In occasione di un incontro di formazione dedicato alla violenza di genere, promosso
dall'Ordine dei Giornalisti del Lazio il
10 dicembre scorso presso la
Casa Madre dei Mutiliati e Invalidi di guerra in
piazza Adriana a
Roma, Filomena Lamberti ha portato nuovamente all'attenzione del pubblico la sua
testimonianza di violenza, ripercorrendo le tappe fondamentali dei fatti dall'inizio, fino al giorno in cui è stata
sfigurata con l'acido dal
marito 'geloso'. Oggi,
Filomena, dopo circa
30 interventi al viso, mostra quasi con fierezza i segni di una deformazione permanente, a riprova di
"avercela fatta", di non aver ceduto alle
intimidazioni dell'ex marito, che la voleva isolata in casa, inerme, chiusa nella sua vergogna. E invece,
Filomena ce l'ha fatta: oggi è una donna libera di raccontare la sua tragedia, che porta con orgoglio in giro per
l'Italia grazie al centro antiviolenza
'Spazio Donna' di
Salerno. Ella ha cercato di far comprendere le dinamiche che possono condurre a
tacere una violenza, legate a problemi di carattere
psicologico - come la scarsa autostima - ma anche a ragioni di tipo
economico. Spesso, infatti, la condizione di
mancata autonomia da parte della donna può condurre quest'ultima a
'sopportare' le ingiustizie domestiche. Ma anche
l'isolamento, la paura che i figli possano essere allontanati, il timore del
'giudizio altrui' possono essere un
deterrente alla denuncia. Tutte problematiche che potrebbero, in parte, essere affrontate affidandosi all'aiuto di associazioni opportunamente dedicate al problema. Affrontando il caso di
Filomena, è emerso il tema - non solo giuridico, ma soprattutto civile e sociale - dell'interpretazione errata della
vigente normativa italiana, dovuta alla negligenza di
avvocati, pubblici ministeri e
magistrati coinvolti nei processi. Nel suo caso, infatti, l'ex marito - reo confesso - è stato condannato a soli
15 mesi di detenzione: una sanzione che non ha tenuto conto della
premeditazione. Le parole di
Filomena hanno altresì riportato l'attenzione sulla necessità di investire sulla
formazione delle figure che si occupino dell'applicazione della giustizia: i
futuri avvocati, i
pm e i
magistrati. L'assenza di
condanne e
pene certe genera, infatti, sfiducia nelle donne che dovrebbero denunciare un sopruso, costituendo in questo senso un
disincentivo a testimoniare. Occorrerebbe, quindi, interpretare correttamente la legge, colmare il vuoto normativo sul
'femminicidio', ma anche modificare
l'articolo 115 del
Codice penale sulla premeditazione e
'l'accordo a commettere un reato'. Inoltre,
'formazione' equivale a sensibilizzazione ed educazione al
rispetto della donna: un processo lungo e tortuoso, che deve essere attivato, prima di tutto, nelle mura domestiche e nelle scuole. Fin quando un episodio come quello accaduto a
Filomena - sfigurata per aver lasciato il marito - sarà punito come una
'semplice violenza' domestica e non come un
tentato omicidio, non potremo considerarci un Paese civilmente, culturalmente e giuridicamente evoluto.