Michela Diamanti
E’ interessante notare come anche la pandemia abbia stimolato l’inventiva dei creativi, quelli genericamente definiti ‘consulenti’. La vera creatività, infatti, deriva dal caos, dal disordine, da fattori casuali, come dimostrato perfettamente dal direttore di Laici.it, che si fa venire le idee migliori litigando per la strada con il distributore automatico delle sigarette. Ma lasciamo perdere (anche se l'episodio è accaduto realmente, ndr). Prendiamo il caso dello ‘smart working’: in questo lungo anno di pandemia, tale modalità occupazionale è stata esaltata da sociologi ed esperti vari. Senza tener minimamente presente che il merito fondamentale della prima rivoluzione industriale fu proprio quello di aver costretto le persone e i lavoratori a uscire dalla famiglia, portandoli a lavorare in fabbrica. Pertanto, l’attuale auspicio circolante, cioè che in futuro non solo si possa, ma addirittura si debba lavorare da casa, rappresenta un’evidente regressione e non una razionalizzazione occupazionale. Lavorare in casa significa fare le cose male e più lentamente, continuamente interrotti dalla signora delle pulizie che passa con la scopa sotto al tavolo, dal gatto che salta dappertutto e dai bambini che corrono urlanti per tutto l'appartamento. Sotto il profilo organizzativo, insomma, attraverso lo smart working si sta tratteggiando la sceneggiatura di un film dell’orrore. Uscire dalla famiglia fu ciò che liberò l’uomo, ponendolo nelle condizioni di costruire il proprio futuro, poiché il lavoro trasforma l'individuo in una persona. Soprattutto in termini identitari, di dignità umana. In tal senso, lavorare da remoto è un ritorno al medioevo: una regressione dell’umanità a mera ‘specie’. Ma a prescindere da questo, è esilarante notare come alcuni eventi esterni, come quello del Covid 19, pongano sempre certi ‘creativi’ - quelli convinti che il colpo di genio arrivi autoisolandosi innanzi al personal computer – nella condizione di voler razionalizzare il lavoro, riproponendo una versione riveduta e corretta della vecchia catena di montaggio. Oppure, quella del ‘cottimismo’ a tempo, in cui gli industriali degli anni ’60 del secolo scorso erano soliti ricorrere, nella convinzione che, facendo lavorare l'operaio più velocemente, si aumentasse la produzione. In realtà, negli anni successivi fu dimostrato scientificamente che una velocità ‘media’ della produzione consenta all’operaio di risparmiare fatica. Dunque, di produrre di più nel lungo periodo, senza usurarsi ‘sfiancando’ se stesso. La tartaruga aveva sconfitto, ancora una volta, quel 'piè veloce' di Achille. Ma non c’è niente da fare: il capitalismo globalista e ‘turboliberista’ rimane convinto di poter organizzare la vita degli altri. Anzi, di essere il più bravo di tutti a farlo, dall’esterno e dall’alto, cioè da una posizione gerarchica di controllo esogeno. Le cose non stanno affatto così: il lavoro degli altri è una figura sociologica ben distinta rispetto a quella dei cosiddetti 'colletti bianchi'. Prendiamo uno stabile pubblico, che ospita molti impiegati - uno dei nostri ministeri, tanto per fare un esempio - e incarichiamo un manager di gestirlo: senza dubbio, costui troverà il modo di risparmiare da qualche parte. Magari ricorrendo a qualche nuova tecnologia, che consenta l’uso della luce elettrica e del riscaldamento solo quando nella struttura sia presente qualcuno. Ebbene, basterà che un singolo impiegato si innamori di un canarino e se lo porti, con la sua gabbietta, in ufficio, per far ‘saltare’ quest’utopica idea di risparmiare gasolio per il riscaldamento e l'elettricità: con un semplice battito d’ali del canarino, l'intera struttura vedrà riaccendersi tutte le luci, con le caldaie del riscaldamento tornate a pieno regime. Questo metaforico esempio dimostra come non ci sia solamente l’operaismo di sinistra, tra le ‘utopie’ del lavoro: anche un certo tipo di programmazione soffre degli stessi, identici limiti, che presiedono la ‘messa a terra’, cioè la realizzazione pratica, di un’idea o un progetto qualsiasi. Per far girare veramente l’economia di un Paese servono, invece, investimenti e stimoli al consumo, se possibile aumentando i salari sostenendo, altresì, la domanda aggregata. Le intuizioni di certi ‘consulenti globali’, francamente ci fanno soltanto sorridere e divertire, poiché nel loro sentirsi dei veri e propri ‘geni della lampada’, essi finiscono col riportarci indietro tutti quanti, nella speranza di aver trovato la ‘chiave’, o una delle ‘chiavi’, per riattivare l’intero ciclo di sviluppo produttivo. In realtà, come già affermato più volte, quando si torna indietro non si ritrova mai il medesimo luogo di un tempo, poiché tutto è cambiato, insieme al resto della società. Si chiama: ‘tunnel dello storicismo’. Il quale possiede una direzione univoca, anche quando noi crediamo di aver ricaricato il nostro pupazzo ‘a molla’ con la ‘chiave’ che il nostro consulente globale ritiene di aver individuato. C’è anche un'antica ‘barzelletta’ sui consulenti, alquanto famosa tempo addietro. Quella in cui un ‘creativo’ cerca di persuadere un pastore ad acquistare un calcolatore elettronico, convincendolo che, grazie alla tecnologia, potrà contare le sue pecore con maggior precisione. Ma il pastore, inaspettatamente, risponde: “Senta, caro ragazzo: innanzitutto, io non l’ho chiamata; in secondo luogo, io so benissimo quante sono le mie pecore e non ho alcun bisogno di contarle; in terzo luogo, la bestia che lei sta accarezzando non è una pecora, bensì il mio cane…”.





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