Ariecco Sanremo. Neanche dopo un intero anno di
pandemia c’è stato modo di
sospenderlo. Una manifestazione che continua, imperterrita, a presentarsi innanzi agli occhi degli italiani. Forse, non ha torto chi pensa che essa esistesse prim’ancora della riunificazione del
1861. C’era già prima,
Sanremo. Noti sono, infatti, i successi risorgimentali di
Gianni Morandi: ‘Uno su mille ce la fa’, dedicata a
Giuseppe Garibaldi; ‘C’era un ragazzo che come me amava Mazzini e Camillo Cavour’; ‘Andavo a cento all’ora’ dedicata all’inaugurazione
dell’Autosole. Tutti successi indimenticabili. Poi venne l’epoca degli
‘urlatori’, con
Tony Dallara e
Renato Rascel, Mina e
Adriano Celentano. Mitica l’annata che vide l’esordio di
Gigliola Cinquetti, che riuscì a cantare
‘Non ho l’età’ sul palco
dell’Ariston spacciandosi per la nipote di
Claudio Villa. Momenti e anni bellissimi, che purtroppo non torneranno mai più. In seguito, giunse il ciclo dei
cantautori, i quali tentarono di
‘spostare’ il nostro sguardo verso orizzonti più
pensosi, come nel caso di
Luigi Tenco, Sergio Endrigo e
Gino Paoli. Negli
anni ’70, la manifestazione sembrò entrare in crisi, anche se l’arrivo di
Rino Gaetano fece scalpore. Infine, il grande
‘rilancio’, avvenuto grazie a
Toto Cutugno, Pupo, Riccardo Fogli e tanti altri. Fantastiche le edizioni in cui
Anna Oxa mostrò al mondo le sue vere qualità: un
fondoschiena perfetto, scolpito da
Michelangelo. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con i successi di
Francesco Gabbani, Diodato e le crisi isteriche di
Bugo e
Morgan. Di
Domenico Modugno abbiamo già parlato, in passato. Soprattutto, in merito al vero richiamo nascosto di
‘Volare’ – l’orgasmo maschile - che per lunghi decenni venne percepito come un inno ai
salvataggi dell’Alitalia. Insomma, la solita
gran ‘caciara’, tipica di un Paese allegro e canterino, che ama tantissimo
rimuovere i suoi problemi, nascondendoli
sotto al tappeto. Sono poche, in effetti, le rassegne canore degli altri Paesi europei: solo noi ce lo abbiamo, il
Festival di Sanremo. Evidentemente, dobbiamo proprio aver fatto
qualcosa di male, in passato. E tutti si sintonizzano in
mondovisione per vedere, una volta l’anno, cosa caspita combiniamo noialtri, sempre alle prese con le nostre
regressioni mentali e anche
sessuali. E’ vero: c’è anche
l’Eurofestival. Una manifestazione che, per alcuni anni, cercai di seguire. Siccome però, a parte un raro caso, non lo vinciamo mai, mostriamo scarso interesse verso quella competizione canora.
L’Eurofestival è roba per gli
Abba o altri gruppi del
nord’Europa, coi loro capelli biondi e la manìa per il
campeggio a bordo di un furgoncino della
Volkswagen. Eresie da
protestanti, insomma. Cosa ci dirà questa
71esima edizione? Mah… E chi può dirlo? Noi italiani siamo così imprevedibili. C’è da dire che la conduzione di
Amadeus la ritengo
accettabile, anche se molto aiutato e
‘spalleggiato’ da
Fiorello, che invece meriterebbe, in futuro, di dirigerlo in prima persona, essendo un autentico
‘showman’ di talento. Ma anche la lunga esperienza professionale di
Amedeo Sebastiani meritava un’incoronazione, con tutti i
‘giramenti di palle’ che ha dovuto sopportare con certi concorrenti de
‘L’eredità’. Ricorderemo sempre quella volta in cui ne buttò fuori uno dallo studio televisivo, perché
sparava ‘minchiate’ anziché rispondere al
quiz. Aveva ragioni da vendere, quella volta, il povero
Amadeus. Ma anche in quel caso, si dovette mediare, per arrivare ai soliti
‘tarallucci e vino’. Perché noi italiani siamo costretti a tollerare anche quella parte del nostro popolo composta da
persone assurde. Bisogna sopportare anche quella gente lì: i
piccolo borghesi reazionari, che promettono una
seconda Norimberga, per vendicarsi della prima; che vivono in uno stato di perenne e sempre più malcelato
odio ideologico; che si fanno mandare
risarcimenti e
‘ristori’ e, al contempo, riaprono
palestre, ristoranti e
locali; che adorano la
libertà di potersi
fare del male da soli a danno della
collettività; che preferiscono i
‘bibitoni da cacarella’, piuttosto che
farsi vaccinare. Ecco, un ultimo pensiero lo dedichiamo proprio a
‘Cacarella’: il finale di
‘Affabulazione’ di
Pier Paolo Pasolini. Un breve epilogo che descrive perfettamente il rapporto storico tra le
diverse generazioni di italiani che si susseguono una dopo l’altra, reiterando sempre lo stesso, identico, problema:
padri reazionari che vorrebbero
uccidere i propri figli o
esserne uccisi, poiché abituati a ragionare in una
logica di guerra; e
figli abulici, che non vogliono né la
prima, né la
seconda cosa.
Figli anacronisticamente innocenti, costretti a subire questo
‘Fine pena: mai’ chiamato
Festival di Sanremo.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale GIUSTAPPUNTO! pubblicata su www.gaiaitalia.com)