La nostra impressione riguardo ai tanti
'femminicidi' che si verificano ogni anno nel nostro Paese, rimane quella di una
violenza sessista in quanto forma di
'narcisismo' maschile. In sostanza, quando una donna ferisce l'orgoglio del
'maschio', ecco che scatta
l'atto violento. Non c'è quasi mai una premeditazione piena. C'è, invece, un notevole
ritardo culturale, non esclusivamente italiano, ad avere a che fare con un punto di vista distinto. Un non voler rinunciare a un'obsoleta concezione di
'unicità' chiusa in se stessa, che non tollera il
pluralismo, le
specificità, le
peculiarità di una donna o del singolo individuo più in generale. Insomma, non sempre la
violenza maschilista deriva da una sorta di
'sadismo', dal tentativo di
schiavizzare l'altro sesso all'interno di un rapporto di coppia, affinché tutto possa incanalarsi dentro una
visione statica e
immutabile dei rapporti tra i generi. In secondo luogo, la
violenza spesso riempie il
vuoto delle parole: quando il dialogo tra due persone s'interrompe, scatta
l'atto criminoso, poiché la violenza tende a prendere il posto della
parola. Tutto ciò ricorda l'episodio biblico della
Torre di Babele: una
sfida degli uomini contro
Dio, in nome
dell'unicità dell'umanità. Ma regolarmente
Dio interviene ricreando divisioni, rigenerando la diversità di
lingue, culture, abitudini e
tradizioni. In termini
laici: la
legge determina sempre una
distinzione attraverso se stessa e i suoi effetti giuridici. La stessa democrazia è
"la necessità di una traduzione" per comprendersi tra
'diversi', tra
generi distinti, più in generale tra esseri umani. Insomma, il vecchio
'machismo' latino non è quasi mai consapevole delle
conseguenze dei suoi atti. Si tratta di una
grave fuga dalle sue
responsabilità storiche, dal non riuscire a interrompere una
'catena' di atti violenti e disumani. Ma laddove le parole vengono a mancare, non può esserci
cultura umanista, né umanità in senso pieno e completo. Ciò rappresenta un nostro limite collettivo: non riusciamo a comprendere che la
legge non dev'essere applicata
senza pietà. La superiorità della norma giuridica, la sua vera
'forza', non risiede affatto nella sua capacità di infliggere una pena contro chi ha commesso un delitto. Alla violenza, lo
Stato di diritto non può rispondere con una violenza equivalente. Se lo
Stato non è il primo a interrompere la
'catena' della violenza, non potrà mai vedere realizzato il suo disegno complessivo: quello di una società impregnata di
valori e
principi autentici, da un rapporto di
fratellanza solidale tra i cittadini. Il
'gallismo' virile e
'machista' deve compiere uno sforzo, in tal senso, per comprendere meglio la questione della
'diversità', della
'duplicità', della
molteplicità di visioni e punti di vista, abbandonando lo
schematismo 'statico' della
divisione dei ruoli all'interno della società. In tal senso, la giornata
dell'8 marzo può tornare ad avere un senso se diviene
'memoria', se l'uomo diventa consapevole di portare su di sé il peso di
un'enorme responsabilità storica. Ciascun cittadino non è responsabile dei propri atti
'sic et simpliciter', bensì lo è anche nei confronti degli
altri. Se esso rimane confinato nel proprio
narcisismo, non riuscirà mai a spezzare la
catena di violenza contro le
donne. Per recuperare una propria
identità, l'uomo deve comprendere che egli, all'interno della società, è responsabile anche verso la propria
compagna, verso i suoi
fratelli, nei confronti della
società stessa. Se le cose vanno male, o spesso finiscono male, anche noi stiamo
sbagliando qualcosa da qualche parte. Dobbiamo cominciare ad ammettere questa nostra responsabilità: una nuova
etica laica di fratellanza diventa possibile solo se essa si fonda sulla
responsabilità dei nostri atti e sulla consapevolezza delle loro
conseguenze. E' questo il percorso a cui dobbiamo aprire le porte. La
fratellanza diviene un percorso possibile solo quando s'interrompe la
furia cieca della
violenza, comprendendo bene, questa volta, che non si tratta di un
principio 'storicista', bensì perfettamente
laico, niente affatto
'simbolico'. Anche la
Storia, infatti,
deve cambiare, diventando un qualcosa di ben diverso da quel lungo elenco di
massacri avvenuti nel passato. La
Storia non può più limitarsi a raccontare le vicende di
"una masnada di assassini". E' questo il vero limite delle
ideologie 'storiciste': esse non comprendono che la
Storia appartiene, essa stessa, alla
filosofia. Ed ecco qual è la vera funzione
dell'8 marzo: ricordarci che è giunto il momento di fare un
salto di qualità come
uomini, come
italiani e come
europei. Dobbiamo avere il coraggio di
spezzare la 'catena' di violenza della
Storia, imparando a rapportarci con la
diversità, con
l'Altro. Siamo ormai costretti a farlo: non possiamo continuare a
fuggire innanzi a noi stessi.