La recente giornata dedicata alle
donne ci ha riportato alla mente la giornalista e blogger tunisina,
Lina Ben Mhenni, morta a soli
36 anni lo scorso
27 gennaio per una grave malattia autoimmune. Attivista per i diritti umani e autrice del blog
'A Tunisinian Girl' (Una ragazza tunisina, ndr) la coraggiosa
Lina era diventata famosa durante le proteste in
Tunisia che, nel
2011, diedero l'avvio a quel processo che in occidente viene chiamato
'Primavera araba'. La giornalista, attraverso il suo portale, ha raccontato per molti anni le storie di soprusi, corruzione, violenze e diritti negati, divenendo nota in tutto il mondo.
Lina fu tra i primi ad accorrere, nel
dicembre 2010, a
Sidi Bouzid, dove un suo connazionale
(Mohamed Bouazizi) si era dato fuoco per protesta contro la confisca di alcune sue merci da parte della Polizia. Con la sua piccola e inseparabile telecamera, l'attivista riuscì a documentare gli eventi che ne sarebbero seguiti e che avrebbereo dato vita, in
Tunisia, alla
'Rivoluzione dei gelsomini', che
Lina ribattezzò
"rivoluzione della dignità". Divenuta con il suo blog
"la voce della rivolta tunisina", in aperta sfida al regime di
Ben Alì, Lina Ben Mhenni non ha mai smesso, in questi anni, di portare avanti la sua battaglia per una
Tunisia diversa, libera dalla corruzione e soprattutto
laica, nella quale una reale divisione tra politica e religione consentisse di creare le condizioni per una decisa affermazione dei diritti civili e della tutela delle donne. Nel
2011, Lina ha pubblicato, per le
Edizioni indigenè, il libro
'Tunisian girl-blogueuse pour un primtemps arabe' (Una ragazza tunisina-blogger per una primavera araba, ndr), in cui la ragazza ripercorre gli eventi di cui è stata testimone nel corso del
2011. Numerosi i riconoscimenti collezionati: proposta per il
Nobel per la Pace nel
2011, ha ricevuto nello stesso anno dal quotidiano
'El Paìs' il premo come
'Miglior reporter internazionale', a cui si sono aggiunti il premio
'Roma per la Pace e l'Azione umanitaria', il
'Sean Mac Bride per la Pace', il
premio 'Minerva' per l'azione politica e il premio
'Ischia internazionale di giornalismo'. Recentemente,
Lina aveva aderito a
#EnaZeda, la versione tunisina del movimento
#Metoo (anche io, ndr) che, dal
2017, spopola sui
social media, coinvolgendo migliaia di donne spinte a raccontare la propria esperienza di violenza e molestie, soprattutto sul lavoro, che è giunto prepotentemente in
Tunisia dopo la pubblicazione, da parte di una studentessa diciannovenne, di una foto di un
parlamentare tunisino, secondo la ragazza apparentemente intento in atti di
autoerotismo, a bordo di un'auto parcheggiata nei pressi di una scuola. La
Ben Mhenni aveva commentato sui social media di non credere che in tutta la
Tunisia vi fosse una sola donna che non avesse vissuto un episodio di molestia:
"Certe persone", ha scritto
Lina, "non accettano che se ne parli pubblicamente e che vengano condivise online le foto che provano la loro pochezza. A loro dico: facciamo i nomi cosicchè si vergognino". Lina era figlia di un noto attivista tunisino,
Sadok Ben Mhenni. E la sua famiglia ha sempre sostenuto le sue iniziative, fino a organizzare una raccolta di migliaia di libri da distribuire ai detenuti nelle carceri lo scorso
18 gennaio, presso la sede
dell'Associazione tunisina delle donne democratiche. "I miei genitori hanno fatto di me quella che sono oggi", aveva dichiarato recentemente, ringraziando i suoi sostenitori
"insegnandomi i principi dell'umanesimo, della libertà, l'onestà e la dignità. Le vostre parole, le vostre visite, le vostre rose, i vostri sforzi continuano ad aiutarmi in questo periodo difficile della mia vita". Lina si è sempre battuta per la libertà di espressione e per difendere i diritti umani, le minacce di morte e i maltrattamenti subiti dalla
Polizia, che non sono riusciti a fermare questa donna arguta e coraggiosa, che ha sempre mantenuto la testa e la voce alte, nonostante le sue condizioni di salute si fossero aggravate, raccontando sui social il
'calvario' vissuto negli ospedali di
Tunisi. Alla fine,
Lina si è dovuta arrendere, rinunciando a cercare delle terapie all'estero e scegliendo di rimanere nel suo Paese, perchè
"tante persone hanno bisogno di me". La
Tunisia, oggi, è uno dei pochi
esempi positivi rimasti degli eventi che, nel
2011, hanno coinvolto buona parte
dell'Africa settentrionale, in cui la società civile è riuscita ad assumere un ruolo protagonista nel dibattito politico del Paese grazie all'impegno di migliaia di attivisti come
Lina Ben Mhenni.