Vittorio LussanaL'Italia rischia di avvitarsi in una profonda crisi di nervi. Ciò deriva da tutta una serie di elementi di eccessiva emotività inseriti e diffusi soprattutto dalla rete internet e sui social network, al fine di alimentare una vera e propria 'fabbrica della paura'. Il tentativo non è stato fatto solamente qui da noi: è in atto in tutto il mondo, come dimostrato da alcuni esiti delle recenti elezioni spagnole. Non si vuole abbandonare un modo tradizionalista, regressivo e autoritario di vedere le cose e, persino, di comportarsi, identificando il concetto stesso di libertà con la possibilità di toglierla agli altri, o quantomeno di condizionarla, quando non di punirla. Ma anche coloro che, con insistenza, professano e perseguono determinate dottrine di 'pancia' sono inconsapevoli, nella maggior parte dei casi, di quanto affermano o scrivono. E persino di ciò che vorrebbero fare. Per il semplice motivo che il processo di appiattimento sociale in atto, prima ancora che 'amorale', è già avvenuto da tempo. Sono cioè venute a mancare quelle basi culturali che consentissero al sistema democratico di poter governare politicamente i vari processi di globalizzazione. In pratica, la causa di fondo di molti nostri problemi risiede nel nostro sistema scolastico. In Germania, i tedeschi leggono. Noi, invece, no. In secondo luogo, noi italiani continuiamo a non comprendere i danni che il lungo dominio cattolico sul mondo della scuola ha generato, instillando sostanzialmente solo due filosofie, quella cattolico-qualunquista e quella catto-comunista, mentre invece il mondo si è ormai indirizzato verso la multiculturalità. Investire sulla cultura dovrebbe essere al primo punto di un qualsiasi programma politico di governo. E in genere così non è. Ma in un mondo sempre più 'colorato', formare intere generazioni di persone 'monocordi' significa abdicare, da parte della politica, al proprio ruolo di guida dei processi di trasformazione sociale. Licenziare dalle nostre scuole e università intere greggi di persone 'monocromatiche', significa unicamente aver teorizzato una società di cretini. Ma anche intorno a questo punto bisogna intendersi, perché non stiamo insultando gli italiani in senso generalista, bensì stiamo affermando che essi non sono stati messi nelle condizioni di essere coscienti e consapevoli dei processi in atto. Non è colpa loro, insomma. Stiamo parlando di processi degenerativi innescati in tempi lontani. E quel che si chiede oggi è di aiutare i cittadini a farsi valere nel giusto modo, di reagire di fronte a questo stato di cose, non di andarsi a cercare dei colpevoli. Si deve tornare verso un più sano 'elegio del limite' come forma di intelligenza, anziché continuare a giustificare ogni 'necessità di infinito', perché altrimenti si fomentano solamente reazioni di 'pancia', provocate ad arte per essere strumentalizzate. E per 'elogio del limite' non s'intende nemmeno far riferimento a quel buonismo ipocrita teso a celare, dietro atteggiamenti formalmente corretti, ogni sorta di slealtà o bassezza. Poco importa, sotto il profilo sostanziale, che oggi la sinistra italiana sia diventata rappresentante dei centri storici o delle zone a traffico limitato. Poco conta che essa, oggi, appaia come un 'fortino arroccato' di benpensanti, pronti a pugnalare chiunque non appena si volta loro le spalle. Il contenuto laico di tale indicazione è sostanziale, dunque integrale, non puramente formale. La sinistra italiana non può ridursi a teorizzare un genere alternativo di furbizia, rispetto al qualunquismo ad 'alzo zero' delle destre. Al contrario, l'unica carta valida che la sinistra italiana è tenuta a giuocarsi sul tappeto dei dibattito complessivo è quella di una effettiva rivalutazione dell'intelligenza in quanto 'spirito', come valore comune di tutte le forze politiche, per fare in modo che, pur all'interno di una logica di alternanza al governo del Paese, molte cose vengano comunque portate avanti e realizzate in base ad alcuni princìpi di continuità. Se riuscissimo a comprendere almeno questo punto, forse riusciremmo a non farci sorprendere, per l'ennesima volta, da fatti come quelli accaduti a Venezia in questi giorni. E certi cataclismi, comincerebbero a capitare sempre meno. Perché almeno su alcuni princìpi, come per esempio quelli di prevenzione, manutenzione e controllo del territorio, ci si potrebbe ritrovare tutti d'accordo come un popolo democraticamente maturo. Dunque, pienamente sovrano.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

Lascia il tuo commento

Renato Delfiol - Firenze - Mail - lunedi 18 novembre 2019 20.11
Già. L'essere popolo sovrano non si estrinseca in vuote affermazioni acriticamente accettate ma nel rendersi conto dei propri diritti e nel lottare per renderli effettivi. In Italia non esiste (più?) opinione pubblica che si riconosca in qualche valore condiviso e che si orienti verso una critica costruttiva del sistema. Sarà dura invertire la tendenza.


 1