Maria Elena GottarelliDue settimane fa, Anas Al-Mustafa, un volontario siriano fuggito a Konya (Turchia) nel 2016 per scampare alla guerra civile, è stato prelevato dalla polizia turca, imprigionato e deportato in Siria nei giorni successivi. Attualmente, si trova in detenzione forzata a Idlib, città siriana al confine con la Turchia: è in isolamento e non conosce le ragioni del suo arresto e della sua deportazione. Il 22 maggio scorso, Anas, che durante il suo soggiorno a Konya ha aiutato più di 170 famiglie siriane rifugiate, fornendo loro cibo e assistenza, ha pubblicato un primo 'post' su Facebook per chiedere aiuto alle organizzazioni internazionali. Questo il testo del suo appello: "Venerdì scorso, la polizia turca è venuta a casa mia, chiedendomi se avessi ottenuto o meno la cittadinanza in Turchia. Dopo di che mi hanno portato via e imprigionato per sette giorni, senza motivo. Ho chiesto loro molte volte quale fosse il mio crimine, ma hanno rifiutato di dirmelo. Allora ho chiesto di vedere un avvocato, ma mi è stato rifiutato anche questo. Il sesto giorno dal mio arresto mi hanno obbligato a firmare dei documenti e mi hanno deportato in Siria, per ragioni a me sconosciute. Chiedo solo di sapere perché. Qual è il mio crimine? Cosa ho sbagliato"? L'appello è rivolto a tutte le organizzazioni internazionali, in particolare a Human Rights Watch, Amnesty International, Unhcr e Croce Rossa Internazionale. Nel 2017, Anas Al-Mustafa ha fondato, a Konya, un'associazione umanitaria chiamata 'A Friend Indeed', al fine di aiutare le famiglie siriane rifugiate in quella città. In un'intervista rilasciata all'agenzia Dire nel luglio 2018 ha raccontato che, solo a Konya, ci sono più di 10 mila siriani fuggiti dalla guerra civile: "Per loro, la vita è tutt'altro che semplice", ha testimoniato. "Ogni volta che entro in una casa, accetto di sedermi e prendere un caffè. Ascolto i racconti delle persone, le loro difficoltà più immediate, ma anche il bagaglio di sofferenze che portano con sé dalla Siria. Non ce n'è una che non ne abbia. Però, non faccio mai domande: lascio che siano loro ad aprirsi". Sul suo profilo Facebook, Anas pubblica regolarmente le foto delle famiglie a cui presta assistenza: "Un modo per farsi conoscere e sostenere dalle Ong e dai privati", ha spiegato. Ora, Anas conta sull'aiuto della comunità internazionale per accedere ai suoi diritti fondamentali: possibilità di servirsi di un avvocato e immediato rilascio in assenza di reali capi d'imputazione.


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