Sei giorni sono passati dalla cattura di
Patrick Zaki, lo studente egiziano venuto a studiare
all'Alma Mater di
Bologna nel contesto del
Master Erasmus Mundus Gemma, dedicato agli studi di genere. Nella tarda serata di
giovedì 6 febbraio, l'aereo di
Patrick era atterrato al
Cairo: il giovane stava tornando a casa per la prima volta, da quando aveva iniziato il ciclo di studi presso
l'Ateneo bolognese ed era diretto a
Mansura, dove vivono i suoi genitori, a circa
130 chilometri a nord dela capitale egiziana. Ma non li avrebbe mai raggiunti. Appena sceso dal velivolo,
Zaki è stato prelevato dai servizi segreti civili della polizia egiziana, la stessa che si era occupata del rapimento e dell'omicidio di
Giulio Regeni nel
2016. Da allora, per
24 ore, di
Patrick Zaki non si è avuta nessuna notizia. Il giovane è riemerso dal
'black out' comunicativo da una prigione di
Mansura, riuscendo a mettersi in contatto con il
padre subito prima che gli venisse sequestrato il telefono. Una chiamata
decisiva, che potrebbe aver cambiato tutto, perché grazie alle poche parole scambiate con i familiari,
Patrick si è sottratto alla
sparizione forzata in cui ogni anno, in
Egitto, incorrono centinaia di giovani
dissidenti politici (stando ai dati diffusi dal
2016 da
'Amnesty International' e dalla
Commissione egiziana per i diritti e le libertà). Secondo gli avvocati che si stanno occupando del suo caso,
Patrick Zaki sarebbe stato torturato per
17 ore dalla polizia governativa, accusato di cospirare contro il governo di
Al Sisi. Infatti, oltre a essere un militante in favore della verità su
Giulio Regeni, il
27enne collabora con un'associazione egiziana per i diritti umani, la
Ong 'Eipr' (Egyptian Initiative for Personal Rights). Dalla prigione in cui si trova attualmente,
Zaki ha chiesto
all'Italia e alla
comunità internazionale di non abbandonarlo.
Ma cosa può fare l'Italia? E cosa
l'Unione Europea, su un piano giuridico e legale, per
Patrick Zaki? Essendo il
27enne a tutti gli effetti un
cittadino egiziano, ma iscritto a un programma di studi gestito
dall'Unione europea, esistono leggi internazionali in virtù delle quali è possibile rivendicare la sua liberazione? La risposta, purtroppo, è
no. Non ci sono regolamenti internazionali a tutela giuridica degli studenti di
Paesi 'terzi' iscritti a un programma di studio
dell'Unione. In altre parole, in quanto cittadino egiziano,
Patrick Zaki è - e resta - interamente sotto la
giurisdizione egiziana. In termini legali, né
l'Italia, né la
Commisisone europea possono fare nulla per la sua liberazione. Tuttavia,
"possiamo esercitare pressioni su un piano diplomatico e simbolico", ci spiega
Lia Quartapelle, capogruppo
'dem' alla
Commissione Esteri della
Camera. "Attualmente", afferma la deputata,
"siamo in contatto con le autorità egiziane per chiedere informazioni sui capi d'accusa contro Patrick Zaki, ma finora non abbiamo ottenuto risposte. Tutto quel che possiamo fare", aggiunge,
"è tenere alta l'attenzione su questo caso". L'Italia non è sola nella battaglia diplomatica per la liberazione di un ragazzo accusato e torturato per reati di opinione, che lotta per i diritti umani. Ce lo assicura
Peter Stano, portavoce del
Servizio europeo per l'azione esterna, in contatto telefonico con noi di
Laici.it da
Bruxelles. "L'Italia", afferma
Stano, "ci ha informati della situazione e la Delegazione europea al Cairo, così come gli Stati membri dell'Unione si stanno già occupando della faccenda". E continua:
"L'Unione europea sta seguendo da vicino la situazione dei diritti umani in Egitto. Ci preoccupa, in modo particolare, l'aumento del numero di arresti a partire dalle proteste di settembre 2019. L'Unione europea", conclude,
"continuerà ad affrontare queste questioni con le controparti egiziane nell'ambito del dialogo e della cooperazione che sono in corso, nonché nel contesto del trattamente di questioni sui diritti umani nelle sedi multilaterali". Nel frattempo, la
Farnesina ha fatto sapere che
l'Italia ha chiesto formalmente l'inserimento del caso all'interno del meccanismo di
'monitoraggio processuale', coordinato dalla
delegazione Eu in
Egitto. Tale procedura permette ai funzionari delle ambasciate
dell'Unione europea di seguire l'evoluzione del processo e presenziare alle udienze. La presenza del corpo diplomatico italiano e di una delegazione europea durante il procedimento potrebbe mettere sotto pressione il
Governo egiziano, internazionalizzando gli esiti delle udienze.
"Tutto ciò che possiamo fare per Patrick", ci confermano altre fonti Ue,
"è tenere alta l'attenzione sulla sua storia, sollecitando il governo egiziano a rendere noti i capi di imputazione e le condizioni di salute del giovane". La
prima udienza è prevista il prossimo
22 febbraio a
Mansura. Intanto, a
Bologna, città in cui il ragazzo egiziano stava studiando, si è tenuto un
'sit-in' di protesta in
piazza Nettuno per la liberazione di
Patrick Zaki. Questo è il terzo evento pacifico organizzato in favore dello studente egiziano nel capoluogo emiliano. La petizione on line lanciata da
'Amnesty International' sul suo sito ha raggiunto quasi
40 mila firme.