Il primo pensiero che vorrei condividere nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra
responsabilità nazionale. Il principale dovere cui siamo chiamati tutti, io per primo come presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la
pandemia e di
salvaguardare le vite dei nostri
concittadini. Una trincea dove combattiamo
tutti insieme. Il
virus è il
nemico di tutti. Ed è nel
commosso ricordo di chi non c’è più che cresce il nostro impegno. Prima di illustrarvi il mio programma, vorrei rivolgere un altro pensiero, partecipato e solidale, a
tutti coloro che soffrono per la
crisi economica che la
pandemia ha
scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per
motivi sanitari. Conosciamo le loro ragioni e siamo consci del loro enorme sacrificio. Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni. Ci impegniamo a
informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la
rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole. Il
Governo farà le
riforme, ma affronterà anche
l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell’insegnamento di
Cavour: “Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”. Ma nel frattempo, dobbiamo occuparci di chi
soffre adesso, di chi oggi
perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria
attività. Nel ringraziare, ancora una volta il
presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico che mi è stato assegnato, vorrei dirvi che non vi è mai stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia. Ringrazio altresì il mio predecessore,
Giuseppe Conte, che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto
dall’Unità d’Italia. Si è discusso molto sulla natura di questo governo. La
Storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di
formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il
governo del Paese. Non ha bisogno di
alcun aggettivo che lo definisca. Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono, alle quali è stata chiesta una
rinuncia per il
bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche
dell’opposizione, dei
cittadini italiani tutti. Questo è lo
spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza, raccogliendo l’alta indicazione del
capo dello Stato. La crescita di un’economia di un Paese non scaturisce solo da
fattori economici. Dipende dalle
istituzioni, dalla
fiducia dei cittadini verso di esse, dalla
condivisione di valori e
speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese. Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal
fallimento della politica. Mi sia consentito di
non essere d’accordo. Nessuno fa un
passo indietro rispetto alla propria identità, semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa
uno in avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di
lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità. Nei
momenti più difficili della nostra
Storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in
scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano
impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il
dovere della
cittadinanza. Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per
combattere la pandemia e
contrastare la crisi economica. E noi, oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo, siamo tutti semplicemente
cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato. Questo è lo
spirito repubblicano del mio governo. La durata dei governi, in
Italia, è stata mediamente
breve, ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere
scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la
qualità delle decisioni, conta il
coraggio delle visioni, non contano i
giorni. Il
tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di c
onservarlo. Oggi, noi abbiamo, come accadde ai
governi dell’immediato dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una
'Nuova Ricostruzione'. L’Italia si risollevò dal
disastro della
seconda guerra mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a
investimenti e
lavoro. Ma soprattutto, grazie alla
convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella
fiducia reciproca, nella
fratellanza nazionale, nel perseguimento di un
riscatto civico e
morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche
ideologicamente lontane, se non contrapposte. Sono certo che anche a questa
'Nuova Ricostruzione' nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto. Questa è la nostra missione di italiani: consegnare
un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti. Spesso mi sono chiesto se
noi - e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione - abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri
nonni e
padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il
capitale umano, la
formazione, la
scuola, l’università e la
cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare
risposte concrete e
urgenti quando
deludiamo i nostri giovani costringendoli a
emigrare da un
Paese che, troppo spesso,
non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva
parità di genere. Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro
debito pubblico senza aver speso e investito al meglio
risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco, oggi, è un
torto che facciamo alle
prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un
futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni. Nella speranza che i
giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui, in quest'aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro
egoismo. Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore,
all’Unione europea e come protagonista
dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi
democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere
l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di
un’Unione europea sempre più
integrata, che approderà a un
bilancio pubblico comune, capace di sostenere i Paesi nei periodi di
recessione. Gli
Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza
cedono sovranità nazionale per acquistare
sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al
destino dell’Europa siamo
ancor più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo
dell’Unione europea. Senza
l’Italia non c’è
l’Europa. Ma
fuori dall’Europa c’è
meno Italia. Non c’è
sovranità nella
solitudine. C’è solo
l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande
potenza economica e
culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia
migliore del nostro. Dobbiamo essere più
orgogliosi, più
giusti e più
generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale e del nostro volontariato, che altri ci invidiano.
Lo stato del Paese dopo un anno di pandemiaDa quando è esplosa
l’epidemia, ci sono stati — i dati ufficiali sottostimano il fenomeno —
92.522 morti, 2.725.106 cittadini
colpiti dal virus, in questo momento
2.074 sono i ricoverati in terapia intensiva. Ci sono
259 morti tra gli operatori sanitari e
118.856 sono quelli contagiati, a dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e impegno. Cifre che hanno messo a dura prova il
sistema sanitario nazionale, sottraendo personale e risorse alla prevenzione e alla cura di altre patologie, con conseguenze pesanti sulla salute di tanti italiani.
L’aspettativa di vita, a causa della
pandemia, è
diminuita: fino a 4-5 anni nelle zone di maggior contagio; un
anno e mezzo-due in meno per tutta la popolazione italiana. Un calo simile non si registrava, in
Italia, dai tempi delle
due guerre mondiali. La
diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul
tessuto economico e
sociale del nostro Paese, con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il
divieto di licenziamento. Si è anche
aggravata la povertà. I dati dei centri di ascolto
Caritas, che confrontano il periodo
maggio-settembre del
2019 con lo stesso periodo del
2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei
'nuovi poveri' passa dal
31% al
45%: quasi
una persona su due che oggi si rivolge alla
Caritas lo fa
per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta, in particolare, il peso delle
famiglie con minori, delle
donne, dei
giovani, degli
italiani, che sono oggi la maggioranza
(52% rispetto al
47,9% dello scorso anno
) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora
mai sfiorati dall’indigenza. Il numero totale di ore di
Cassa integrazione per emergenza sanitaria dal
1° aprile al
31 dicembre dello scorso anno supera i
4 milioni. Nel
2020, gli occupati sono scesi di
444 mila unità, ma il calo si è accentrato su contratti a termine
(-393 mila) e lavoratori autonomi
(-209 mila). La pandemia ha finora colpito soprattutto
giovani e
donne: una
disoccupazione selettiva che presto potrebbe iniziare a colpire
anche i lavoratori con
contratti a tempo indeterminato. Gravi e con pochi precedenti storici, gli effetti sulla
diseguaglianza. In assenza di
interventi pubblici, il
coefficiente di Gini, una misura della
diseguaglianza nella
distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del
2020 (secondo una recente stima), di
4 punti percentuali, rispetto al
34.8% del
2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti
recessioni. L’aumento nella diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di
sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della
pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è
squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con
impieghi a tempo determinato e i
lavoratori autonomi. Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla
Commissione europea indicano che, sebbene nel
2020 la
recessione europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse -- e che quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero
recuperare i livelli di attività economica
pre-pandemia – in
Italia questo non accadrà prima della fine del
2022, in un contesto in cui, prima della pandemia, non avevamo ancora
recuperato pienamente gli effetti delle crisi del
2008-09 e del
2011-13. La diffusione del
Covid ha provocato
ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano
sanitario ed
economico, ma anche su quello
culturale ed
educativo. Le ragazze e i ragazzi hanno avuto, soprattutto quelli nelle
scuole secondarie di secondo grado, il
servizio scolastico attraverso la
Didattica a distanza, che pur garantendo la continuità del servizio non può non creare
disagi ed
evidenziare diseguaglianze. Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di
1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo
1.039.372 studenti (il
61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la
Didattica a distanza. Le priorità per ripartireQuesta situazione di
emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e rapidità, una strada di
unità e
impegno comune. Il piano di vaccinazioneGli scienziati, in soli
12 mesi, hanno fatto un
miracolo: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo
vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è di ottenutene le
quantità sufficienti, per
distribuirlo rapidamente ed efficientemente. Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla
protezione civile, alle
forze armate, ai tanti
volontari. Non dobbiamo limitare le
vaccinazioni all’interno di
luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili
in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i
tamponi, che dopo un ritardo iniziale sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di
ospedali autorizzati. E soprattutto, imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi, disponendo subito di
quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che
sorgano altre varianti del virus. Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi, dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla
riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di
servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i
"livelli essenziali di assistenza" e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La
"casa come principale luogo di cura" è oggi possibile con la telemedicina, con
l’assistenza domiciliare integrata. La scuolaNon solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più adatte, per recuperare le ore di
didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del
Mezzogiorno in cui la
didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà. Occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale; allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia; il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza. È necessario investire in una
transizione culturale a partire dal
patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli
standard qualitativi richiesti anche nel
panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle
aree umanistiche e del
multilinguismo. Infine, è necessario investire nella
formazione del personale docente, per allineare
l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni. In questa prospettiva, particolare attenzione va riservata agli
Itis (istituti tecnici). In
Francia e in
Germania, per esempio, questi istituti sono un
pilastro importante del
sistema educativo. È stato stimato in circa
3 milioni, nel quinquennio
2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il
Programma nazionale di ripresa e resilienza assegna
1,5 miliardi agli
Itis, 20 volte il finanziamento di un
anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano
sprecate. La
globalizzazione, la
trasformazione digitale e la
transizione ecologica stanno da anni cambiando il
mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella
formazione universitaria. Allo stesso tempo, occorre investire adeguatamente nella
ricerca, senza escludere la ricerca di base, puntando
all’eccellenza, ovvero a una
ricerca riconosciuta a livello internazionale per l’impatto che essa produce sulla
nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici. Occorre, infine, costruire sull’esperienza della
didattica a distanza maturata nello scorso anno, sviluppandone le
potenzialità con l’impiego di
strumenti digitali che potranno essere utilizzati anche nella
didattica in presenza.Oltre la pandemiaQuando usciremo - e usciremo - dalla
pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per
più di 12 mesi sia stata simile a una lunga interruzione di corrente. Prima o poi,
la luce ritorna e tutto
ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe
non essere così. Il
riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute,
dall’inquinamento, alla
fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livelllo dei mari, che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che alcune megalopoli hanno
sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del
virus dagli animali all’uomo. Come ha detto
Papa Francesco: "Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore". Proteggere il
futuro dell’ambiente, conciliandolo con il
progresso e il
benessere sociale, richiede
un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed
educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed
effetto serra, sono diverse facce di una
sfida poliedrica, che vede al centro
l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane. Anche nel nostro Paese, alcuni
modelli di crescita dovranno cambiare. Per esempio, il modello di
turismo: un’attività che prima della pandemia rappresentava il
14% del totale delle nostre
attività economiche. Imprese e lavoratori di quel settore vanno
aiutati ad uscire dal disastro creato dalla
pandemia. Ma senza scordare che il nostro
turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di
preservare, cioè almeno non sciupare,
città d’arte, luoghi e
tradizioni che successive generazioni, attraverso molti secoli, hanno saputo preservare e ci hanno tramandato. Uscire dalla
pandemia non sarà come
riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli scienziati non smettono di ripeterci, ha una conseguenza importante. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le
attività economiche. Alcune dovranno
cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la
politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi. La capacità di adattamento del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro in un anno drammatico: sono stati
7 milioni i lavoratori che hanno fruito di strumenti di
integrazione salariale per un totale di
4 miliardi di ore. Grazie a tali misure, supportate anche dalla
Commissione europea mediante il
'Programma Sure', è stato possibile limitare gli effetti negativi sull’occupazione. A pagare il prezzo più alto sono stati i
giovani, le
donne e i
lavoratori autonomi. È innanzitutto a loro che bisogna pensare quando approntiamo una
strategia di sostegno delle imprese e del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul
lavoro, sul
credito e sul
capitale. Centrali sono le
politiche attive del
lavoro. Affinché esse siano
immediatamente operative, è necessario migliorare gli strumenti esistenti come
l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei
centri per l’impiego, in accordo con le
Regioni. Questo progetto è già parte del
Programma nazionale di ripresa e resilienza, ma andrà anticipato da subito. Il cambiamento climatico, come la pandemia, penalizza alcuni settori produttivi senza che vi sia un’espansione in altri settori che possa compensare. Dobbiamo quindi essere noi ad assicurare questa espansione e lo dobbiamo fare subito. La risposta della politica economica al
cambiamento climatico e alla
pandemia dovrà essere una combinazione di
politiche strutturali che facilitino
l’innovazione, di
politiche finanziarie che facilitino
l’accesso delle imprese capaci di crescere al
capitale e al
credito e di
politiche monetarie e
fiscali espansive, che agevolino gli
investimenti e
creino domanda per le nuove
attività sostenibili che sono state create. Vogliamo lasciare
un buon pianeta, non solo una buona moneta.
Parità di genereLa mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo
rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle
donne. Il
divario di genere nei tassi di occupazione in
Italia rimane tra i più alti
d'Europa: circa
18 punti su una media europea di
10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente
migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle
condizioni di carriera delle donne.
L’Italia presenta, oggi, uno dei peggiori
'gap salariali' tra
generi in
Europa, oltre una cronica
scarsità di donne in
posizioni manageriali di rilievo. Una vera
parità di genere non significa un
'farisaico' rispetto di
'quote rosa' richieste dalla legge: richiede che siano garantite
parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un
riequilibrio del
'gap salariale' e un
sistema di welfare che permetta alle
donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra
famiglia o lavoro. Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano
eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo, quindi, investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo
rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese.
Il MezzogiornoAumento
dell’occupazione, in primis
femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento
dell’occupazione femminile nel
Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di
attrarre investimenti privati, nazionali e internazionali, è essenziale per
generare reddito, creare lavoro, investire il
declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove
legalità e
sicurezza siano sempre garantite. Vi sono poi strumenti specifici quali il
credito d’imposta e altri interventi da concordare in
sede europea: per riuscire a spendere e
spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal
Next Generation Eu occorre irrobustire le
amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza.
Gli investimenti pubbliciIn tema di
infrastrutture occorre investire sulla
preparazione tecnica, legale ed
economica dei
funzionari pubblici per permettere alle amministrazioni di poter
pianificare, progettare e
accelerare gli investimenti con certezza dei tempi, dei costi e in piena compatibilità con gli indirizzi di
sostenibilità e
crescita indicati nel
Programma nazionale di ripresa e resilienza. Particolare attenzione va posta agli investimenti in manutenzione delle opere e nella
tutela del territorio, incoraggiando l’utilizzo di tecniche predittive basate sui più recenti sviluppi in tema di
intelligenza artificiale e
tecnologie digitali. Il settore privato deve essere invitato a partecipare alla realizzazione degli
investimenti pubblici, apportando più che
finanza, competenza, efficienza e
innovazione per accelerare la realizzazione dei progetti nel rispetto dei costi previsti.
Next Generation EuLa strategia per i progetti del
Next Generation Eu non può che essere trasversale e sinergica, basata sul principio dei
co-benefici, cioè con la capacità di impattare simultaneamente più settori, in maniera coordinata. Dovremo imparare a
prevenire, piuttosto che a
riparare, non solo dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione, ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che
"ogni azione ha una conseguenza". Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa
210 miliardi lungo un periodo di
sei anni. Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il
potenziale di crescita della nostra economia. La quota di
prestiti aggiuntivi, che
richiederemo tramite la principale componente del programma - lo
strumento per la ripresa e resilienza - dovrà essere modulata in base agli
obiettivi di
finanza pubblica. Il
precedente Governo ha già svolto una grande mole di lavoro sul
Programma di ripresa e resilienza (Pnrr). Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la
Commissione europea, avrebbe una
scadenza molto ravvicinata: la
fine di aprile. Gli orientamenti che il
parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della
bozza di programma, presentata dal
Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua
versione finale. L’orientamento del Governo Le
missioni del
'Programma' potranno essere
rimodulate e
riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del
Governo uscente, ovvero:
l’innovazione, la
digitalizzazione, la
competitività e la
cultura; la
transizione ecologica; le
infrastrutture per la
mobilità sostenibile; la
formazione e la
ricerca; l’equità sociale, di
genere, generazionale e
territoriale; la
salute e la relativa
filiera produttiva. Dovremo rafforzare il
'Programma' prima di tutto per quanto riguarda gli
obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano.
Obiettivi strategiciIl
'Programma' è finora stato costruito in base a
obiettivi di alto livello, aggregando proposte progettuali in
missioni, componenti e
linee progettuali. Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del
'Programma', in particolare con riguardo agli obiettivi relativi alla produzione di
energia da
fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle
acque, la
rete ferroviaria veloce, le
reti di distribuzione per i veicoli a
propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di
idrogeno, la
digitalizzazione, la
banda larga e le reti di comunicazione
5G. Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello
Stato è utilizzare le leve della
spesa per
ricerca e
sviluppo, dell’istruzione e della
formazione, della
regolamentazione, dell’incentivazione e della
tassazione. In base a tale visione strategica, il
'Programma nazionale di ripresa e resilienza' indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del
Next Generation Eu: il
2026. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni: dovremo dire dove vogliamo arrivare nel
2026 e a cosa puntiamo per il
2030 e il
2050, anno in cui
l’Unione europea intende arrivare a
zero emissioni nette di
Co2 e
gas clima-alteranti. Selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del
'Programma', prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei
sei anni. Assicureremo inoltre che
l’impulso occupazionale del
'Programma' sia sufficientemente elevato in ciascuno dei
sei anni, compreso il
2021. Chiariremo inoltre il ruolo del
terzo settore e del contributo dei privati al
'Programma nazionale di ripresa e resilienza' attraverso i meccanismi di finanziamento a leva (fondo dei fondi). Sottolineeremo il ruolo della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale e territoriale e quella dedicata
all’inclusione sociale e alle
politiche attive del lavoro. Nella
sanità dovremo usare questi progetti per porre le basi, come indicato sopra, per rafforzare la
medicina territoriale e la
telemedicina. La
'governance' del
'Programma di ripresa e resilienza' è incardinata nel
ministero dell’Economia e Finanze con la strettissima collaborazione dei
ministeri competenti, che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il
parlamento verrà costantemente informato sia sull’impianto complessivo, sia sulle politiche di settore. Infine, il capitolo delle
riforme che affronterò ora separatamente.
Le riforme
Il
Next generation Eu prevede riforme. Alcune riguardano problemi aperti da decenni, ma che non per questo vanno dimenticati. Fra questi, la certezza delle
norme e dei
piani di investimento pubblico, fattori che limitano gli investimenti, sia italiani, sia esteri. Inoltre, la
concorrenza: chiederò
all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato di produrre in tempi brevi, come previsto dalla
Legge annuale sulla concorrenza (L. 23 luglio 2009, n. 99) le sue proposte in questo campo. Negli anni recenti i nostri tentativi di
riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati
limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo
disegnato le riforme: con
interventi parziali, dettati
dall’urgenza del momento, senza una
visione a tutto campo, che richiede tempo e competenza. Nel caso del
fisco, per fare un esempio, non bisogna dimenticare che il
sistema tributario è un
meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea
cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che
specifici gruppi di pressione riescano a spingere il
Governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli. Inoltre, le esperienze di
altri Paesi insegnano che le
riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a
esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta. Per esempio, la
Danimarca, nel
2008, nominò una
Commissione di esperti in
materia fiscale. La
Commissione incontrò i
Partiti politici e le
parti sociali e solo dopo presentò la sua
relazione al
parlamento. Il progetto prevedeva un
taglio della
pressione fiscale pari a
2 punti di
Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la
soglia di esenzione veniva alzata. Un metodo simile fu seguito in Italia all’inizio degli
anni '70 del secolo scorso, quando il
Governo affidò a una
commissione di esperti, fra i quali
Bruno Visentini e
Cesare Cosciani, il compito di
ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della
riforma Vanoni del
1951. Si deve a quella
commissione l’introduzione
dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche e del
sostituto d’imposta per i redditi da
lavoro dipendente. Una
riforma fiscale segna,
in ogni Paese, un passaggio decisivo. Indica
priorità, dà
certezze, offre
opportunità. E'
l’architrave della politica di bilancio. In questa prospettiva va studiata una revisione profonda
dell’Irpef, con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del
prelievo, riducendo gradualmente il
carico fiscale e preservando la
progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto
all’evasione fiscale. L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della
pubblica amministrazione. Nell’emergenza,
l’azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di
resilienza e di
adattamento grazie a un impegno diffuso nel
lavoro a distanza e a un uso intelligente delle
tecnologie a sua disposizione. La fragilità del sistema delle
pubbliche amministrazioni e dei
servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata. Particolarmente urgente è lo smaltimento
dell’arretrato, accumulato durante la
pandemia. Agli uffici verrà chiesto di predisporre un
piano di smaltimento dell’arretrato e comunicarlo ai cittadini La
riforma dovrà muoversi su
due direttive: 1) investimenti in connettività con anche la realizzazione di
piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini;
2) aggiornamento continuo delle
competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati. Nel campo della
giustizia, le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative
dell’Unione europea. Nelle
Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni
2019 e
2020, la
Commissione, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, ci esorta ad aumentare
l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo
smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei
carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i
posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale; infine, favorendo la
repressione della corruzione. Nei nostri rapporti internazionali, questo Governo sarà convintamente
europeista e
atlantista, in linea con gli
ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite. Ancoraggi che abbiamo scelto fin dal dopoguerra, in un percorso che ha portato
benessere, sicurezza e
prestigio internazionale. Profonda è la nostra vocazione a favore di un
multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle
Nazioni Unite. Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i
Balcani, il
Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla
Libia e al
Mediterraneo orientale e
all’Africa. Gli anni più recenti hanno visto una spinta crescente alla costruzione in
Europa di reti di
rapporti bilaterali e plurilaterali privilegiati. Proprio la
pandemia ha rivelato la necessità di perseguire uno scambio più intenso con i
partner con i quali la nostra economia è più integrata. Per
l’Italia, ciò comporterà la necessità di meglio strutturare e rafforzare il rapporto strategico e imprescindibile con
Francia e
Germania. Ma occorrerà anche consolidare la collaborazione con
Stati con i quali siamo accomunati da una specifica
sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria:
Spagna, Grecia, Malta e
Cipro. Continueremo anche a operare affinché si avvii un dialogo più virtuoso tra
l’Unione europea e la
Turchia, partner e alleato
Nato. L’Italia si adopererà per alimentare meccanismi di dialogo con la
Federazione Russa. Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo in questo e in altri Paesi, dove i diritti dei cittadini sono spesso violati. Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in
Asia intorno alla
Cina. Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo
Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra
responsabilità dei Paesi di primo ingresso e
solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una
politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla
protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei
diritti dei rifugiati. L’avvento della
nuova Amministrazione Usa prospetta un cambiamento di metodo, più cooperativo nei confronti
dell’Europa e degli
alleati tradizionali. Sono fiducioso che i nostri rapporti e la nostra collaborazione non potranno che intesificarsi. Dal dicembre scorso e fino alla fine del
2021, l’Italia esercita per la prima volta la
presidenza del G20. Il programma, che coinvolgerà l’intera compagine governativa, ruota intorno a
3 pilastri: People, Planet, Prosperity. E
l’Italia avrà la responsabilità di guidare il
Gruppo verso
l’uscita dalla pandemia e di rilanciare una
crescita verde e
sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio. Insieme al
Regno Unito – con cui quest’anno abbiamo le
presidenze parallele del
G7 e del
G20 – punteremo sulla
sostenibilità e la
'transizione verde', nella prospettiva della prossima
Conferenza delle parti sul cambiamento climatico (Cop 26), con una particolare attenzione a coinvolgere attivamente le giovani generazioni, attraverso l’evento
'Youth4Climate'. Questo è il terzo governo della legislatura. Non c’è nulla che faccia pensare che possa far bene senza il sostegno convinto di questo
parlamento. E’ un sostegno che non poggia su
alchimie politiche, ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno, sul loro vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un Paese capace di
realizzare i loro sogni. Oggi,
l’unità non è un’opzione: l’unità è un dovere. Ma un
dovere guidato da ciò che, son certo, ci unisce tutti:
l’amore per l’Italia.
Presidente del Consiglio dei ministri