In questi giorni, si è celebrata la
Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E, come al solito, abbiamo dovuto leggere una serie di obiezioni al fenomeno basate su alcune
'tecniche' che, ogni tanto, ci capita di incontrare in merito a precisi argomenti, considerati
'scomodi'. Si tratta di
metodologie che, se messe tutte insieme, generano un
'controfenomeno': quello del
negazionismo. Innanzitutto, molti lettori sprovveduti lo scambiano per
'revisionismo', che invece è tutt'altra cosa. In secondo luogo, le particolarità del
negazionismo non tendono affatto all'approfondimento scientifico di un tema, ma a manipolare fatti, prove e documenti per
fini ideologici di vero e proprio inganno. Si tratta di tecniche di
faziosità settaria, che si estrinsecano in vari modi: si va dal
giustificazionismo cattolico, al vero e proprio
'depistaggio', teso a minimizzare o a relativizzare un determinato argomento o fatto storico. In pratica, siamo di fronte a un
tentativo 'piatto' e
maldestro di
'relativizzare' molte questioni: una sorta di
'avvelenamento dei pozzi'. Banalizzare un fenomeno come quello dei '
femminicidi' affermando tesi distinte, come per esempio il fatto che molte vittime, per lungo tempo, non hanno denunciato i loro
compagni 'maltrattanti', non è funzionale a dimostrare come la nostra legislazione in materia sia ancora
arretrata, ma colpevolizza alcuni atteggiamenti del mondo femminile, archiviandoli come
masochismo o mera mancanza di coraggio nel prendere determinate decisioni, o nel compiere scelte di vita più drastiche. In buona sostanza, si tende a banalizzare il fenomeno affermando, in via
deduttiva, che le
donne vittime di maltrattamenti possano esser messe sul
medesimo piano giuridico dei propri
carnefici. Una
convinzione assurda, spesso accompagnata da una serie di
parallelismi estremistici, tesi a evocare lo
Stato di polizia come
metodo esclusivo per risolvere ogni problematica, in breve tempo e alla radice. Una soluzione, quest'ultima, che non risulta affatto
efficace - come comprovato da studi e ricerche di livello internazionale - a combattere un
crimine. In buona sostanza, il
negazionismo proviene da
ambiti culturali di retroguardia che reclamano lo
Stato di diritto per se stessi, ma lo
negano agli altri, teorizzando la
repressione come metodo unico e infallibile. Ma tutto ciò fa parte della scena, della tendenza al
'bluff pokeristico', anche quando si hanno in mano
pessime carte: una cosa che può capitare in ogni partita. Ma loro no:
vogliono giocare lo stesso, per indurre gli altri ad
abbandonare il 'piatto', anche quando non vanno oltre il
'due di picche'. Ciò si spiega con il fatto che tali tecniche hanno
finalità 'altre', soprattutto
propagandistiche. In campo
cattolico, per esempio, il vecchio tema della
'giustificazione per fede' deriva da una
concezione confessionale dell'interpretazione della norma. Si ritiene, cioè, che il
pentimento del colpevole, oppure altri
fattori esterni, ambientali, psicologici o di provocazione implicita, non siano semplici
attenuanti già contemplate dal
diritto penale, bensì che queste possano formare una
prova contraria. Nella materia giurisprudenziale, la
costruzione di una prova è consentita per finalità
d'indagine e di messa in correlazione di diversi
indizi. Ma essa, quando non risulta
supportata dai fatti, non può entrare a far parte delle
prove medesime: contribuiscono solamente a chiarire alcuni
elementi 'di sfondo', come si direbbe nel
cinema, che dunque non possono
'spostare' più di tanto l'ottica complessiva di un giudizio.
Fattori secondari, insomma:
dettagli portati forzosamente in
primo piano. Tuttavia, ribadiamo: ciò è consentito dal nostro
sistema giuridico, se la finalità è quella di un
avvocato che intende ottenere una
riduzione della pena per il proprio assistito. Ma chi tende a
negare un crimine in sede legale, per esempio nel caso
dell'omicidio colposo o
involontario rispetto a quello
intenzionale, ha scopi ben diversi rispetto a chi, invece, sta cercando di analizzare le
cause di fondo di un determinato fenomeno sociale. I
negazionisti, infatti, generano un
'dolo', danneggiano l'opinione pubblica, che risulta
'sviata', nel suo giudizio complessivo, annullando ogni
nesso 'causa/effetto', o addirittura
ribaltandolo. Insomma, la maggior parte delle tecniche utilizzate dai
negazionisti sono sfruttate per
finalità d'inganno, non di
attenuazione di un giudizio. Esse variano dall'utilizzo di documenti falsi o contraffatti
'spacciati' come
fonti autentiche, al tentativo di
discredito della documentazione altrui, fino
all'estrapolazione di
cifre o
percentuali totalmente al di fuori del proprio contesto. Altre tecniche, inoltre, includono la
manipolazione dei
dati statistici, o
traduzioni deliberatamente errate di testi scritti in altre lingue. In sostanza, i
negazionisti tendono a produrre
nuove prove, anziché sottoporre i propri elementi a una
'revisione paritaria'. Il loro tentativo è quello di
riscrivere la Storia, anch'essa utilizzata per sostenere una
tesi ben precisa, ovvero come tecnica di propaganda finalizzata alla
demagogia, totalmente indifferente alla verità ricostruita da fonti certe o testimonianze accertate. Nelle loro ricostruzoni, i
negazionisti sopprimono interi brani e citazioni contrarie alla loro ipotesi, anziché prenderle in considerazione e, se necessario, modificare la propria tesi. Altre tecniche sono le seguenti:
a) utilizzare come autentici dei documenti che essi sanno essere
falsi, al fine di
rimuovere le critiche altrui e fornire supporto a quanto essi stanno sostenendo;
b) inventare o produrre
implausibili motivazioni, assolutamente non provate, sempre al fine di screditare documenti autentici;
c) attribuire volontariamente le proprie conclusioni a testi e
fonti alternative, le quali, poste di fronte a un esame rigoroso, spesso affermano esattamente il contrario;
d) ricercare spasmodicamente
cifre o percentuali 'favorevoli' all'interno di una serie di
dati statistici, al fine di individuare un
'numero' che
resista all'esame critico degli altri studiosi;
e) tradurre in modo parziale o non corretto le
fonti in lingua straniera, al fine di strumentalizzarle ad altri scopi;
f) creare volontariamente parole, frasi, citazioni, incidenti e avvenimenti per i quali
non esiste alcuna prova storica, per riuscire a rendere le proprie argomentazioni maggiormente credibili;
g) infine, i
negazionisti quasi mai
correggono le proprie argomentazioni e rarissimamente le abbandonano del tutto.
Ci fermiamo qui, poiché crediamo che ciò dovrebbe quanto meno bastare a dimostrare la
scarsa serietà di un dibattito, intellettuale e collettivo, già da tempo trascinato nella
'melma' delle contrapposizioni ideologiche e pseudoscientifiche. Bisognerebbe
vergognarsi, in molti casi. Ma figuriamoci se ciò accade. Soprattutto qui da noi, dove non è quasi mai il
'nuovo' ad avanzare, bensì il
'peggio'.