Dal
23 aprile scorso, in una piccola città a ovest della Germania -
Coblenza - si tiene un processo che potrebbe fare la Storia e cambiare la vita di milioni persone. Due ex ufficiali del presidente della Siria,
Bashar al Assad, sono infatti stati accusati di
crimini contro l'umanità durante i primi anni della guerra civile (fra il
2011 e il
2012). Uno di loro,
Anwar Raslan, che operava nella famigerata
sezione 251 dei servizi segreti a
Damasco, sarebbe responsabile di
58 morti e oltre
4 mila torture. La portata di questo processo è eccezionale in quanto mai prima d'ora si era parlato di
"crimini contro l'umanità" nel contesto della
Siria. Da oltre dieci anni, nel
Paese dei cedri milioni di civili perdono la vita come mosche, sterminati da
gas, raid aerei, bombardamenti, droni e
torture indicibili. Eppure, vuoi per la quasi totale assenza di
reporter sul posto, vuoi - soprattutto - per
l'immunità giuridica di cui godono i capi di Stato, la locuzione
"crimini contro l'umanità" viene pronunciata sottovoce, nel contesto siriano. E le sporadiche denunce di giornalisti e attivisti non hanno sortito, in più di un decennio, nessun effetto concreto. Del resto,
Assad ha un potente alleato nel
Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite: il presidente russo
Vladimir Putin. Vale a dire colui che - grazie a
Gazprom - fornisce il
gas a tutta
l'Europa. Nel corso degli anni, alcuni tentativi per avviare un processo che avesse come capo d'imputazione il reato di
crimini contro l'umanità commessi in
Siria sono stati fatti, ma con esiti sempre negativi. Motivo: la
Corte penale internazionale, pur essendo formalmente indipendente, ha in realtà dei profondi legami di condizionamento con il
Consiglio di sicurezza dell'Onu. Quest'ultimo ha discrezionalità in due sensi: può chiedere al
procuratore generale di indagare su determinati casi, ma anche porre il proprio
veto (il voto positivo si basa infatti solo sull'unanimità). La
Russia, che fa parte del
Consiglio di sicurezza, ha sempre votato contro qualsivoglia
iniziativa giudiziaria contro gli esponenti di
Bashar Al Assad. Questo vicolo cieco è stato aggirato per la prima volta lo scorso
23 aprile, quando - grazie all'iniziativa di una serie di avvocati e attivisti per i diritti umani siriani - ci si è avvalsi di uno strumento giuridico alternativo alla
International Justice. Si tratta della
Universal Jurisdiction, attiva in alcuni Paesi europei fra cui la
Germania (ma non in
Italia), in virtù della quale qualsiasi persona, indipendentemente dai criteri giuridici classici, può essere messa sotto processo se imputata di
crimini gravi (fra i quali rientrano quelli contro l'umanità). Una volta ricevuta la notizia di reato, il
Pubblico ministero non può ignorarla e deve affidare il fascicolo alla
polizia federale, incaricata di svolgere le indagini. Questo ha portato alla messa sotto accusa di
Eyad al Gharib e di
Anwar Raslan, quest'ultimo arrestato nel
2019. In ogni caso, la strada è ancora lunga e potrebbero passare
anni prima della
sentenza definitiva da parte della
Corte. Ma è importante che se ne parli sin d'ora. E che i
riflettori dei
media siano puntati su questa vicenda, che potrebbe cambiare la Storia aprendo la strada a un'altra serie di processi, sino a far crollare un
castello di carta fondato sul
dolore, l'umiliazione e la
morte di milioni di
innocenti.