La
devastante pandemia di
coronavirus scatenatasi nel mondo in questi mesi, si sta avviando verso il suo
culmine. Siamo, o dovremmo essere, nei pressi del
'punto d'inversione' dei contagi. Adesso, per tornare alla normalità è necessaria una
graduale programmazione di quella che è stata definita:
'Fase 2'. Ciò per una serie di motivi:
1) innanzitutto,
abbassare la 'guardia' potrebbe rivelarsi un errore ancora peggiore rispetto a quelli già commessi fino a oggi;
2) dovremmo osservare meglio quel che è capitato agli altri Paesi investiti dal contagio esponenziale qualche mese prima di noi. In particolar modo alla
Cina, uscita dalla quarantena solamente dopo
3 lunghissimi mesi;
3) l'Italia sarà comunque costretta a convivere, in qualche modo, con il
virus in circolazione e, per far questo, dovrà esser messa nelle condizioni di poterlo gestire mantenendo una serie di
cautele, come il
distanziamento sociale e una serie di
comportamenti igienici costanti: il continuo e ripetuto
lavaggio delle mani e la
sanificazione degli ambienti di lavoro e di incontro. Siamo, invece, meno preoccupati dalla questione della
tracciabilità dei
casi positivi: inseguire il dato del
contagio non è così importante. A patto che il
campionamento statistico dei cosiddetti
'tamponi' possa condurci ugualmente a individuare
l'evoluzione e le
tendenze della
pandemia. Da un punto di vista
statistico, qualsiasi sondaggio o ricerca di mercato non necessita di
indagini 'a tappeto': si possono ugualmente individuare gli andamenti di un fenomeno qualsiasi, senza dover inseguire il
dato 'assoluto'. Quel che dobbiamo sapere è che, ancora per qualche tempo, non potremo fare tutto ciò che facevamo prima:
viaggiare, incontrare gli amici, convocare riunioni e tante altre
'ritualità' o
prassi. Chi ha
'masticato' almeno un minimo le
scienze statistiche, dovrebbe sapere quanto sia errato
conteggiare i deceduti in rapporto ai casi risultati
positivi: non è questo il
tasso di mortalità effettiva della patologia, poiché il numero di vittime che osserviamo oggi deriva dalle
tempistiche d'incubazione del
virus. In pratica, i
decessi di un determinato giorno sono quelli che hanno contratto la malattia nelle
due settimane precedenti e dovrebbero esser posti in
rapporto matematico con il numero dei
contagi del
medesimo periodo, ragionando su un arco temporale più ampio rispetto a quello dell'andamento quotidiano. Tali nostre considerazioni derivano dal fatto che, anche se l'età media dei deceduti è alquanto alta (intorno agli
80 anni), quella dei ricoverati è più bassa
(60), comprovando come
anche le fasce più giovani della popolazione siano comunque
a rischio. Ciò dovrebbe condurci verso considerazioni maggiormente improntate alla
prudenza, al fine di evitare recrudescenze e nuovi
focolai, soprattutto in quella parte del Paese meno attrezzata per fronteggiare, sotto il profilo sanitario, una
nuova ondata esponenziale di
contagi. Infine, il dato fondamentale da tenere sotto controllo rimane quel
'coefficiente' di
misurazione del contagio, che deve assolutamente rimanere al di sotto del rapporto tra
0 e
1. Il
Covid-19, infatti, mantiene una
specifica pericolosità potenziale nella sua capacità di
diffusione 'esponenziale': è questa la caratteristica che lo rende assai più temibile di una banale influenza. Tutto questo ci ha condotti a cercare di individuare una serie di
'cambiamenti' da realizzare il prima possibile, in tutti i settori socioeconomici della nostra società. La sola e unica soluzione che, almeno in questa fase, intravediamo è quella di
modificare i nostri comportamenti, il nostro
modo di lavorare e di
condurre i rapporti sociali. Solamente attraverso nuove
'forme' e nuove
modalità potremo tornare verso una
'normalità verosimile' senza correre rischi eccessivi, evitando, al contempo, un
tracollo economico eccessivamente profondo. Probabilmente, il
Protocollo di sorveglianza previsto
dall'Organizzazione mondiale della sanità potrà darci delle indicazioni ulteriori, maggiormente precise relativamente a quel che potremo fare ogni giorno. In ogni caso, a un certo punto dovremo per forza
riprendere a vivere, a
lavorare e a
produrre, con il
sostegno dello Stato e una
visione 'macroeconomica' ben diversa rispetto a quella precedente la
pandemia. Anziché cercare ogni pretesto possibile per attaccare la
'moneta unica', che è soltanto uno
strumento e non la
'tara di fondo' del nostro tessuto economico e produttivo, bisognerà comprendere che fare ogni cosa con i
'soldi contati' non consente mai - e sottolineiamo mai - di affrontare adeguatamente le
emergenze, né di dirigersi verso un
salto di qualità espansiva dello sviluppo, poiché si finisce col misurare con il metro della
microeconomia processi, risorse e (mancati) investimenti che, invece, appartengono ai
processi macroeconomici di
massimizzazione della produzione. L'economia di mercato è anch'essa ricca di incertezze e non può essere lasciata a se stessa, bensì necessita di
correzioni continue. La
natura, ancora una volta, ce lo ha ricordato. Speriamo vivamente che anche tanti altri
ambienti e
gruppi di interesse abbiano, finalmente, appreso la
'lezione'.PER LEGGERE LA NOSTRA RIVISTA MENSILE CLICCARE QUI
(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 55 - aprile 2020)