Giuseppe LorinNe 'La macchinazione', film di David Grieco del 2016 incentrato sugli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, barbaramente assassinato 45 anni fa tra le baracche dell'Idroscalo di Ostia (Rm), è tangibile la vergogna per gli 'anni di piombo' e per quel miterioso 'burattinaio' che cercava con tutti i mezzi, leciti o illeciti, di condurre la società italiana verso un regime di tipo autoritario. Chiunque desse fastidio era da 'zittire', a cominciare dagli intellettuali. In particolare, quelli ritenuti 'scomodi'. Ma nonostante le stragi, il terrorismo e le 'sparizioni', alla fine l'Italia riusci a emergere da quel periodo. Certamente, oggi non possiamo chiudere gli occhi di fronte all'attuale processo di de-istituzionalizzazione dello Stato. Ma proprio questo ci è sembrato un ottimo motivo per andare a 'ripescare' una pellicola interpretata magistralmente da Massimo Ranieri, per l'impressionante somiglianza con il protagonista storico. Un'opera che rievoca assai bene quel periodo, quando l'equilibrio tra le fazioni politiche italiane, americane, massoniche, religiose e mafiose era in sempre in bilico. E la bilancia troppo spesso vacillava a favore dell'una o dell'altra parte, degli alleati o di 'mamma santissima', della P2 o dei servizi segreti deviati. Ecco, appunto: i servizi segreti, italiani e stranieri, che hanno sempre avuto un peso specifico notevole, qui da noi. Nel film si respira l'angoscia, ma non l'ansia, di cambiamenti in atto tramite la violenza e la pianificazione criminale. Le inchieste giornalistiche, la comunicazione politica e le interviste rilasciate da Pasolini, per non parlare dei suoi romanzi, dei suoi film, delle sue sceneggiature, delle poesie civili, tra le quali il poemetto 'A un Papa', stimolavano la presa di coscienza di un intero popolo, fino a portarlo molto vicino a una rivoluzione. Basterebbe questo poemetto per capire la figura 'scomoda' di Pier Paolo Pasolini, che involontariamente contribuì alla chiusura, per le amicizie 'papaline' di Bompiani, della rivista letteraria 'Officina', fondata e diretta anche dal poeta friulano. Bisognava farlo tacere. E fu così che si organizzò la 'macchinazione', per spegnere per sempre il suo pensiero e la sua libertà di parola. Rispettare la filosofia sociale, culturale e 'scandalista' di Pier Paolo Pasolini è il più grande atto d'amore che il regista David Grieco, grande amico del poeta, potesse fare. Il poeta friulano, attento e profetico analista dei fatti italiani, ancora oggi dà scacco matto a chi ci governa, risvegliando le asprezze dei giornalisti più faziosi. Le rivelazioni raccolte, i documenti conservati dalla cugina di Pier Paolo, Graziella Chiarcossi, l'ostinazione del regista nel proseguire le proprie e personali indagini, hanno permesso di sgombrare molte nubi, illuminando la scomoda verità del suo omicidio, rivelatosi di ben altra matrice. Un'impresa non indifferente, soprattutto sotto il profilo della sceneggiatura, per la gran mole di interviste e interventi pubblici di Pasolini, che abbracciano l'arco della sua breve esistenza, concentrandosi specialmente sugli ultimi tre mesi, intensi di eventi. L'importanza storica de 'La macchinazione' sta nel fatto che la pellicola contiene analisi e previsioni pienamente confermatesi dell'Italia attuale, oggi afflitta da una crisi senza precedenti. Che non è solo economica, ma anche politico-istituzionale, strutturale, antropologico-culturale. Così, nelle immagini di questa pellicola che prendono ritmo insieme al pathos degli eventi, David Grieco anticipa, nel pieno rispetto del pensiero del grande romanziere, quanto la sua espressività comunicativa abbia lasciato un segno indelebile nella nostra Storia repubblicana. Nell'estate del 1975, infatti, Pasolini era impegnato al montaggio di uno dei suoi film più discussi, 'Salò o le 120 giornate di Sodoma' e nella stesura del romanzo 'Petrolio': un atto di accusa contro il potere politico ed economico dell'epoca. Eugenio Cefis/Troya viene descritto, nel romanzo, come un uomo manovrato dalla Cia, presidente dell'Eni succeduto a Marcello Boldrini, nominato immediatamente dopo l'altro grande mistero italiano: la morte di Enrico Mattei. In seguito, Cefis tentò la scalata alla Montedison e fu il vero ideatore della P2, affidata al noto 'faccendiere', nonché "direttore della Permaflex di Frosinone" secondo qualcuno, Licio Gelli. Nel frattempo, il regista prova a ricostruire le vicende che portarono Pasolini a incontrare Pino Pelosi alla stazione Tiburtina di Roma nei primi giorni di agosto del 1975, quando il ragazzo era fuggito di casa. Inizia così una relazione con Pino, un giovane sottoproletario della zona est della capitale che aveva legami con la malavita romana di allora. Pelosi voleva fare l'attore, ma Pasolini non sapeva ancora come includerlo in un lavoro qualsiasi, poiché 'Salò' era già in fase di montaggio. Nel film, il ragazzo viene allora avvicinato da un regista che, accorgendosi della sua buona fede, lo coinvolge in un piano per "sequestrare Pasolini".  Una notte, i fratelli Borsellino, amici di Pino Pelosi, rubano il negativo di 'Salò', istigati da laute promesse di denaro. Sergio Citti suggerisce un riscatto esorbitante: due miliardi di lire italiane. Ma nessuno comprende che il vero obiettivo era quello attrarre lo scrittore verso la sua 'imboscata'. L'obiettivo, infatti, non era un'estersione di danaro, ma l'assassinio del poeta. E la 'macchinazione' si compie: un omicidio destinato a diventare uno dei più oscuri misteri d'Italia. La chiarezza della sceneggiatura, la corposità delle immagini, il ritmo incalzante degli eventi, le essenziali battute dei dialoghi riescono a 'stanare' molte scomode verità, rimaste assopite in questi 45 anni di silenzio. La cugina, Graziella Chiarcossi, che è stata moglie di Vincenzo Cerami, ha sostenuto la versione familiare a discapito delle teorie del cugino, Nico Naldini, il quale non ha mai voluto sentir parlare di congiure o complotti, poiché secondo lui si è trattato solamente "di un incidente di percorso in una vita sregolata". Il soggetto de 'La macchinazione' ha come base il volume, scritto dallo stesso David Grieco ed edito da Rizzoli, dal titolo: 'La macchinazione. Pasolini: la verità sulla morte'. La musica dei Pink Floyd è la colonna sonora del periodo e, di riflesso, dell'intero film. Massimo Ranieri, in alcune battute 'scivola' su qualche vocale troppo aperta o chiusa, tipica degli 'spagnolismi' del dialetto 'campano' piuttosto che al più nordico idioma friulano. Ben interpretato il ruolo di Antonio Pinna, affrontato da Libero de Rienzo, mentre una sorprendente Milena Vukotic interpreta la madre di Pasolini. Infine, Alessandro Sardelli si è calato totalmente nell'arduo ruolo di Pino Pelosi. Insomma, un film da rivedere, a 45 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, poiché dimostra quanto la società italiana, ancora oggi, non intenda far altro che respingere, con furia isterica e profonda ignoranza, il grande impegno civile di un autentico poeta.


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