonista assoluto l’ente spaziale statunitense, per Artemis la prospettiva è radicalmente diversa: l’agenzia si cimenterà nell’impresa in partnership con altri Paesi e con facoltosi privati con il ‘pallino’ dello lo spazio. In effetti, ad aggiudicarsi la progettazione di un ‘lander’ (ovvero un veicolo per l’allunaggio e la sosta sulla superficie lunare), che possa raccogliere il testimone lasciato dal Lem (Lunar Excursion Module, ndr) delle missioni Apollo, vi sono la ‘Blue Origin’ di Jeff Bezoz, la ‘Space X’ di Elon Musk e la società di tecnologia ‘Dynetics’. Intorno a questi progetti concorrenti gravita, inoltre, un microcosmo di subcontractor, fra i quali la ‘Thales Alenia Space’ (partecipata dall’italiana Leonardo, ndr), che per la ‘Dynetics’ si occuperà di collaborare alla progettazione della cabina pressurizzata dello ‘Human Landing System’ (sistema di atterraggio umano, ndr). Quali saranno le tecnologie, le soluzioni e le azioni che la Nasa e i suoi partner, tanto internazionali quanto commerciali, implementeranno per il ritorno sulla Luna, lo sapremo nei prossimi anni. Sempre che la ottimistica ‘deadline’ originaria del 2024 venga rispettata, vista la ‘cautela’ del Congresso americano e l’incertezza legata al cambio di amministrazione alla Casa Bianca, che sarà impegnata sulla ‘linea del fronte’ della ripresa economica. Una prima rassicurazione è arrivata da Jean Psaki, portavoce della nuova amministrazione Biden, che a inizio febbraio ha voluto rimarcare il sostegno bipartisan del Congresso all’esplorazione lunare, ritenuta un passaggio obbligato verso la via per andare su Marte. Un ulteriore segnale di continuità si è avuto con la nomina ‘ad interim’ di Steve Zurczyk (già amministratore associato della Nasa, in quanto ‘vice’ di Bridenstine) alla guida dell’agenzia, dove in ogni caso l’entusiasmo continua ad essere ‘alle stelle’. Del resto, per la Nasa il programma Artemis costituisce un’occasione unica per tornare al centro del dibattito politico e mediatico. L’ambizione è, infatti, quella di creare le condizioni per una permanenza umana sulla Luna, a sua volta considerata vero e proprio trampolino di lancio per portare l’uomo su Marte: sogno ‘proibito’ tanto dei privati che, come Elon Musk, gravitano attorno ai progetti spaziali, quanto della Nasa stessa, attualmente impegnata sul 'pianeta rosso' con la missione senza equipaggio ‘Mars 2020’, che ci sta regalando immagini spettacolari riprese dal rover ‘Perseverance’. Le prime rassicurazioni di Jen Psaki non hanno, tuttavia, lasciato trapelare alcuna certezza sulla scadenza del 2024 per un prossimo ‘allunaggio’, che potrebbe verosimilmente subire uno slittamento di qualche anno; pesano quelli che sono stati i pilastri della campagna elettorale del nuovo presidente Joe Biden. Ovvero: il rilancio dell’economia americana; la lotta alle diseguaglianze sociali ed etniche; la lotta ai cambiamenti climatici, a cui potrebbero essere destinate risorse a svantaggio delle missioni spaziali. D’altro canto, il crescente interesse cinese verso il nostro satellite, destinatario dal 2013 di diverse missioni senza equipaggio volute dalla Cina, potrebbe a sua volta rappresentare un ulteriore elemento propulsivo verso una nuova era di competizioni spaziali. Come già accaduto dopo il secondo conflitto mondiale, quando Stati Uniti e Unione Sovietica si sono contesi sul ‘filo di lana’ ogni genere di primato (dal primo volo extraterrestre, al primo uomo in orbita, al primo ‘piede’ sulla Luna, ndr). Per il momento, tra i membri del team Artemis continua a riecheggiare il motto: “Sulla Luna per restare”. Possiamo solo auspicare che tale obiettivo non diventi un’ambizione comune e diffusa per chi teme che dovrà, un giorno, abbandonare il nostro 'pianeta azzurro', afflitto da mutamenti climatici tali da mettere a rischio la sopravvivenza della vita terrestre.





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