Il recente fenomeno delle
'sardine' può essere valorizzato dal punto di vista del
coraggio di questi nostri giovani. Non si è affatto trattato della sfilata dei
"futuri 'servi' della globalizzazione capitalistica", come ha affermato
Diego Fusaro. E anche se fosse, il compito di
'servire' non è affatto privo di dignità:
Dio serve l'uomo, ma certamente
non è servo dell'uomo. Non c'è niente di male nel
'servire' qualcuno: è
un lavoro come un altro. E giudicare in tal modo dei giovani volenterosi, che si sentono distanti dalle
stridenti contraddizioni della società italiana, significa dar prova di classismo.
Diego Fusaro utilizza una grammatica
colta e
di sinistra, per difendere un modo di osservare le cose fondamentalmente
di destra. Una sostanziale dichiarazione di appartenenza a
un'aristocrazia intellettuale, abbarbicata sulla
scala di astrazione ideologica, che osserva il mondo prendendosi vigliaccamente giuoco di chi cerca di aprirsi un percorso di vita o una strada
dal basso. E' un
'fare muro', quello di
Fusaro, a
30 anni di distanza dalla caduta di quello di
Berlino. La
'spettacolarizzazione' televisiva di personaggi come
Diego Fusaro e altri ha finito con lo svuotare, in larga parte, ogni
reale valore culturale della politica, anche di quella più
'alta'. Ciò è accaduto come diretta conseguenza del cosiddetto
'crollo delle ideologie', che ha trascinato con sé un abbassamento del
livello qualitativo di tutti i settori della nostra cultura, da quelli più propriamente
'empirico-scientifici', a quelli eminentemente
'artistico-culturali'. L'intrattenimento e
l'evasione 'spicciola' hanno finito col trionfare definitivamente, mandando in soffitta
valori e contenuti maggiormente educativi o
'edificanti'. Nel mondo del
cinema come in quello della
rappresentazione teatrale è avvenuto un processo di definitiva
'omologazione', che procede inesorabilmente separando il mondo della
cultura 'alta' da quella di
consumo, senza alcuna
'camera di compensazione'. La
'faglia' si è aperta anche per gli
eccessi di ideologizzazione avvenuti nella seconda parte del
XX secolo, in cui si è pensato di poter applicare alle arti e alle scienze il
metodo e le
'ricette' della
dottrina 'marxista', la quale ha finito col fagocitare anche i
presupposti sociologici più interessanti, che avrebbero potuto favorire la nascita di una più moderna
cultura 'media' non banale o
'mercificata'. Ma un'analisi più approfondita è necessario
'abbozzarla', per non rimanere prigionieri di un mero
esercizio 'nostalgico' di rimpianti per un passato che avrebbe potuto produrre un
'dottrinarismo' culturale 'liberal', da contrapporre a un più
laico e
moderno 'scetticismo' moderato. Quel che le
'sardine' non riescono a esplicitare a parole, poiché increduli di fronte a una società profondamente involgarita e distorta, è l'atto di accusa per un
processo di 'massificazione' in cui anche gli elementi più
trasgressivi - che furono fondamentali, in passato, per far uscire la società occidentale da una lunga fase repressiva, determinata dal
bigottismo cattolico - vengono
dati in 'pasto' al pubblico senza alcun
'filtro' antropologico in grado di anticipare tendenze e fenomeni nel tentativo di
'governarli'. In buona sostanza, il processo di
secolarizzazione è avvenuto in maniera
disordinata e
lutulenta, attraverso
contraddizioni, improvvise
accelerazioni e potentissime
'frenate'. Una trasformazione avvenuta troppo
'dall'alto' e
mal distribuita, in termini sociali, che ha creato, da una parte,
'nicchie' quasi 'settarie' di
acculturazione 'alta' contrapposte a caotici processi di
'inculturazione' e di
bassa 'volgarizzazione'. Per quanto riguarda l'attualità, in questa sede ci limitiamo a sottolineare il ruolo sempre più invasivo e pervasivo della
televisione, la quale ha decisamente messo in crisi tutti gli altri settori della vita artistica e culturale del Paese: una
deriva inesorabile di tutta l'industria culturale, che sino alla fine degli
anni '70 del secolo scorso svolgeva un ruolo di prim'ordine nel riuscire a generare forme di
occupazione e di
specializzazione professionale, sino ai più bassi livelli tecnici. Tale declino è coinciso pienamente con il rinnovamento del
sistema televisivo italiano, il quale ha aperto il mercato delle frequenze locali ai privati, secondo uno
'spirito' meramente
commerciale della produzione di massa. Subito egemonizzata dal
modello 'berlusconiano', nell'immaginario collettivo la
tv ha preso il posto di tutte le altre forme di produzione artistica, a cominciare da
cinema e
teatro. E lo spazio lasciato libero dai
produttori artistici, in molti casi costretti a trasferirsi in
Francia o negli
Stati Uniti per poter lavorare, è risultato ben presto occupato dalla
società dell'intrattenimento, dai
'dilettanti allo sbaraglio', che proprio grazie alla
televisione hanno finito con lo
sfondare ogni barriera, giungendo sino al punto di invadere il
mondo politico, devastandolo. Siamo di fronte a un vero e proprio
'naufragio', a una lunga e inesorabile
degenerazione antropologica e
mentale, in cui la
qualità artistica e la
competenza professionale è crollata verticalmente, in tutti i comparti e settori. Ed è per questo motivo che le
'sardine' appaiono, oggi,
prive di contenuti, quasi
insipide e senza alcuna
prospettiva chiara innanzi a loro. Ma coloro che li criticano avrebbero ben poco da rimproverare a questi ragazzi, riunitisi spontaneamente nelle piazze italiane, poiché anche chi un
percorso professionale, bene o male, lo ha cercato, voluto e ottenuto, non ha realizzato
nulla di diverso da quanto non fosse già stato stabilito, gerarchicamente,
dall'alto, dimostrando essi stessi una mancanza di prospettiva e di lungimiranza che li qualifica anch'essi come
servi. Dei
miserabili servi.