Nei Paesi maggiormente colpiti dal
Covid-19, la pandemia ha avuto gravi ripercussioni non solo sul piano sanitario, ma anche su quello economico e sociale. Se in
Italia gli effetti secondari più devastanti si riscontrano a livello di
Pil e di
deficit, al di là del
Mediterraneo l'epidemia potrebbe significare la messa in discussione di
libertà fondamentali, rivendicate e mai del tutto acquisite in un anno di manifestazioni. E' il caso
dell'Algeria, dove alla certezza della recessione economica si aggiunge una
'stretta' in termini autoritari da parte del neoeletto presidente,
Abdelmadjid Tebboune. "Il governo sta approfittando della pandemia per rafforzare il suo autoritarismo e limitare ulteriormente la libertà di stampa". Così
Farid Alilat, giornalista algerino per la rivista
'Jeune Afrique'. Dallo scoppio della pandemia, tre giornalisti sono stati imprigionati dopo aver divulgato notizie considerate dal governo come
"lesive dell'unità nazionale". Lo scorso
22 aprile è stata, infatti, varata una nuova legge contro le
'fake news' che punisce con il carcere chiunque divulghi
"false informazioni" (cosa s'intenda per
"false informazioni", però, non è chiaro).
"E' in atto una vera e propria criminalizzazione delle fake news", testimonia
Alilat. Secondo
Souhaieb Khayati, direttore del dipartimento nordafricano di
Rsf (Reporter sans frontières, ndr), la nuova legge contro le
'fake news' si comprende alla luce della volontà di
Tebboune di reprimere
'Hirak', il movimento popolare nato il
16 febbraio 2019 per protesta contro il quinto mandato di
Bouteflika e, successivamente, sviluppatosi per
"rottamare" l'intero apparato esecutivo di quest'ultimo.
Tebboune - primo ministro sotto
Bouteflika nel
2017 - è infatti divenuto presidente in seguito a elezioni largamente contestate dal popolo algerino, in quanto considerate come un espediente per sedare le manifestazioni, mantenendo in piedi, di fatto, l'apparato governativo preesistente (alle elezioni del
12 dicembre 2019, solo il
39,9% della popolazione si è presentato alle urne). Secondo
Souhaieb Khayati, l'attuale crisi sanitaria rischia di aggravare la
situazione algerina in termini di
libertà fondamentali, mai del tutto acquisite. Il
29 marzo 2020 è stato arrestato
Khaled Drareni, direttore del sito
'Casbah Tribune' e corrispondente per
Rsf in
Algeria. Accusato di
"incitazione alla rivolta non armata e attacco all'unità nazionale", attualmente rischia fino a
10 anni di carcere. Inoltre, lo scorso
27 aprile è toccato a un giovane attivista, reo di aver attaccato il governo attraverso dei
'memes' satirici sulla pagina
Facebook di
Hirak Memes. Non tutti i giornalisti, però, sono concordi nel sostenere che la
stretta autoritaria da parte del
regime algerino dipenda dal
coronavirus. Secondo
Adlène Meddi, l'attuale situazione non è riducibile alla classica contrapposizione
"governo repressivo/stampa sotto attacco. Non è corretto dire che il regime si stia approfittando del coronavirus per instaurare un regime autoritario, perché l'autoritarismo è nel Dna del nostro governo", afferma l'autore di
'1994'. E continua:
"La crisi viene strumentalizzata, è vero, ma ciò accade in un ambiente che è propizio a questo genere di strumentalizzazione". Secondo
Meddi, la contrapposizione fra un regime repressivo e una stampa sotto censura è scorretta:
"I media algerini non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli dei Paesi europei. Il nostro sistema informativo è più simile a una 'giungla mediatica' controllata, in parte, dallo Stato e, in parte, da potenti uomini d'affari". Questa assenza di regolamentazione all'interno della stampa non può essere trascurata, secondo
Meddi, quando si parla di lotta alle
'fake news'. "Se è vero che il coronavirus funge da espediente perfetto per limitare la libertà di stampa, va anche sottolineato il terrore che internet suscita nelle autorità algerine". E' quanto sostiene il giornalista di
'Radio M', Post Salim Mesbah, che ricorda come
'Hirak' sia nato proprio sul
web alla stregua del movimento francese dei
'Gilets jaunes'. Senza
internet, "le proteste del 16 febbraio 2019 non sarebbero mai state possibili", sottolinea
Mesbah. La forza aggregativa del
web disturba profondamente il regime. Di qui, secondo il giornalista, la volontà di controllare
internet e chi ci lavora. Contrariamente alla maggior parte dei suoi colleghi,
Mesbah è convinto che il movimento di protesta
'Hirak' potrebbe uscire addirittura rafforzato dalla crisi sanitaria:
"In Algeria, come nel resto del mondo, la pandemia creerà nuovi poveri", argomenta. In effetti, il
governo algerino si trova attualmente di fronte a una
doppia crisi: quella
sanitaria e quella - gravissima - del crollo del
prezzo del petrolio, che rischia di mettere in ginocchio l'economia del Paese, la quale si basa per il
95% sull'export petrolifero. "Prima dell'epidemia", spiega ancora
Mesbah, "il governo aveva promesso una serie di riforme, ma senza soldi non sarà possibile realizzarle. E' probabile che a causa del Covid-19 molte persone si ritroveranno sul lastrico e ciò potrebbe avvantaggiare - e non indebolire - i movimenti di protesta. Se prima", conclude,
"le richieste di 'Hirak' vertevano su una maggiore libertà e giustizia, domani milioni di persone chiederanno un lavoro e uno stipendio dignitoso". Insomma, queste enormi fasce di nuovi disperati potrebbero dare nuova linfa alle
proteste, innescando una crisi senza precedenti all'interno dell'apparato di governo.