Serena Di GiovanniL'opera di Emanuele Cilenti intitolata 'Un filo d'erba che solletica il cielo' (Irda Edizioni) non è soltanto una silloge di poesie: c'è una seconda parte di aforismi, illustrati da ottime vignette e interessanti fotografie; e c'è anche una terza parte di considerazioni filosofiche, a dimostrazione dell'intelligente eclettismo di questo autore. Il suo punto di vista, infatti, è differente dal solito: la sua visione è sacrale, più che filosofica. La fede in Dio lo pone in un'angolazione distinta, che lo aiuta a prendere laicamente le distanze sia da una religiosità ritualista, scarsamente secolarizzata, sia da un materialismo statico che ha perduto di vista il proprio retroterra storico per trasformarsi in 'piattezza', in subcultura 'liquida'. A suo modo, Cilenti conferma la critica di Bauman verso una società fine a se stessa, tutta proiettata alla ricerca di un benessere privo di valori, che ci rende futili o che, più probabilmente, tende a evidenziare le nostre dissociazioni, costringendoci alla contraddizione, ai voltafaccia, alle scelte imposte da altri. Non c'è nulla di libero, né di liberale in una società del genere: in questo, l'autore ha perfettamente ragione. Ma noi gli suggeriamo anche di non smettere di osservare, di frequentare meglio, di cercare pur mantenendosi sulla scala di astrazione che egli ha scelto come proprio presupposto culturale, o come tesi di principio, per dirla 'kantianamente'. Qualcuno arriverà a condividere il suo modo di vedere le cose, sia sul fronte dell'amore, sia sul versante della vera amicizia. Non si tratterà, forse, di un numero elevato di persone, ma per lo meno qualcosa o qualcuno (la natura oppure Dio, data la fede dell'autore) provvederà a selezionare quell'universo umanista che rende la nostra esperienza di vita più autentica, più vicina alle verità originarie. Lo sviluppo non è vero progresso: è solo una forma di 'neopositivismo' ancor più 'meccanicista' di quello del passato, che ormai ci trascina verso i discutibili confini dell'intelligenza artificiale e dell'ormai prossima società 'cibernetica' o 'robotizzata', dove le risposte ci saranno date in automatico, scavalcando numerosi passaggi logici. L'attuale affidarsi unicamente allo sviluppo tecnologico ci allontana dai valori di un tempo. Ma il poeta, in ciò, ha il merito di non abbandonarsi a un pessimismo cosmico, privo di speranze, bensì resta saldo nella sua convinzione di un qualcosa di più grande, che ci attende e che già oggi ci rende 'angeli' o, secondo qualcuno, addirittura 'alieni'. Siamo cioè di fronte a un'etica della convinzione, non del successo. E ciò identifica Emanuele Cilenti, a pieno titolo, tra le fila della cultura umanista più lungimirante e saggia. Sul presente, invece, gli consigliamo di riflettere maggiormente anche sui 'territori di mezzo', quelli del 'non bene', i quali non solo non appartengono al male, ma talvolta suggeriscono soluzioni in grado di non rendere questo nostro 'passaggio' sulla Terra una penitenza, accettando, sul versante sociologico, la critica 'marxiana' alla grigia e cattolica 'valle di lacrime'. Si tratta di uno spunto che gli suggeriamo volentieri, poiché il Marx sociologo resta pur sempre valido, se depurato dall'utopica visione economica e dal suo dottrinarismo rivoluzionario basato sulla 'lotta di classe' e la dittatura delle maestranze. Anche questi elementi, infatti, hanno favorito quell'autoreferenzialità e quell'avvinghiarsi a una immagine 'intellettualoide' che ci hanno condotti, dritti di filato, verso una 'società liquida', totalmente priva di valori e contenuti.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio