Tra
talk show confusionari e
'reality' sempre più scadenti, continua la
'fuga' senza ritorno verso le nuove
piattaforme digitali. C'è da dire che della televisione e dei suoi programmi,
Pier Paolo Pasolini pensava tutto il male possibile. Chissà cosa direbbe oggi, nell'era della
rivoluzione digitale e l'avanzamento tecnologico che abbiamo avuto: i
social, il
personal computer, gli
smartphone che fanno anche il caffè. Eppure, nonostante tutto questo, di programmi televisivi in grado di arricchirci veramente non se ne vedono più. Ha vinto il
realismo più gretto, il
mero intrattenimento. E ciò è accaduto già da qualche tempo. Forse, mancano le buone idee e nessuno sa più cosa inventarsi. O forse, è più comodo
non 'rischiare', affidansosi a
format già collaudati che provengono dall'estero, perchè nell'era della
globalizzazione, anche i programmi d'intrattenimento si sono
'omologati', appiattiti più o meno allo stesso livello. Sembra quasi che la televisione non sia più un
'medium' da seguire con attenzione, ma uno schermo che sta lì, in un angolo della stanza, a far rumore, per
rompere il silenzio e farci compagnia. L'ultima buona televisione che ci è capitato di seguire con interesse è stata quella
satellitare, con le serie televisive dei primi anni duemila:
'Dr. House - Medical Division', 'Battlestar Galactica', 'Grey's Anatomy' e via dicendo. Oggi, per seguire una serie televisiva interessante è consigliabile connettersi su
Netflix, o altre piattaforme digitali a pagamento. Dunque, la
tv sta cominciando a passare in
second'ordine, svuotandosi ulteriormente di contenuti. Anche i programmi che vorrebbero essere d'intrattenimento, in forme gradevoli e bene educate, denunciano una sorta
d'impoverimento, descrivendo una realtà sociale divenuta piatta e banale, quando non volgare. Si prova allora a seguire i
'talk show', quelli che dovrebbero
fare informazione, ma spesso, nei vari confronti televisivi, le voci si accavallano tra loro e il dibattito sembra essere diventato una sorta di
arena gladiatoria, come ai tempi degli antichi romani: un
segnale regressivo quanto mai evidente. Non siamo più di fronte a una
televisione utile, ma di semplice accompagnamento: un passatempo per far passare le giornate. Può darsi che siamo
'nostalgici', ma la
tv di una volta prevedeva uno
spazio per i ragazzi, oppure cercava di portare il
grande teatro dentro le case dei telespettatori, oppure ancora ci spiegava qualcosa di
scientifico, come nelle trasmissioni condotte da
Piero Angela. Oggi, purtroppo, impera il
'peggio' di ogni cosa, forse delle stesse nostre vite. La simulazione della realtà più brutta ha preso il sopravvento. E il genere
'reality' ci ha condotti, dritti di filato, verso una
deriva piccolo borghese, in cui litigi e luoghi comuni hanno cominciato a farla da padroni. Niente di realmente sorprendente, nulla che riesca ad arricchirci minimamente. Al contrario, ci stiamo abbassando sempre più verso la
piattezza, morale e
mentale. Una televisione che non fotografa più
l'eccezionalità, ma la
stravaganza, la
stoltezza, la
superficialità astratta. E' vero: la possibilità di scelta oggi è maggiore. Siamo noi, quindi, a dover
selezionare quel che vogliamo vedere, dato che l'offerta è assai più ampia di un tempo, soprattutto dopo l'avvento dei canali satellitari. Eppure, la
media complessiva sembra essersi
abbassata: all'aumento della quantità, quasi mai ha fatto seguito lo sforzo di mantenere elevata la qualità dei programmi. Tipico segnale di un avanzamento eccessivamente
materialistico, pragmatico, non accompagnato da
sovrastrutture culturali e
civili. L'impressione è quella di uno
'scadimento' dello spirito e anche del nostro
senso della bellezza, intesi in senso
filosofico ed
estetico. Siamo di fronte a
un altro tipo di tv, in cui sembra sia avvenuta una sorta di
sostituzione del pubblico, oggi più incline a seguire litigi molto simili a quelli che possono capitare con la nostra
portinaia che ha sbagliato a consegnarci la posta. E siamo anche certi che
Pier Paolo Pasolini, intorno a questi argomenti, la penserebbe come noi, dato che fu lui il primo a percepire la latitanza della
'buona televisione'. E fece appena in tempo a
denunciarla.