Vittorio LussanaPaolo Rossi è stato un centravanti atipico. Non era la punta centrale classica, di sfondamento, alla Giorgio Chinaglia o alla Roberto Pruzzo, bensì un'ala destra agile e scattante che, a un certo punto, Giovan Battista Fabbri aveva spostato al centro dell'attacco del Lanerossi Vicenza, al fine di sfruttarne l'opportunismo in area di rigore. Un 'ragazzetto' minuto, che segnava i suoi goal come se il pallone gli carambolasse addosso quasi per caso. Non era un atleta caratterizzato da uno stacco di testa imperioso o da una progressione impetuosa. Sembrava, più che altro, che il pallone andasse a finire esattamente lì dov'era lui. Ricordiamo il suo primo goal al Brasile nel 1982: Cabrini 'pennella' un traversone da sinistra, che lui colpisce di testa con i piedi piantati per terra. Senza cioè effettuare alcuno sforzo fisico, neanche minimo: un salto, una rotazione taurina del collo, un gesto atletico particolare. Nulla di tutto questo: Paolo Rossi segnava perché aveva l'intelligenza di farsi trovare esattamente nel punto in cui il pallone doveva arrivare. Già in Argentina, nel 1978, aveva dimostrato pienamente questa sua particolarità: la rete del pareggio contro la Francia a Mar de la Plata la ottenemmo dopo che il pallone, mandato in area, ancora una volta, da Antonio Cabrini, continuava a colpire pali, traverse e calciatori come quando si forza un 'flipper' al bar pur di riuscire a colpire gli 'special' in qualche modo. Finalmente, alla quinta carambola la sfera colpì il suo stinco e finì in rete. In pratica, Paolo Rossi è stato il vero inventore di quello che, dieci anni dopo, la 'Gialappa's Band' battezzò: "Gollonzo". Un neologismo composto da una sintesi sottesa, da una crasi ben precisa, che conduce invariabilmente tutti quanti a completarne la 'rima'. Insomma, Paolo Rossi era un centravanti 'di rapina'. Lui stava lì, al centro dell'area, mentre tutto il resto della squadra costruiva l'azione: gli altri preparavano la 'torta' e lui piazzava la 'ciliegina'. Secondo Giovanni Galli, terzo portiere dell'Italia nella spedizione spagnola del 1982, "quando dalla panchina, durante una mischia in aerea, non riuscivi a scorgere chi avesse fatto un goal, non c'era alcun bisogno di ricostruire la dinamica dell'accaduto: sicuramente, il pallone aveva 'sbattuto' addosso a Paolo...". Un centravanti del genere possedeva un'utilità tattica non di poco conto. Enzo Bearzot lo aveva capito perfettamente, nella sua logica speculativa. Una marea di allenatori, per interi decenni avevano cercato qualcuno che si mettesse lì, in mezzo all'area di rigore avversaria, per tramutare in rete tutta una serie di 'palloni' che si perdevano regolarmente sul fondo, o che sfuggivano sempre, per una frazione di secondo, all'arrivo in scivolata dei vari Chiarugi, Damiani o Anastasi. Non si stava cercando qualcuno che segnasse di potenza, alla Gigi Riva, bensì che si facesse trovare sul posto, per timbrare burocraticamente la 'pratica'. In Spagna, nelle prime 3 partite, Paolo Rossi non aveva segnato. E ci qualificammo al secondo turno grazie a 3 pareggi a dir poco ignobili, finendo in un girone infernale composto da noialtri 'pezzenti', dall'Argentina di Maradona, campione del mondo in carica e dal Brasile di Falcao e Zico, campioni del mondo 'in pectore'. La domanda retorica di tutti gli italiani, in quei giorni, era la seguente: "Dove vuoi che andiamo"? La sentivi da tutte le parti, mentre eri in coda all'ufficio postale o sul 490 bloccato nel traffico di viale del Muro Torto, condita da considerazioni del tipo: "Rossi è appena tornato dopo due anni di squalifica: mentalmente è 'piatto' come l'encefalogramma di un cadavere". Tuttavia, contro l'Argentina il grande Bearzot risolse il rebus: Gentile in marcatura 'fissa' su Maradona. "Gentile e non Tardelli"? La redazione sportiva di 'Paese Sera' insorse letteralmente: "Bearzot non capisce un cavolo! Maradona dev'essere marcato da Tardelli, non da Gentile, che è solo un terzino e serve per fare i cross nelle azioni di contropiede". La soluzione, invece, era esattamente quella opposta, intuita magnificamente da Bearzot: con Tardelli sacrificato in marcatura, si perdeva un uomo in attacco e ci saremmo autocondannati a una partita totalmente difensiva. E chi fu il giocatore che segnò il primo goal all'Argentina? Proprio Marco Tardelli: risposta esatta, signore e signori. Nell'azione della seconda rete, invece, Paolo Rossi si era ritrovato faccia a faccia con Fillol, il portiere argentino, ma gli aveva tirato il pallone praticamente 'in bocca', mancando clamorosamente l'occasione per andare a segno. Per fortuna, Bruno Conti si avventò come un falco nell'azione, per recuperare il pallone e passarlo all'indietro verso l'accorrente Cabrini, il quale siglò la rete della nostra vittoria definitiva. L'episodio non era sfuggito ai cosiddetti 'esperti': nonostante la soddisfazione per aver confermato la vittoria di 4 anni prima a Buenos Aires, il buon Paolo Rossi si era 'mangiato' un goal clamoroso. Era stato Bruno Conti, per fortuna, a metterci una 'pezza'. Perciò, la stampa intera cominciò a consigliare l'inserimento di Franco Selvaggi, il quale quell'anno, a Cagliari, aveva segnato una marea di goal e Bearzot era stato quasi costretto a portarlo in Spagna. Ma insieme a lui, non aveva voluto rinunciare a Paolo Rossi, nonostante tutti invocassero, per la linea offensiva, un 'fantasista' come Evaristo Beccalossi, che invece era rimasto a prendere il sole all'Idroscalo di Milano. "Metti Selvaggi: che ci fai con quel morto che cammina"? Questa era la frase che accompagnò la vigilia di Italia-Brasile. E infatti, dopo qualche minuto dal fischio d'inizio, un pallone pericoloso venne fatto filtrare da Marco Tardelli tra le maglie della difesa brasiliana, arrivando sui piedi proprio di Paolo Rossi, che lo 'lisciò' completamente, finendo a terra: sembrava la conferma scientifica di quanto si andava vaticinando da giorni. Paolo Rossi, in quel preciso momento, era finito: non riusciva a segnare neanche a porta vuota. Invece, due minuti dopo, Antonio Cabrini mandò in area quel suo famoso traversone che colpì in piena fronte proprio Paolo Rossi, con la stessa precisione con cui il postino ti infila la bolletta della luce elettrica nella cassetta della posta: rete. 'Pablito' era risorto. Al dodicesimo, Socrates prese letteralmente per il 'naso' il nostro Dino Zoff e siglò il pareggio sul 'primo palo', trasferendo nel calcio la legge economica del rasoio di Occam: "La soluzione più semplice è sempre la migliore". I brasiliani si erano rinfrancati: il goal di Paolo Rossi era stato solamente un infortunio, un incidente di percorso capitato quasi per caso. Ma pensarla così fu un errore fatale, che indusse Toninho Cerezo a mandare un pallone in orizzontale verso Oscar, quasi come per dire: "Da adesso in poi, è persino inutile giocare. Vinciamo noi". Ma Paolo Rossi intercettò subito quel pallone e si presentò di fronte a Valdir Peres, quel 'crapapelata' di portiere che Tele Santana si ostinava a schierare tra i pali della porta del Brasile: goal. 'Uccellati' di nuovo da 'Pablito', che all'improssivo era apparso lì, come lo spettro evocato da Marx ed Engels alla prima riga del Manifesto del Partito comunista. "E' vero: sono uno spettro", sembrava dire Paolo Rossi quasi facendo 'spallucce', "ma non un morto che cammina, bensì un fantasma inquietante". Ancora oggi, quando si intervista l'ex calciatore brasiliano Oscar, il difensore del Brasile che doveva occuparsi di proteggere quella 'zona' del campo e gli si chiede cosa ricorda di quel secondo goal, lui risponde: "Quella parte del campo, soprattutto nella fase di costruzione della nostra manovra d'attacco, era sempre presidiata dai nostri, da me e da altri. Non era mai accaduto che a una punta avversaria venisse in mente di mettersi lì: come ha fatto, quel Tizio, a trovarsi lì? Tra l'altro", aggiunge ogni volta, "non ho neanche visto che era lui. Solamente durante l'intervallo, nello spogliatoio, mi venne detto che era stato ancora lui, Paolo Rossi, a 'fregarci' quel pallone da sotto il naso...". Nel secondo tempo, Paolo Roberto Falcao venne spostato di 20 metri in avanti da Tele Santana, l'allenatore brasiliano. Falcao militava nella Roma già da due anni. E ci conosceva bene, ormai. L'intuizione di Santana era corretta: a un certo punto, Junior fece un 'taglio' verso il centro, i nostri fecero un movimento e Falcao rimase da solo davanti a Zoff: due a due. Quel pareggio fu molto doloroso, soprattutto per noi romanisti, perché lo subimmo proprio da lui, dal 'nostro' Falcao. Certo, era stata la 'finta di corpo' di un'intelligenza superiore, esteticamente divina, che aveva mandato Tardelli, Cabrini e persino Scirea letteralmente 'per farfalle'. Un goal bellissimo, più romanista che brasiliano. Ma fu comunque un dolore simile al tradimento della tua compagna di vita, colta in flagrante adulterio con George Clooney: cosa cavolo le vuoi dire? Quello è George Clooney, capito? E quando le ricapita? Lasciala libera di togliersi lo 'sfizio'... Epperò, quello 'sfizio' che Falcao si era tolto ci stava rimandando a casa. E invece, no: c'era ancora uno 'spettro' che si aggirava inquietante per il campo. E dopo un calcio d'angolo di Bruno Conti e un tiro un po' 'sballato' di Marco Tardelli, lo spettro si ritrovò lì, nell'area piccola, col pallone tra i piedi. E segnò di nuovo, perché il Brasile non era 'salito' per metterlo in fuorigioco. Era stato facile come rubare le caramelle a un bambino: non puoi lasciare Paolo Rossi lì, nell'area piccola. E' chiaro che ti ribalta la situazione, instaurando la "via italiana al socialismo". Sei uno 'scemo' se, dopo due goal, ancora non lo hai capito. Persino Matteo Salvini con indosso la maglia del Brasile lo avrebbe compreso. Non puoi far nulla contro uno 'spettro' che si aggira nella tua area di rigore. Fine della partita e della Storia: questa volta, saremo noi ad andare in paradiso. Noi che ci siamo affidati a uno spettro, al nostro 'spirito-guida', a una 'cazzata qualsiasi', del tipo: Paolo Rossi centravanti della nazionale anziché barista a Santa Lucia. Una 'cazzata qualsiasi', la più improbabile. Anzi, quella più impensabile solamente il giorno prima: Paolo Rossi che segna una 'tripletta' al Brasile e ci manda in semifinale contro la Polonia. La quale risulterà punita anch'essa dal nostro 'spirito-guida': dal fantasma di Cristoforo Colombo ancora oggi convinto di essere arrivato nel Cipango; dall'anima di Dante Alighieri che sbaglia i congiuntivi; dal cuore di un Paese dilaniato dalla Storia, che all'improvviso ritrova la sua verità. Una verità che, per mesi, era soltanto una mera suggestione, un'utopia, una 'cavolata' assurda, quasi infantile. Grazie Paolo, per averci reso tutti quanti felici. Grazie infinite, per averci smentito tutti quanti in quel modo. Grazie per sempre, Pablito.





Direttore responsabile di www.laici.it della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it) e del giornale socialista www.avantilive.it

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