Oggi assistiamo alle stesse
dichiarazioni pubbliche di ciò che possiamo semplicemente
constatare, ponendo attenzione alla recente nomina della
Cina popolare nel
Gruppo consultivo del
Consiglio dei diritti umani dell'Onu. Si evidenzia, più che altro, il
silenzio che il
Paese del 'dragone' ha protratto per
sei giorni all'inizio della
pandemia, mantenendo una posizione di
netta chiusura con l'esterno, nonostante il carattere eccezionale dello
stato di emergenza. Tale situazione appare indubbiamente
disarmante. E lo è stato anche il fatto che la notizia sia stata
oscurata. E' stata cioè negata l'informazione di un
completo e imminente pericolo. E ciò è accaduto negando il
rispetto etico delle procedure interne di ogni Paese proprio di fronte al
Consiglio di Ginevra. Purtroppo, un sistema di contenimento quale quello di
Pechino ha mostrato al mondo intero la sua
situazione pregressa e
attuale, non permettendo uno
spontaneo accoglimento informativo dei
dati di contagio per tutti, soprattutto nella fase iniziale, cioè quella più
drammatica. La stessa nomina della
Cina nel
Gruppo consultivo del
Consiglio dei diritti umani, avvenuta il
9 aprile scorso, ha suscitato critiche, trattandosi di un organo che opera per e all'interno
dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ciò in quanto la nomina è stata decisa proprio durante la diffusione di notizie dal sapore semplicemente
generico, rispetto a ciò che stava accadendo a
Wuhan già da
dicembre 2019. Le immagini del ritiro in casa, controllato per mezzo di
'droni', è stato percepito come una soluzione
autoritaria. Il
Partito comunista cinese ha messo a tacere la situazione, altamente rischiosa per l'umanità intera, coinvolgendo
medici e
media nel negare la
pandemia, diffondendo un silenzio devastante per tutto il resto del mondo. L'immagine della donna anziana che aveva avuto l'ordine di tornare in casa è fortemente emblematica di come lo stesso
sistema di sicurezza fosse fallace, a cominciare dalle accuse, totalmente
assurde, intentate contro il medico
Li Wenlian, poi deceduto, di aver gravemente errato la
diagnosi sui
primissimi casi e di aver
diffuso notizie sull'epidemia in corso tramite
'Wechat'. Quanto accaduto non può che far
riflettere, destando nel mondo intero una fortissima preoccupazione, pur trattandosi di un'opinione pubblicamente contrastata per ovvi motivi di
'prudenza diplomatica'. La nomina pone, inoltre, l'attenzione di noi tutti sul versante di una preoccupazione fondamentale, in merito al
gruppo di esperti che supervisiona le varie
raccomandazioni per le
Nazioni Unite in materia di
diritti umani. Non possiamo non opinare il fatto che la
Cina neghi, già da tempo, la
libertà di base a popoli quali gli
uiguri, i
tibetani, a
Hong Kong e ad altre
minoranze etniche. E non ci resta che giudicare l'allargamento del
'Gruppo consultivo' di
Ginevra al di sotto di ogni prerogativa, umanamente intollerabile da parte di ogni singolo popolo oppresso. Perché ogni singolo uomo è portatore di
princìpi connaturati, che oltre alle proprie tradizioni esprime soprattutto la sua
cultura immanente, anche quando essa si è evoluta, contraria a ogni forma di
'isolazionismo'. L'esercizio del potere nelle mani del
'Gruppo consultivo' si esprime, infatti, secondo direttive di
'Procedure speciali' e, accanto a questi poteri, prende decisioni in materia di diritti delle
popolazioni indigene, agendo mediante l'operato di
cinque ambasciatori competenti su
cinque gruppi regionali dell'Onu. C'è stata una forte protesta internazionale sui
diritti umani in
Cina, dopo le severe misure prese durante l'epidemia da
Covid-19 e in seguito alla morte del
dottor Li Wenliang, il primo medico cinese deceduto a causa
dell'infezione, il quale aveva cercato di
avvertire il mondo in merito alla gravità del
nuovo coronavirus, accertatata in base alla
corretta valutazione di una malattia che non presentava
alcuna possibilità di cura. Addirittura, le
autorità sanitarie cinesi, a un certo punto, lo hanno convocato proprio per le sue
manifestazioni di biasimo rispetto all'accaduto, obbligandolo a firmare una dichiarazione in cui il suo
avvertimento veniva definito:
"Un comportamento illegale". Proprio tramite questo sistema
repressivo e le stesse misure adottate verso la predisposizione alla pubblica e consentita diffusione di una
notizia - un dato importantissimo per la garanzia di difesa dei
diritti umani - si dimostra come, in tutta la prima fase, siano emerse soltanto
notizie di disinformazione. Le stesse di cui quotidianamente ci lamentiamo per il
ribaltamento 'meccanicista' e
strumentale di ogni
comunicazione ufficiale. Solo quando i
numeri diffusi dai
media cinesi sui
decessi sono aumentati, si è corretta l'informazione. Il Rappresentante degli Stati Uniti,
Chris Smith, membro anziano della
Commissione per gli Affari Esteri e componente di rango della
Commissione esecutiva del
Congresso ameticano, ha condannato la nomina di
Jiang Duan nel
Gruppo consultivo dell'Unhcr: "Non vi è alcuna giustificazione", ha affermato
Chris Smith, "per autorizzare un funzionario del governo cinese come Jiang Duan a indagare sulle violazioni dei diritti umani, fino a quando non vi sarà una resa dei conti in merito ai precedenti della Cina". Lo stesso
Gruppo di difesa 'pro-tibetano' Ict ha rilanciato, nelle proprie dichiarazioni, le proprie perplessità:
"La Cina ha dimostrato un atteggiamento ostile verso l'universalità e l'interdipendenza delle norme internazionali in materia di diritti umani per i tibetani, gli uiguri e il popolo cinese stesso". L'Ict, inoltre, ritiene l'adesione della
Cina al
Gruppo consultivo "un duro colpo per la credibilità del sistema internazionale dei diritti umani". Proprio tale pulpito è già chiaramente una
risposta dissonante a quanto si potrà aggiungere dopo quanto già accaduto, senza alcuna offesa verso il
popolo cinese e, anzi, a sostegno delle manifestazioni di
ripudio della repressione e delle
misure adottate di fronte a una situazione di emergenza assurda e disarmante. Proprio per tale situazione di emergenza, sorge una riflessione su questo Paese. Proseguendo sulla scia delle considerazioni attinenti alla
repressione dell'espressione del
popolo tibetano, ci sono già stati, anche in anni recenti, evidenti dimostrazioni contrarie al senso del valore comune e agli stessi principi costituzionali.
L'articolo 35 della
Costituzione della
Repubblica popolare cinese, in favore della quale si è battuto e ha manifestato il
popolo cinese, rispecchia esattamente tale definizione:
"I cittadini della Repubblica popolare cinese godono della libertà di parola, di stampa, di riunione, di associazione, di corteo e di manifestazione". L'oftalmologo
Li Wenliang aveva semplicemente avvertito che il suo ospedale aveva isolato
sette pazienti dopo la
"diagnosi di una sindrome simile alla Sars" e cioè
"una polmonite respiratoria acuta e grave". Per questo non si ravvede in tale comportamento, altamente professionale per qualsiasi medico e possiamo anche dire
'umano' di fronte a ciò che si era già visto e appreso dal passato, alcun allarmismo, in ragione soprattutto di quelle che erano già state - come nel caso della
Sars - delle forme di
natura pandemica scientificamente
sconosciute. Quattro giorni dopo l'avvertimento dello specialista, lo stesso è stato convocato dalla
polizia locale e accusato di
"diffondere voci non verificate", facendogli firmare un documento per riconoscere il suo comportamento come un
errore. E' palesemente chiaro che tale comportamento si sia semplicemente dissolto, insieme alla
inutile risolutezza dei comportamenti, estremamente repressivi. Si deve continuare a combattere contro il virus, adattandoci alle regole di comportamento,
'isolandoci' il più possibile per portare alla fine questo drammatico momento della Storia, che merita, ora, anche per la
ricerca italiana, una completa consapevolezza. La predisposizione delle
mascherine e dei
guanti possono essere ancora considerati degli
'strumenti' utili e
importanti per il contenimento del
virus. Ma ciò non vuol dire, necessariamente, che dobbiamo dimenticare le nostre
tradizioni e poterle
condividere con tutti, per poter certamente tornare, presto e progressivamente, verso una
riapertura delle
relazioni. E quanto è stato attuato da dicembre in
Cina, oggi viene giudicato come una
necessaria strategia di contenimento. Ciò non toglie che la
nomina presso il
Consiglio per i diritti umani sia stata una scelta decisamente
stravagante e stia suscitando profonde preoccupazioni per la futura
Agenda delle Nazioni Unite per lo stesso riconoscimento dei
diritti umani anche per le
minoranze. Come sappiamo - e la Storia ci insegna - la situazione rispetto il pieno riconoscimento dei
diritti umani in
Cina è
deplorevole. L'attuale governo di
Pechino, pur con qualche
'paternalismo' di maniera, mantiene con prepotenza il
monopolio del
potere politico e utilizza un
sofisticato apparato di censura che considera i
dissidenti politici, gli
attivisti, gli
avvocati, i
giornalisti, i
lavoratori migranti, i
petizionisti, nonché i membri di
minoranze religiose ed
etniche come
uiguri, tibetani e praticanti del
Falun Gong, soggetti a
detenzione arbitraria, tortura ed
esecuzioni extragiudiziali. Abusi a cui il
Consiglio dei diritti umani deve far fronte e per i quali è stato istituito. Una nomina in tali momenti rende l'aspetto della stessa assolutamente
indegna. Il
Governo comunista cinese è uno dei peggiori
violatori di diritti umani del mondo. Pertanto, esso non è assolutamente
adatto - e nemmeno qualificato - a entrare a far parte
dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Questa nomina non può che esprimere un senso di sfiducia. Quello che manca, oggi, è un autentico senso di
responsabilità universale nei confronti dei nostri simili,
dell'ambiente, di una
coscienza frutto di interessi politici ed economici che possiamo soltanto ammettere attraverso il nostro
senso critico. In
Cina, la morte del medico
Li Wenliang è riuscita almeno a ricordare l'importanza della
libertà della scienza e dello stesso
popolo cinese di poter esprimere
dissenso, mostrando come tale
'minaccia' si potrebbe trasformare in una
crisi di fiducia nell'ambiguo sistema politico cinese. Infatti, dopo il
decesso, la notizia è riuscita a
'passare' sulla rete popolare del social
'Weibo', con la massima visualizzazione da parte della popolazione cinese. Si sono subito diffusi molti
hashtag critici nei confronti delle autorità, con commenti del tipo:
"Il Governo di Wuhan deve le scuse al dottor Li". Gli stessi rimproveri e le critiche alle autorità sono stati rapidamente
cancellati dalla
censura. Se pensiamo al fatto che il medico, il
30 dicembre, aveva lanciato l'avvertimento su
'WeChat', la piattaforma di messaggistica istantanea più popolare in
Cina, soltanto per chiedere ai propri compagni di studi di fare attenzione: soltanto in questo modo il suo messaggio, con il suo nome visibile, si era diffuso tra gli utenti. A
sette altri medici era capitato qualcosa di simile e la vicenda si era trasformata in un
detonatore di critiche verso le autorità, contestate per aver impedito
un'azione rapida per il
contenimento dell'epidemia. Anche se la
Corte Suprema, nei giorni successivi, ha criticato la
polizia e i suoi
metodi, a quel punto il medico era già
contagiato e i casi di
coronavirus si contavano già a migliaia nel Paese. Su
'Weibo' migliaia sono stati i messaggi di
condoglianze alla famiglia di
Li, che ha lasciato un bimbo di cinque anni e una moglie incinta. Per questi motivi, la
Commissione nazionale di supervisione, un organo di
Pechino che indaga su tutti i funzionari pubblici, ha spiegato che invierà una squadra a
Wuhan per
"condurre un'indagine approfondita", mentre i familiari di
Li, il
"medico eroe", hanno ricevuto un risarcimento equivalente a
104 mila euro. I richiami alla ribellione mediante la condivisione, da parte del popolo cinese, anche del brano
'Do you hear the people sing', tratta dal film
'Les Misérables', mostra espliciti riferimenti
all'articolo 35 della
Costituzione cinese in merito al
principio di libertà di manifestazione, dall'inciso
'Beating of the drums'! L'importanza del
vaccino per il
Covid-19, sta sottolineando l'importanza della
cooperazione internazionale sia tra i
Comitati scientifici di ricerca, sia tra tutti i
medici operativi nelle
strutture di base, oggi
rivoluzionate per il
contenimento e la
cura del
virus. Un
vaccino che, proprio grazie alla
libertà di cui deve godere la
ricerca scientifica, possiamo considerare ormai
'alle porte'.